Natale per i cattolici, Channuka per gli ebrei: più o meno corrispondono. Corrispondono al solstizio d’inverno quando la luce del sole raggiunge il punto più basso e da lì riprende a crescere, una nuova era, una nuova luce e nuova speranza, ogni anno. Così ci si ritrova avvolti da una coltre di irreale misticità. Diviene più spontaneo, quasi necessario rivolgersi ad un entità superiore, al proprio Dio, rivolgere il proprio pensiero per chi soffre e rivolgerlo a se stessi. Diviene lecito chiedere e persino sognare … Ed è uno dei pochi momenti dell’anno in cui gli adulti se lo possono permettere!
E, per restare in linea con le tematiche del blog, dove ci si occupa di restauro … cosa sogna un restauratore, cosa un estimatore del restauro
Il restauratore sogna certo di riuscire a consegnare il lavoro per Natale, delle nuove spatole a foglia d’ulivo forgiate a mano e, il più intrepido una nuova auto … per caricarci un intero cantiere!
Un amante dell’arte ed estimatore del restauro sogna di poter viaggiare e vedere altre opere e altre nuove città
Ognuno di noi sogna nuovi interventi di recupero del patrimonio storico artistico
Quindi il mio augurio:
Che vi sia Nuova e più profonda coscienza civile nella conservazione dei Beni Culturali e nuovi importanti restauri per tutti, per chi li esegue, per chi se li godrà … un desiderio a scelta per chi ha altro per la testa!
Gli interventi su palazzi storici o su complessi urbani vedono l’intersecarsi di molte discipline, due in particolare l’edilizia ed il restauro, due discipline che si trovano a lavorare sugli stessi manufatti, “gomito a gomito” ma sono e restano ben distinte tra loro.
Possiamo affermare che il restauro architettonico convive con l’edilizia, che ha delle fasi di lavorazione se non simili confondibili, ma ciò non equipara le due tipologie d’intervento
Spesso i termini di ristrutturazione e restauro vengono utilizzati impropriamente come sinonimi.
Il concetto di restauro delle grandi opere è divenuto liquido e malleabile, per questo spesso viene utilizzato impropriamente, qualche volta con furbizia e dolo, qualche volta per mera insipienza. Tutti sappiamo che per ragioni burocratiche passano per opere di restauro interventi che prevedono percentuali inferiori al 10% di restauro conservativo vero e proprio. Ma la burocrazia non dev’essere una scusa per trasformare in restauro ciò che restauro non è!
Soprattutto tra gli addetti all’edilizia e della parte commerciale immobiliare resta una grande confusione su cosa sia restauro e cosa edilizia. Così per dare un piccolo contributo a chiarire le aree di pertinenza di specifiche fasi di lavorazione che possono essere ascrivibili ad entrambe le categorie. Ne elencherò alcune indicando ciò che è restauro e quindi va realizzato da restauratori e ciò che è edilizia e quindi può essere realizzato da muratori, carpentieri, imbianchini, serramentisti, ecc
Ecco l’elenco
Scoperchiare un edificio e rifare la copertura è EDILIZIA
Rimuovere il manto di copertura di un edificio, conservare i coppi antichi, pulire, conservare, consolidare e trattare il legname , quindi riposizionare il manto di copertura integrando le sole parti mancanti con coppi simili è RESTAURO
Demolire un edificio per poi ricostruirlo uguale, uguale è EDILIZIA
Cambiare destinazione d’uso e trasformare un palazzo nobiliare in un condominio è EDILIZIA
Cambiare destinazione d’uso, suddividere un palazzo nobiliare con setti mobili e distinguibili, dove possibile trasparenti, conservando ogni elemento materiale sia di interesse storico artistico utilizzando per ogni materia la specifica tecnica di restauro (scale, affreschi, porte, pavimenti, soffitti lignei, vetri antichi, ecc) è RESTAURO
Bucare un soffitto a volta o demolirla in parte per farci passare una scala di collegamento è … EDILIZIA
Trovare soluzioni rispettose e compatibili con il palazzo storico è RISTRUTTURAZIONE compatibile con il RESTAURO
Scavare tracce nei muri per il nuovo impianto elettrico è EDILIZIA
Progettare impianti elettrici esterni e corpi illuminanti che riutilizzino vecchi alloggiamenti è RISTRUTTURAZIONE compatibile con il RESTAURO
Rifare i solai in CLS è EDILIZIA
Consolidare i solai è RESTAURO
Uniformare e regolarizzare le aperture di una facciata è EDILIZIA
Conservare tutto quel che c’è, che ci piaccia oppure no è RESTAURO
Demolire gli intonaci è EDILIZIA
Demolire stuccature cementizie avendo cura di salvaguardare i lacerti di intonaco antico, previa esecuzione di opportuni consolidamenti e stuccature salvabordo è RESTAURO
Stendere una “rasatura” di intonaco o intonachino e ricoprire tutto quello che c’è così “diviene più uniforme”, è EDILIZIA
Spianare le pareti, annullare le ondulazioni, raddrizzare gli spigoli e rendere tutto “a piombo” è EDILIZIA
Seguire gli andamenti naturali storici o storicizzati degli intonaci è RESTAURO
Demolire l’intonaco per mettere in mostra la tecnica costruttiva della pietra o del mattone sottostante è EDILIZIA
Ripristinare le porzioni di intonaco mancante, con intonaco di uguale composizione e granulometria di quello originale, avendo cura di non coprire i lacerti originali è RESTAURO
Eseguire stuccature spalmando e sfumando la malta per decine di centimetri oltre la mancanza è EDILIZIA
Eseguire stuccature fermandosi sulla rima della mancanza è RESTAURO
Cambiare il colore ad un palazzo storico (disconoscendo le stratigrafie) solo perché al committente “piace il giallo” oppure perché si intona meglio al contesto è EDILIZIA
Consolidare gli intonaci con acqua di calce o silicato di potassio è RESTAURO
Stendere una “mano” di aggrappante o isolante prima della tinteggiatura finale è EDILIZIA
Tinteggiare con colori acrilici e al quarzo è EDILIZIA
Velare, integrare, ritoccare, armonizzare i colori esistenti con pigmenti e materiali della tradizione è RESTAURO
Queste sono solo alcune delle fasi che più comunemente sono soggette a confusione tra le due categorie, ma ve ne sono certo molte altre. Chi volesse contribuire alla distinzione, aggiunga altre fasi nei commenti
Testi e immagini
SilviaConti RestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/12/IMG_5964-e1576404704486.jpeg30322274Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-12-16 08:39:592019-12-18 09:08:31Restauro ed edilizia ... trova le differenze
Ogni giorno viviamo vite complicate, in società complesse dove ogni evento ne genera altri dove ogni adempimento ne prevede consequenzialmente altri, collegati, generati o concatenati che siano.
Non troviamo il tempo per il pensiero creativo perché la priorità va data ai pensieri banali di sopravvivenza, quelli che generano ansia per partenogenesi, eccone un esempio: “entro il 32 di dicembre vanno presentati i modelli F91, G45 ed M99: Al fine di presentare il modello M99 vanno precedentemente compilati gli allegati ae e oa. Che, come tutti sanno, devono essere presentati entro il sesto mese dell’anno precedente l’ultimo anno di riferimento. Possono essere presentati per invio telematico previa iscrizione, a pagamento, alle tre piattaforme info pratiche. Per i modelli F91 e G45, munitevi di lente d’ingrandimento e leggete le note a piè pagina e se non riuscite sarete sanzionati. Chiaro no!”
Per porre rimedio alle complicanze della vite complicate, vuoi per sopravvivenza vuoi per la pia illusione di fornire un servizio, esistono una moltitudine di strumenti di semplificazione: , associazioni, assicurazioni, commercialisti, startup, piattaforme, eccetera, eccetera.
Ma …lasciate ogni speranza o voi che entrate! Entro breve tempo, questi strumenti di semplificazione, diverranno a loro volta fonte di ulteriore complicazione.
Per ognuno di questi strumenti di semplificazione vi verranno chieste, iscrizioni, adempimenti entro il, non oltre il, ma solo dal. Una rete di servizi dei quali non potremmo fare a meno ma dei quali non potremo liberarci.
Solo la politica si carica di banalizzazioni, semplifica e “rende tutto facile”, ma questa è un’altra storia.
Cosa c’entra il restauro con tutto ciò? Il restauro c’entra , sempre!
Già, perché il restauro con la complicazioni ci sguazza. Il restauro è una disciplina complicata per definizione.
Chi pratica la professione del restauro sa cos’è la complessità, ci va a nozze. L’alta soglia di attenzione, le fasi e le priorità da seguire con cura; desalinizzare prima di consolidare, consolidare prima di stuccare, far rigonfiare la colletta prima di scaldare, analizzare, stabilire le percentuali in base alle varianti … ecc, ecc
Ecco, chi si occupa di restauro con la complessità non ha problemi. Calcolare le variabili, mettere in sicurezza, mantenere la massima soglia di attenzione, garantire l’applicazione di ogni regola, trattenere il respiro ad ogni fase, è cosa di ogni giorno
Non teme neppure il fallimento, perché a volte accade che dopo aver applicato tutte le regole, aver congetturato ogni probabilità, l’opera d’arte ti faccia capire che, no, non ci avevi azzeccato e quella pulitura non funziona completamente, quel consolidamento non è del tutto efficace. E allora via daccapo con pazienza e “attrezzi” rimediati da altre discipline a provare a risolvere i rompicapi che i manufatti antichi si divertono a sottoporci ogni giorno
Chi si occupa di restauro non teme le complicazioni e le discipline rigorose ma non può rinunciare al pensiero profondo, alla riflessione. Analizzare, studiare questa fase propedeutica e formativa dell’osservazione del manufatto, delle ipotesi, della comprensione delle circostanze storiche.
Il restauratore convive tranquillamente con la vita complicata, se solo non ci togliesse il tempo di respirare, di riflettere e di ammirare
Ammirare con il naso in su le guglie di una chiesa, sfiorare una scultura, toccare un intonaco Ma, quando ti fermerai per ammirare un opera, un dettaglio, troverai subito qualcuno che interrompe il tuo momento mistico per venderti un abbonamento ad una fantomatica piattaforma informatica o un opera benefica
Gli aspetti complicati di ogni evento sono il sale della vita, uno stimolo alla risoluzione dei problemi, una modalità per allenare l’intelletto. Le “cose semplici” non esistono, neppure in natura, chiedete ad un sasso quante ere geologiche ha vissuto per divenire tale e quanta chimica e fisica racchiude in se.
Esiste la banalizzazione dei sistemi complessi, ma questa è un’illusione!
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/12/IMG_5962.jpeg27783961Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-12-14 08:19:062019-12-14 17:44:56Restauro - Elogio della complessità
Tra i mille impegni qualche volta amo lasciare spazio ai pensieri inutili e mi diverto a divagare, così mi sono chiesta cosa fosse cambiato nel mio atteggiamento nei confronti del lavoro e dell’arte in genere
Direi che la sostanza è rimasta la medesima ma molto, molto altro è cambiato, forse perché l’attività di restauro, se svolta con coscienza ha molto da insegnare
Ho provato a raccogliere dieci insegnamenti che il restauro ha lasciato dentro me, incisi a fuoco
1 Un’opera d’arte possiede un valore intrinseco ed un valore affettivo. Le opere amate da un proprio gruppo di amatori o fedeli, anche se sono poca cosa di fronte ad altre opere grandiose e dalla grande fortuna critica, hanno un valore aggiunto particolare e difficile da descrivere. Ma quando ci lavori senti di doverle rispettare ancor più
2 I luoghi del restauro restano dentro di te, anche dopo anni, se cerchi con attenzione, puoi trovare piccole tracce dei sentimenti che quel lavoro ti aveva suscitato, propio come fossero vecchi amici che non vedi da anni ma ai quali si pensa con piacere
3 Il restauro ti insegna ad approfondire e pazientare. A vedere oltre, aspettare e poi di nuovo analizzare. Per vedere cosa potrebbe esserci sotto, cosa dietro. Intuire una forma celata, un colore antico, un’abbozzo, una pennellata.
4 Il restauro insegna ad ascoltare. E chi sa ascoltare i muri, può ascoltare tutti, ma proprio tutti! Così è normale mettersi in ascolto della storia passata in un palazzo, un tempio, una chiesa, chiedere agli intonaci quale è la loro vera e più autentica finitura: ” Ma tu in origine … Eri liscio e lucido o ruvido è opaco? … e il colore, che colore avevi??”
5 Il restauro ti insegna che le persone cambiano, qualche volta cambiano in peggio e qualche volta in meglio, unica certezza è che le persone cambieranno nella direzione esattamente opposta a quella che ti aspettavi!
6 Il restauro insegna l’umiltà. Sarà la polvere, sarà che siamo sempre gli ultimi, eppure il restauro ti insegna che hai sempre e continuamente da imparare. Il suo mondo impervio insegna ad ascoltare pazientemente lezioni da chi sa molto meno di te. Insegna a fare i conti con le ingiustizie ad utilizzare forza e intelligenza per districare le matasse più ingarbugliate a resistere e sorridere, sempre.
7 Il restauro insegna la relatività; le tue previsioni saranno quasi sempre sbagliate. Riguardo a persone, politica ed istituzioni; le persone, i clienti o i soggetti giuridici che pensi ti apprezzeranno sempre, sono in realtà pronti a rimpiazzarti al primo soffio di vento. In compenso tutti quei soggetti a cui elargisci un preventivo fatto di malavoglia nei ritagli di tempo, perché diciamolo, ti paiono un poco squinternati o del tutto improbabili, saranno coloro i quali ti daranno grandi soddisfazioni
8 Il restauro insegna che molto si può conservare, a quasi tutto si può porre rimedio, tranne all’ignoranza
9 Il restauro insegna che l’invidia professionale è il più crudele ostacolo che potrai incontrare nella tua carriera … e lo incontrerai per certo!
10 Le più belle soddisfazioni del restauro possono anche non corrispondere ai restauri più “importanti”. Molto dipende dalle persone che hai attorno, dal clima, da quanto hai potuto imparare e quanto restituire all’opera di cui ti sei occupato
e voi quali insegnamenti avete tratto dalla vostra attività professionale!
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/11/IMG_4809-e1574609951796.jpeg22743032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-11-24 16:51:312019-11-26 08:03:18Gli Insegnamenti del restauro - il decalogo
In questo articolo vorrei parlare di una tipologia di restauratore che si annida in cantieri di restauro e ama renderli, semmai possibile, più polverosi che mai. È lui, il sabbiatore seriale!
Della serie i tipi strani che si possono incontrare nei cantieri di restauro, non poteva certo mancare il sabbiatore, ci potrei giurare che circa l’ottanta percento dei colleghi lo ha incontrato e ne è rimasto “segnato”!!
Può essere che qualcuno non lo abbia notato, a primo acchito pare un collega come altri ma in realtà è affetto da una rara patologia, che lo induce a pensare che ogni problema possa emergere … sia risolvibile con l’uso della sabbiatrice.
Solitamente a questo raro tipo di patologia professionale sono maggiormente soggetti i restauratori di sesso maschile ma, per riflesso, affligge chiunque ci abbia a che fare in via diretta o indiretta o sia anche solo costretto a coabitare con il soggetto in questione.
L’importante e saperlo riconoscere per contenere la furia destruente! Temete di non saperlo riconoscere?
Ecco Il decalogo
1 Il sabbiatore seriale pare un restauratore normale ma non è così!
2 Il sabbiatore seriale ha sempre con se gli strumenti del mestiere, se vi chiedete cosa ci faccia una micro sabbiatrice in un cantiere dove non è prevista … siete sulle tracce del misfatto!
3 Il sabbiatore seriale attende pazientemente la prima occasione utile per proporre una sabbiatura, può proporla per pulire la pietra, il ponteggio, le scale di accesso, le mani sporche, l’intonaco, gli affreschi e … se non lo fermerete potrebbe provare anche sui dipinti su tavola
4 Il sabbiatore seriale non disdegnerebbe di sostituire la doccia con una pioggia di sabbia sottile!
5 Quando proverete a spiegare al sabbiatore che la sabbiatura non è propriamente compatibile con il concetto conservativo di restauro, si mostrerà prodigo di spiegazioni e dettagli e vi farà notare che lui non è come gli altri, uno bravo come lui non lo avete ancora incontrato. Dotato di una mano raffinata e precisa, ha la certezza di non provocare alcun danno
6 Il sabbiatore seriale è spesso dotato di una certa esperienza professionale, pare tranquillo e ragionevole. Ma non appena si trova al riparo da occhi indiscreti, sceglie la vittima designata, sfodera l’arma letale e colpisce. Il giorno seguente potrete trovare polverose tracce del misfatto e, seguendo le tracce, troverete una pietra a qualche altro oggetto miseramente inaridito dalla sabbiatura
7 Il sabbiatore seriale è un guru della tecnica sceglie accuratamente le sabbie come uno chef sceglie gli ingredienti per una pietanza alla moda… Sabbia del deserto australiano , ossido di alluminio, sabbia e acqua, e via, via, fino alle scorie organiche di pannocchie tritate, per i palati più esigenti
8 Il sabbiatore seriale conosce la sabbiatrice come un appassionato di corse conosce il motore della propria automobile e grazie a questa sua passione, quell’attrezzo infernale… non s’inceppa mai! Per cui abbandonate l’idea che intervenga un problema tecnico a salvarvi
9 Il sabbiatore seriale stanco ma appagato, dopo aver sabbiato qualche povero oggetto indifeso, abbandona il cantiere in condizioni pietose. I fortunelli che lavorano con lui si trovano a dover rimuovere montagne di polveri e contemporaneamente a rabbonire il sagrestano inferocito. Spesso il sabbiatore da anche consigli improbabili sul riuso dell’inerte annidatosi ovunque durante la sabbiatura
10 Il sabbiatore seriale è affetto da una grave dipendenza … aiuta un sabbiatore a smettere di sabbiare, aiuterai un restauratore e salverai il patrimonio culturale
Conoscete altri dettagli utili a riconoscere un sabbiatore seriale, scriveteli nei commenti che verranno aggiunti ai punti elencati
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/11/IMG_4803.jpeg7393024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-11-03 12:28:382019-11-04 20:16:33Il sabbiatore seriale - Il Decalogo
In questo articolo vorrei parlare di un caso atipico sotto il profilo delle tecniche di conservazione.
Premesso che la storia del restauro si è costituita attraverso una moltitudine di prove e tentativi più o meno empirici.
Per una sorta di legge della selezione naturale, i tentativi falliti restano nel dimenticatoio mentre quelli riusciti si trasformano in tecniche di restauro … ecco questo caso è insolito perché ben riuscito ma assai poco diffuso!
Un caso strano di strappo di affresco rivoltato e fissato su di un supporto metallico
Tempo fa scrivevo della mia avversione agli strappi e nel profondo dei miei pensieri resto contraria a tale pratica, capace di decontestualizzare l’opera, come un colpo di spugna o un’amnesia crudele! Tale da far perdere in un baleno parte della storia di un’opera, memoria della collocazione e delle ragioni, seppur ipotetiche, che possano aver indotto pittore e competenza a realizzarla.
Eppure, come spesso accade, mi ritrovo a causa di forza maggiore ad approfondire l’argomento detestato, trovandomi dinanzi un caso particolarissimo.
Si tratta di uno strappo di affresco rivoltato su di un supporto in lamina metallica. La tecnica esecutiva è subito apparsa tanto insolita quanto straordinariamente affascinante.
Supporto in lamiera metallica
Lo strappo appare ben fatto ha asportato la superficie pittorica e circa tre millimetri di intonaco. L’adesivo utilizzato per far aderire lo strappo al supporto è un mix di colle animali, sottilissimo, quasi privo di corpo, ma straordinariamente efficace. Non si è persa la morfologia superficiale dell’intonaco e, salvo alcuni distacchi localizzati mantiene un grado di adesione al supporto straordinario
Il dipinto è collocato in esterno e, nonostante le intemperie e le ridipinture si è conservato molto bene. Non vi è certezza sulla provenienza ma io propendo per l’ipotesi di uno strappo effettuato in un vicino convento di clausura. Lo strappo potrebbe risalire alla fine dell’ottocento
Dalle immagini a luce radente si possono notare le imperfezioni dell’intonaco conservate dallo strappo ed una piegatura dello strappo, da ricondursi ad una fase di lavorazione transitoria
Dipinto prima e dopo il restauro
Avete raccolto altre esperienze di affreschi ricollocati con tecniche insolite? Scrivetelo nei commenti
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Silvia ContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/10/IMG_3623.jpeg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-10-14 10:50:012019-10-15 11:10:49Un caso strano
In questo articolo vorrei parlare dei ponteggi, della loro storia e del rapporto, stretto ma non sempre idilliaco, tra i restauratori e le opere provvisionali
Chiunque si occupi di restauro e, non specificamente nelle categorie “da laboratorio”. si troverà prima o poi coinvolto nel complesso rapporto di odio ed amore con il ponteggio.
Il ponteggio costituisce quella complessa forma provvisoria di elementi modulari che consentono di raggiungere l’opera d’arte ed eseguirne il restauro.
Si suddividono grossomodo in due tipologie quelli che avvolgono e racchiudono l’opera d’arte, come nel caso di facciate esterne o monumenti. E quelli che ne sono contenuti come nelle volte delle chiese
Il sentimento di insofferenza che viene maturato dai restauratori nei confronti del ponteggio è presto descritto; Difficilmente il ponteggio, studiato per l’edilizia, risponde alle esigenze del restauro per cui diviene scomodo e faticoso. Nonostante le accurate e cavillose normative è spesso pericoloso e, delle “zuccate” che ogni operatore del settore ha sentito risuonare nella propria testa … si è da tempo perduto il conto!
Ma parliamo ora dell’aspetto amoroso! La parte affascinante, che fa scattare la scintilla d’amore sta in quella specifica caratteristica che consente di raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili e nel contempo crea delle nuove, illusorie, temporanee quanto improbabili ambientazioni! Viste mozzafiato e anfratti magici. In buona sostanza diviene ciò che quasi tutti i bambini hanno sognato almeno una volta nella vita, la casa sull’albero! Esclusiva e inaccessibile! E per ogni restauratore il ponteggio costituisce il suo personalissimo insediamento strategico!
Il concetto che noi abbiamo ora acquisito di ponteggio è parecchio dissimile da quello diffuso nei secoli passati, ma in realtà sino a pochi decenni addietro. Il ponteggio esiste da che esiste l’architettura, certo non nell’accezione moderna. Nell’antichità era spesso costituito da un castello ligneo su piccole ruote piene, anch’esse lignee o di pietra.
Semplici quanto incredibili sistemi di leve e corde erano utilizzate per issare i grandi conci che costituiscono i templi
Per secoli il ponteggio è stato un’impalcato ligneo costruito e fissato nelle giunzioni con chiodi e corde e soprattutto infisso nel muro in quelle che in gergo tecnico si chiamano “buche pontaie” che possiamo tranquillamente individuare in molti degli edifici storici che ci circondano
dentro a questi alloggiamenti che poi sono destinati ad essere ricoperti e mascherati dall’intonaco, venivano infissi i travi orizzontali, mentre quelli verticali poggiavano a terra. Struttura principale sulla quale si reggeva l’intero impalcato di assi e collegamenti
(si veda questo esempio di ponteggio settecentesco in questa stampa, in vendita dalle casa d’aste Pandolfini )
Tutt’oggi nei paesi nordafricani e africani si eseguono ponteggi con elementi lignei che vengono fissati agli incroci con corde bagnate, che grazie al clima molto caldo e secco si essiccano rapidamente stringendo saldamente il legname
(Ponteggio Egiziano contemporaneo)
I nostri ponteggi, quelli che pensiamo siano sempre esistiti, nascono da un’idea dell’Ing. Ferdinando Innocenti , brevettata nel 1935, che ebbe la grandiosa intuizione di studiare un giunto mobile per fissare i tubi della ditta Dalmine, che detto per inciso, fino a quel momento servivano solo per incanalare e trasportare fluidi. Da questa idea nacque la più flessibile e geniale modalità di costruzione di impalcati temporanei, versatili e resistenti. Tutt’oggi insuperata
Da lì nasce il nostro ponteggio detto giunto-tubo, il resto sono evoluzioni dell’idea primordiale come il ponteggio fisso prefabbricato a “cavallette” comunque compatibile con il sistema giunto tubo, piccole intuizioni, limature e aggiustamenti, soprattutto normativi.
Anche il versante normativo che … tranquilli, non intendo trattare in questa sede, sotto il profilo storico evolutivo riserva molte sorprese. Il primo vero impulso per la normativa in materia di sicurezza e quindi di ponteggi, arriva con l’applicazione del Trattato di Roma del 25 marzo 1957. che, manco a dirlo, in Italia trova la sua attuazione, con tutta calma, nella prima vera normativa del 12 giugno 1989 nella la famosa legge n. 89/391/CEE, seguita dall’altrettanto nota legge 626 del 1994
Proviamo a pensare per esemplificare che, sino a quella prima normativa del 1989, il posizionamento di scale tra un piano e l’altro era del tutto inusuale e non specificamente imposto da nessuna normativa. Per cui sino al 1989 il passaggio da un piano all’altro del ponteggio poteva essere effettuato si mediante scale, ma solo per i cantieri più sofisticati. Per la maggior parte era fatto mediante arrampicata libera, cosa che oggi è del tutto impensabile .
Anche i piani o impalcati non erano in lamiera regolare come oggi siamo abituati a vedere, bensì di tavole lignee che spesso si differenziavano tra loro per lunghezza e spessore che non era strettamente necessario legare o fissare in alcun modo e, sino all’affermarsi della normativa 626, furono largamente utilizzati i pannelli multistrato da cassaforma
Chi tra i restauratori ha maturato qualche anno di esperienza potrà certo ricordare improbabili e tremebonde strutture chiamate impropriamente ponteggio e diffuse in tutta la seconda metà del ‘900, quelli per cui era necessario accomandarsi a tutti i Santi del Paradiso nonché agli Dei dell’Olimpo per mantenere salva la pelle. E coloro i quali sono sopravvissuti ai ponteggi degli anni 70 e 80 del ‘900 è fondato pensare che siano dotati di segreti poteri , dei super poteri!
Testi e immagini (tranne la stampa di Pandolfini)
SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/09/IMG_5138.jpeg37762832Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-09-11 15:21:122019-09-12 14:04:44Storia di un amore primordiale, restauratori e ponteggi
In questo articolo vorrei parlare di uno dei simboli che popolano le raffigurazioni artistiche, il nodo Gordiano
È un elemento di estremo interesse, che spesso, proprio per le sue caratteristiche estetiche, si maschera tra gli apparati decorativi di contorno, quasi fosse un motivo ricorrente, come tanti altri.
In realtà il nodo di Gordio ha una storia antichissima e dei significati profondi che, a seconda dei periodi storici, hanno assunto specifiche inclinazioni semiotiche. Per questo quando ne vediamo alcuni nelle raffigurazioni è utile pensare al contesto storico e sociale e provare a capirne il significato profondo. I simboli che permeano le opere d’arte costituiscono un universo parallelo di messaggi più o meno reconditi
Iniziando dalla mitologia, Gordio era un Re della Frigia, ma prima di essere re, la leggenda vuole che fosse un contadino a cui Zeus, sotto forma di oracolo di Sabazio, posandosi sul suo aratro nelle forme di un’aquila diede un segno (segnale). Lo stesso Oracolo anni dopo, indicò alla città rimasta sguarnita di Re di eleggere il primo uomo che accedesse al tempio con un carro. Gordio arrivò con il carro e fu Re!
Fondò una città con il suo nome. Il suo carro rimase legato all’acropoli con un nodo impossibile da districare. Tant’è che il mito dice che chiunque fosse riuscito a sciogliere tale nodo sarebbe divenuto dominatore dell’Asia. Tutti sanno che vi riuscì Alessandro Magno nel 333 a.c. che risolse il problema recidendo nettamente con la spada l’indistricabile nodo di Gordio.
Il nodo Gordiano, come accennato sopra, assume nel tempo significati diversi seppur tutti vicini al concetto primordiale di legame. Inizialmente il nodo indistricabile viene declinato nella raffigurazione della situazione irrisolvibile, se non in modo cruento e deciso come un colpo di spada.
Ma è facile pensare a come il nodo indistricabile di Gordio abbia assunto significati di unione indissolubile, di forza e resistenza. Utilizzato da re e potenti, da corporazioni, religioni sino alle confraternite e perfettamente calzante alla simbologia massonica di tutti i tempi.
Lo troviamo come espressione simbolica di ogni cultura, in ogni latitudine; dai Greci ai Celti, dall’oriente all’occidente
Il nodo Gordiano varia nel tempo anche dal punto di vista della raffigurazione partendo dal più semplice trilobato, che ricorda i brezen, sino a quelli multipli e più complessi
Così quando capita di osservare un’opera d’arte che sia essa una partitura decorativa a fresco, un mosaico, una scultura o una stampa e scorgete un decoro annodato come il nodo Gordiano, proviamo a pensare al contesto, ai committenti, oppure all’artista, alla confraternita che eventualmente lo sosteneva e forse avrete qualche indizio utile per ricostruire dei significati che i simboli ci mettono davanti agli occhi ma in modo che vengano compresi solo da coloro i quali avranno gli strumenti per comprenderne il significato recondito.
Testi e immagini
SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/09/IMG_0567.jpg6342076Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-09-02 09:35:592019-09-04 07:22:27I simboli nell'arte - Il nodo Gordiano
In questo articolo vorrei parlare di una anomala tipologia di soggetti che poco o nulla hanno che fare con il restauro ma ne sono ossessionati; lo amano, lo adorano, lo agognano e, nonostante il tempo che passano ad occuparsene … non sanno esattamente cosa sia!
… ma non importa loro parlano di restauro, emettono teorie e dogmi sul restauro, sono protagonisti di video e interviste sul restauro, promuovono il restauro e purtroppo, qualche volta riescono anche a farlo … e qui cascano gli asini, i santi e le mandibole degli astanti!
Più o meno a tutti coloro i quali hanno a che fare con il mondo dell’arte e dei beni culturali è capitato di incontrarne, solitamente suscitano qualche sorriso di simpatia agli addetti ai lavori che, a loro volta, non comprendono appieno le potenzialità dei soggetti in questione
Vorrei delinearne il ritratto perché spesso, sotto le mentite spoglie di appassionati di restauro, anche loro malgrado costituiscono un potenziale pericolo per il patrimonio e … imparare a riconoscerli è il primo e più importante antidoto
L’ossessionato del restauro si presenta come un gioioso invasato che non appena vede dei lavori in corso comincia a ronzare nei dintorni, attratto come un ape dal miele, si insinua nei cantieri, si arrampica sulle recinzioni sino a giungere al lavoratore di turno, meglio se restauratore e vi si presenta, non con il proprio nome ma con frasi del tipo: “anche io sono esperto di restauro!”
La qualifica di esperto o appassionato di restauro arriva prima dell’identità e questo deve far suonare il primo campanello d’allarme!
L’ossessionato dal restauro non è intenzionato ad approfondire la materia, comprenderne le ragioni ed acquisirne le tecniche, assolutamente no, è perdita di tempo per somari del restauro. L’ossessionato del restauro preferisce carpire qua e la qualche termine tecnico e passare direttamente all’insegnamento! E potersi ergere ad insegnare ai professionisti, “beccandoli” in loro presunte manchevolezze, costituisce per lui il sommo godimento
Chi insegna il restauro senza essere un professionista del settore fa squillare il secondo campanello d’allarme!
Invocando una banale psicologia da quattro soldi possiamo notare che l’ossessionato del restauro è alla ricerca di una “legittimazione” e la cerca avvicinandosi e creando contatti con i professionisti del settore. Una volta che riterrà di averla ottenuta, procederà a mettere mani in ambito del restauro, senza coinvolgere minimamente i professionisti che in un primo tempo aveva stalkerizzato. Così nascono la maggior parte dei tremebondi “self made man and woman” della nostra professione, ai quali dobbiamo aggiungere gli ossessionati tecnici…
Già i tecnici … qualora, per accanimento divino, uno di questi ossessionati dovesse essere un tecnico tipo architetto, geometra o ingegnere, il dilagare dei lavori eseguiti da non addetti ai lavori potrebbe divenire esplosivo.
Poiché l’unica finalità dell’ossessionato del restauro è mettersi in mostra attraverso il restauro e … avere contatti con professionisti, capirete bene che potrebbe significare perdere l’agognata gloria. Così preferisce avvalersi di improvvisati quanto lui!
...Ecco quando un tecnico è anche invasato del restauro suona il terzo camp… anzi no rizzate le orecchie, tendete le vibrisse e … datevi a gambe!!
Testi e immagini
SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/08/IMG_3891.jpeg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-08-23 15:20:412019-08-23 15:20:41L'ossessione del restauro
Parliamo di restauro di grandi superfici, di ciò che in gergo tecnico è definito superficie decorata dell’architettura, i grandi palazzi, i complessi architettonici, quelli che raggruppati definiscono gli scorci e il panorama cittadino
Certamente sono quelle parti delle nostre città che ne definiscono le caratteristiche estetiche e, come nessun altro manufatto è soggetto alla moda, al gusto del tempo,con infinita duttilità si adegua continuamente alle nuove tendenze di pensiero estetico
Ci troviamo spettatori inermi di fronte al variare epocale dell’aspetto del paesaggio urbano e di volta in volta, di decennio in decennio, di zona in zona assistiamo al viraggio del colore della città dal color biscottino diffuso e depresso, che resiste alla “sporcizia” ed ha un non so che di politically correct , al giallo dilagante, come se una colata di polenta lombarda fosse caduta su interi centri storici e poi ancora, il rosso, che si fregia di nobiltà ma che appare come un sacco di plastica che soffoca interi centri storici e poi che dire degli “architettonici” grigi, quelli che se li scegli non sbagli mai, i non colori che lasciano la parola all’architettura che, se associati allo spigolino a piombo ed alla materia plastica, ti danno la sensazione che il palazzo sia emerso da un sacco di cemento e che ti chieda per pietà di liberarlo da quella coltre di grigiore.
Questi gli esempi più banali ma, facciamo attenzione, sarebbe un ulteriore errore incolpare o mettere al bando alcuni colori. Tutti i colori sono belli, se adeguati ai loro contesti ed alle loro superfici, al loro volere progettuale.Il problema vero è la scelta della materia: un rosso veneziano o pompeiano non potrà mai essere imitato dal corrispondente RAL xy contenuto in una colata di plastica resa più ruvida da una spruzzata di polvere di quarzo.
Ma proviamo ora ad indagare quale sia la differenza che intercorre tra la materia originaria dei manufatti o comunque più consona al restauro e l’aspettative della committenza o più in generale degli spettatori
Purtroppo la distanza esiste, la distanza è ampia, la materia originale dell’architettura storica è trasparente, incostante, imperfetta, perfettamente calzante al manufatto che ricopre ma non più consona alla contemporanea idea di antico e del cacofonico “antico splendore”
Si aggiunga a questo che le nuove materie resinose, plastiche, acriliche sono più facili da utilizzare e danno risultati perfetti e se vogliamo, a prova di cretino. Non servono infatti maestranze specializzate, chiunque maneggi un pennello potrà avere risultati impeccabili con acrilici o silossanici. Mentre anche i più bravi operatori avranno grandi difficoltà a gestire le trasparenze della calce, i variabili assorbimenti dei silicati di potassio o ancora le giunzioni delle tempere e delle velature ad acqua di calce .
Così le materie plastiche hanno praticamente soppiantato la materia autentica dell’architettura, perché più facili da usare e reperire, ma soprattutto perché esteticamente apprezzate. Ed è questo il problema culturale che pare insormontabile.
Potrebbe riultare banalizzante pensare che certi parametri estetici, molto vicini al nuovo, siano da ricondurre a personaggi distanti dal mondo della cultura o appartenenti a specifici ceti sociali . Non è così! Il gusto del nuovo perfetto, piatto e dagli spigoli a piombo è molto più diffuso di quanto non si possa credere. Trasversalmente condiviso da politici, operai, docenti universitari, architetti e informatici, senza troppi patemi d’animo pensano che più nuovo, sia più bello! Ovvio no?
Mi ritrovo a pormi domande del tipo; tutta questa attenzione per lo storico, l’antico … che senso ha? Che senso ha, se per restaurare un palazzo e soddisfare al contempo le esigenze di committenza, popolo ed economia, ci troviamo a doverlo fare “come nuovo” !
Il senso non c’è, ma ci sono ragioni che è bene conoscere. Nonostante i corsi e i ricorsi storici, tutta la storia che abbiamo alle spalle, è come se si fosse di fronte a una nuova tendenza di pensiero che ha necessità di trovare e regolare i giusti parametri di giudizio. E forse tocca a noi professionisti dei beni culturali indirizzare e guidare nella giusta direzione, spiegare e mostrare come la materia dell’architettura tradizionale sia la più consona. In parole povere dovremmo adoperarci affinché la materia dell’architettura storica torni di moda!
Testi e immaginiSilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/07/IMG_9914.jpg40323024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-07-28 11:29:032019-07-28 11:53:49I colori del restauro e le aspettative tradite
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