In questo post vorrei parlare dell’idea, alla quale lavoro da qualche tempo. Mettere a disposizione dei servizi utili a chi lavora nel campo dei beni culturali. Una rete di professionisti che conoscono le problematiche del settore
L’idea parte dalla conoscenza diretta dei problemi che si possono incontrare lavorando nell’ambito professionale dei Beni Culturali, delle molte necessità che possono insorgere per poter lavorare al meglio e delle difficoltà intrinseche alla peculiarità della nostra professione.
Così ho unito una rete di professionisti che conoscono il settore e conoscono le problematiche annesse … dalla scarsità di risorse alla difficoltà di spiegare ogni volta le nostre “strane” esigenze
Ci siamo dati dei parametri per essere più efficaci :
Costi preventivati, possibilmente bassi, chiari e soprattutto certi
Niente sorprese, formuleremo un preventivo quindi l’utente potrà accettare o meno il servizio e qualora il servizio fosse complesso e prevedesse variazioni ne verrà immediatamente ed anticipatamente informato in modo che possa decidere liberamente.
Per quanto mi riguarda ci metto il nome ed anche la faccia e, come sempre, farò di tutto per realizzare al meglio questo progetto
SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2017/09/IMG_6684.jpg40323024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-11-17 10:45:382018-11-17 10:45:38L'idea dei servizi per i Beni Culturali
In questo articolo vorrei approfondire il tema del restauro, ovvero della conservazione di quegli apparati effimeri nati per essere temporanei.
Accade spesso nel campo del restauro di trovarsi a conservare ciò che era nato con la vocazione istantanea della transitorietà
Eppure noi restauratori e con noi i conservatori, non possiamo resistere. Contro ogni rigore ideologico andiamo i direzione opposta ai dettami dell’arte, contro la volontà dell’artista, a volte contro le leggi della fisica e ci intestardiamo a conservare tutto, ma proprio tutto
I casi sono molti; Stendardi processionali, scenografie, apparati effimeri per celebrazioni religiose o civili, opere d’arte contemporanea nate per essere transitorie o dichiaratamente distrutte, pensiamo ad esempio alla “eat Art”… Arte da inghiottire? Non ve la lasceremo mangiare ma correremo come pazzi per metterla sottovuoto o in chissà quale liquido mortifero e antibatterico . Per non parlare delle opere cartacee; piccole pubblicazioni, libelli, appunti tutto rigorosamente da conservare!
Da un punto di vista ideologico, in questi casi specifici, l’atto del restauro è in dichiarata antitesi con l’essenza dell’opera ma è del tutto funzionale al tramandare il pensiero di un’epoca nel tempo
Spesso l’analisi ravvicinata di un opera stessa consente di intravedere la sua intrinseca prospettiva di vita e, se è del tutto chiara l’intenzione di un affresco, di un dipinto su tavola o di una scultura di voler durare il più possibile nel tempo. Questo è meno palese in opere effimere come gli apparati decorativi su carta i grandi dipinti a tempera ed altre svariate opere.
Eppure in quelle opere transitorie vi è l’essenza della vita quotidiana, del pensiero comune, vi è il respiro di un epoca. Vi sono gli affanni per i problemi economici, le banalità quotidiane ed i sogni.
Pensiamo a quello che ci comunicano le scritte vandaliche accuratamente conservate a Pompei, ci hanno consentito di comprendere lo spirito della vita di quel periodo, molto più efficacemente di quanto avrebbe potuto fare una grande e fiera scultura equestre
Quindi non c’è nulla da fare, nessuna teoria e nessun pensiero artistico o filosofico ci convincerà mai a lasciare che queste fragili opere possano durare un giorno in meno di quanto potremmo garantire con il nostro lavoro
Questo articolo mi è stato ispirato da un intervento che sto attuando in questo momento, un soffitto in carta dipinta su supporto in tela dell’Accademia di Belle Arti Tadini, al quale presto dedicherò un articolo
Testi e immagini
SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/11/IMG_1245.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-11-14 07:40:412020-04-21 09:27:58Il dilemma della transitorietà
Storia semiseria e semi noir del giorno in cui il ministero riconobbe i restauratori:
Il giorno 22 ottobre dell’anno del Signore 2018 accadde un fatto all’apparenza strano ma che, per i secoli a venire costituirà un evento epocale, a tratti inspiegabile. Studiato dai posteri alla stregua della data dell’eruzione del Vesuvio su Pompei…
È comparso l’elenco dei restauratori!
I primi a non poterci credere furono i restauratori stessi
Tra ansia, sconforto e acredine corrosiva si apprestarono, quel giorno, ad aprire la pagina a loro dedicata dal sito del MIBAC.
“SCREEEK” La pagina cigolò stridente, erano anni che nessuno toglieva le ragnatele da quel sito! La pagina apparve polverosa e immota come sempre!
Uno spiraglio apparve all’improvviso, dietro il numerino immobile della domanda inviata. “Rooottt” la pietra sepolcrale circolare rotolò lentamente di lato, una varco si aprì. Incredibile a descriversi quello che apparve agli occhi degli increduli restauratori.
Qualche “gnomo” o “folletto” operoso aveva, nella notte, inserito dei nuovi dati, aveva rimosso i depositi superficiali, alleggerito le croste nere ed inserito i nuovi dati, da non credere!
Agli avventurosi restauratori arrivati a quel punto comparve una nuova scritta “Esito della domanda”. Con mani tremanti ed il respiro corto fecero click.
In possesso dei requisiti …. No scusa, in possesso dei requisiti a chi???
A quel punto ebbero luogo le più strane e improbabili manifestazioni dell’animo umano; qualcuno saltò sulla sedia e urlò battendosi il petto come un eroico gorilla della foresta amazzonica, altri si lanciarono dal ponteggio, qualcuno scoppiò in pianto ed altri in risate isteriche, pochi eletti stapparono una bottiglia di esano gran riserva, mentre quelli impreparati si bevvero l’acqua di sciacquatura dei pennelli, solo in veneto avevano la bottiglia di vino pronta all’occorrenza. Ma la maggior parte rimase attonita, incredula. Avvezzi a secoli di bastonate, come i muli nelle bonifiche pontine, non ci credettero e dovettero chiedere a colleghi, congiunti ed eruditi che cavolo volesse dire “in possesso dei requisiti ai sensi del…”
La maggior parte di loro aveva i requisiti, qualcuno purtroppo no. Il giorno seguente probabilmente tutto sarebbe rimasto come prima ma la sensazione che la prima pietra fosse stata posata per edificare una normativa solida per una nobile professione rimase in tutti.
E mentre i funzionari ministeriali tremavano all’idea di aver creato nuovi mostri, emancipandoli dalla servitù della gleba, iniziò la festa e finalmente comparve il sole
Testi e immagini
Silvia ContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/10/IMG_0678.jpeg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-10-27 08:48:382018-10-27 11:04:47Storie di luci e di tenebre ... ai sensi dell'art 182 del Dlgs n 42...
secondo una nota del vecchio ministero dal nome nuovo, e dalla nuova informale forma comunicativa, in data odierna dovremmo avere le prime frammentarie notizie in merito all’elenco dei Restauratori di Beni Culturali
Heep heep Urrah!
Vabbè, stiamo a vedere!
A chi interessa la questione? Apparentemente a pochi sparuti
I primi interessati siamo noi restauratori, esseri anomali, galleggianti nella sfera dell’indefinito dalla notte dei tempi, da quando esiste un bene culturale e l’interesse a conservarlo. In fondo vorremmo solo sapere se ci fosse dato di essere carne o pesce. Se ci fosse dato svolgere le mansioni, che peraltro svolgiamo da sempre, nell’agognata condizione di chi sa di essere al proprio posto.
È così banale il desiderio che mi sento puerile nello scrivere
Eppure qualche altro interesse emerge all’orizzonte … le gare d’appalto pubbliche inseriscono con più frequenza l’esplicita richiesta della una figura professionale del restauratore e allora diviene interesse delle aziende del settore edile, sapere chi sono questi soggetti, avere un elenco e potervi attingere
Un altro interesse è legato a quelle schiere di giovani aspiranti restauratori formati e sfornati a ritmo continuo da miriadi di scuole di restauro su tutto il territorio nazionale. Per il momento popolano i call-center, sfornano pizze e servono caffè, ma che renderanno evidente una contraddizione eclatante. Unico modo per nascondere la contraddizione di formare tecnici per lavori inesistenti e problematici è dargli lavoro, magari proprio quello per cui sono stati spennati senza ritegno sino ad oggi!
Infine una rinnovata sensibilità per l’ambiente e l’opera dell’uomo che, sotto il profilo del pensiero culturale, sta facendo capolino all’orizzonte
Poche motivazioni, ma con trend in aumento
In realtà ci si crede poco e come potremmo mai
Eppure abbiamo dei dati che depongono a nostro favore, la consuetudine e la costanza di setacciare superfici immense con bisturi e pennellino è un esercizio di concentrazione che dona una forza immensa, quella della pazienza!
Così potrebbe accadere che quando anche questo ministro sarà acqua passata, quando il nome del ministero sarà cambiato altre quattro volte noi saremo qui a svolgere il nostro nobile lavoro, con o senza l’elenco… E per sfinimento arriverà pure quello!
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/09/IMG_9730.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-10-15 08:38:072018-10-15 20:29:23La forza della pazienza
“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio! …”
Così scrisse Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, uno dei brani più famosi dell’intero romanzo detto semplicemente “Addio monti”. Famoso perché racconta di un sentimento diffuso, quello che tutti provano, nel momento in cui si allontanano da un luogo amato e al quale sono legati in modo profondo
Vi state chiedendo quale relazione possa mai avere questo brano della più classica letteratura con il restauro, ebbene nulla è più calzante di questo scritto con il momento in cui un opera restaurata viene riconsegnata al mittente
È un momento difficile che solo i restauratori possono descrivere. Anzi, forse è meglio che non lo facciano!
Nulla di più distante dalla razionalità e dal senso di opportunità. Nulla di cui si possa parlare con altre persone, con altre categorie professionali, senza sentirsi addosso un paio di occhi sgranati Insomma una piccola follia tutta nostra che è meglio tenere celata
Il lavoro è finito, tutto è andato per il meglio, sarebbe giunto il momento di raccogliere proventi e quel pizzico di gloria … eppure, riguardando bene l’opera, forse manca qualche ritocco e, certamente attendere che la vernice stabilizzi sarebbe la cosa più giusta. Qualche volta siamo disposti a fare la figura di chi non rispetta i tempi e chiediamo un poco di tempo in più
Non importa se si tratti di un cantiere, di un dipinto o di una sedia; il distacco dall’opera con la quale si sono passati giorni, settimane, mesi a volte anni è sempre faticoso
Se si tratta di piccole opere, ormai sono divenute parte dell’arredo del nostro studio o del nostro spazio vitale, con le sculture ci parliamo, nei cantieri ci viviamo. E, a forza di viverli e viverci, sentiamo la loro voce e, non ci sentiamo neppure pazzi!
Pare strano ma è proprio insito nel fatto che si passino molte ore con l’opera che spesso consente di sondarne le caratteristiche tecniche e costitutive più recondite. Di comprendere a fondo cosa sia originale e cosa no, dove sia l’origine del degrado, quali le cause. Altre culture la potrebbero chiamare meditazione, concentrazione
Guarda caso i lavori fatti in fretta hanno più probabilità di presentare problemi, forse perché non c’è stato il tempo di connettersi con l’opera e comprenderla nel profondo? Forse si!
Infine chiudere un cantiere, concludere un lavoro di restauro, chiude una parentesi di relazioni, quelle che si erano stabilite per l’esecuzione dei lavori, con la committenza, i funzionari di zona, colleghi, fornitori siano essi di materiali o di caffè … insomma Manzoni, ha scritto l'”addio monti” per noi e non lo poteva sapere
Qual’è stato il vostro addio? ditelo nei commenti
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/09/IMG_9630.jpg40323024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-09-26 08:01:002018-09-26 08:32:08L' "Addio monti" nel restauro
Non ce ne siamo accorti, eppure in qualche momento della nostra storia si è perduto un connubio prezioso che rendeva unica la nostra arte
Parlo del legame tra arte ed architettura
Nel restauro sono classificate come superfici decorate dell’architettura, molti restauratori vi dedicano la vita professionale, molti storici dell’arte i loro studi
Vorrei focalizzare l’attenzione sullo stretto connubio, che le più antiche e belle città del mondo mostrano tra arte ed architettura. Per meglio comprendere il valore di questo legame perduto proviamo a pensare a cosa rende grande la nostra arte e rende uniche le nostre città storiche.
Potremmo dire l’urbanistica, i sontuosi palazzi, i dipinti nei musei e nelle chiese. Certamente! Ma la caratteristica peculiare di di quei palazzi e quelle cattedrali che ci fanno stare estasiati a testa in sù, sono le espressioni artistiche strettamente connesse al manufatto architettonico, nate per esservi indissolubilmente legate.
Mi riferisco ai dipinti a fresco, mezzi freschi, pitture a calce, decori a secco, graffiti, stucchi, soffitti lignei scolpiti e policromi e poi le opere lapidee come portali, portoni, sculture, colonne, mensole scolpite ed istoriate, capitelli istoriati, i mosaici e gli encausti
Tutte queste tecniche artistiche sono nate per decorare palazzi e chiese, e contribuiscono a rendere indissolubile il legame tra superficie dell’architettura ed espressione artistica
Non ce ne siamo accorti, ma in qualche momento della nostra storia ci siamo perduti questo anello, questo legame. L’evoluzione storica certo, la nascita di nuovi materiali e di un nuovo gusto. Una nuova economia che ha necessità di ritmo, produttività e velocità che aborrisce la lentezza. Forse lo abbiamo creduto ovvio e naturale
Così gli architetti, ad un certo momento della loro evoluzione professionale, anziché ricercare un accordo con il Michelangelo del futuro per trovare un equilibrio tra il genio espressivo e la finalità progettuale. Si sono trovati a sperimentare nuovi materiali dal gusto antico e a scegliere le piastrelle e le finiture da una catasta di cataloghi.
Allo stesso tempo gli artisti più apprezzati e quotati oggi progettano e realizzano le loro opere per ambientazioni spesso astratte, nella migliore delle ipotesi possono finire al centro di uno svincolo cittadino o in una teca nell’androne di un palazzo, ma sempre a se stanti, belle e sole, il più delle volte avulse dal contesto.
Abbiamo perduto qualcosa di prezioso la capacità di collaborare nel reciproco rispetto per creare qualcosa di più grande della somma delle singole professionalità. Confido nei corsi e ricorsi storici e attendo paziente che torni questo grande amore
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/09/IMG_9666.jpg40323024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-09-07 08:34:562018-09-07 10:06:27Il legame perduto tra arte ed architettura
Vi state chiedendo cosa sia mai la nevrosi del filo a piombo?
È una diffusa patologia che colpisce gli organi sensoriali di progettisti ed operatori in ambito architettonico ed è ben tollerata, anzi auspicabile, sino a che si estrinseca nei casi di progettazione dei grattacieli o delle villette a schiera con cappotto termico in polistirolo espanso. I problemi, anche gravi, insorgono nei casi in cui la patologia si manifesti in ambiti di restauro architettonico. In quel contesto specifico può avere effetti terribili, ma non per gli operatori che ne sono affetti, bensì per i beni sottoposti alle loro attenzioni!
È quella deviazione per cui ogni superficie dell’architettura, nei suoi rapporti intrinseci di piani e volumi, debba essere perfettamente lineare, ortogonale, parallela o perpendicolare
Linee dritte come saette che uniscono la sommità della copertura sino al piano di calpestio. Fughe prospettiche che paiono lame di coltelli, pareti piatte come lastre di vetro. Ci sono si anche angoli che non siano a novanta gradi, certo che sono ammessi. Quarantacinque, trenta? Ma che siano precisi!
Bene, direte voi, qual’è il problema? L’architettura è fatta da piani e volumi che si intersecano lungo linee parallele e ortogonali tra loro
Vero, ma se guardiamo con attenzione l’architettura storica, anche la più precisa e geometrica come quella di Palladio, ad esempio,
noteremo che le superfici non sono piattissime, gli spigoli non sono vivi, i raccordi tra modanature e sotto squadri non sempre sono a novanta gradi. Tutte le superfici, quelle antiche originali, se le guardate con attenzione, hanno delle minime imperfezioni. Le ampie pareti hanno impercettibili avvallamenti, gli spigoli hanno linee che curvano e si arrotondano anche se minimamente e non era solo per la tecnica o la tecnologia mancante all’epoca, ma era una scelta di gusto e la dobbiamo rispettare.
Ora, se il progettista o l’operatore dell’architettura si trova ad intervenire sulle superfici siano esse di intonaco o stucco di un bene architettonico storico e, per via della sua nevrosi del filo a piombo ci raddrizza ogni imperfezione. Il risultato sarà terribile. La nostra chiesa o il nostro palazzo assumerà l’aspetto di una qualsiasi villetta a schiera dell’hinterland delle nostre città, (fatto salvo la differenza dimensionale)
Ciò che ci fa innamorare dell’architettura storica e che la rende unica rispetto agli edifici contemporanei sono quelle minime imperfezioni delle sue superfici, che nulla tolgono alla grandiosità dell’opera, semmai la rendono unica e irripetibile. Rendere rettilineo tutto quello che si trova, corrisponde a soffocare un bene architettonico, a togliergli respiro, espressione e vita
Oh voi che potete, curate quella mortifera malattia della nevrosi del filo a piombo o nulla della nostra architettura antica si salverà!
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/08/IMG_2324.jpg24483264Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-08-31 08:54:572018-08-31 12:58:43La nevrosi del filo a piombo nel restauro
Come in un trattato bislacco di antropologia psicoanalitica … Un decalogo che potrebbe svelare i segreti più reconditi del mondo del restauro, il rapporto tra i restauratori ed il cibo
Cosa mangiano i restauratori, qual’è il loro rapporto con il cibo, scoprirete che anche in questo caso i restauratori hanno delle peculiarità assolutamente “artistiche”
1 I restauratori amano il cibo, questa è una verità assoluta! Dev’essere un qualcosa che ha a che fare con l’amore per la vita che si riflette anche in quell’insano desiderio di dare nuova vita ai ruderi fatiscenti. In tanti anni di cantieri non ho mai incontrato un restauratore che non amasse il cibo o che non fosse goloso. lo amano in modo panteistico e disinibito, infatti tendono a sperimentare le più spericolate ed estreme forme di alimentazione
2 I restauratori, essendo animali migratori, hanno una cultura del cibo molto ampia, normalmente posseggono una mappatura precisissima di vasti territori dove trovare gelaterie, pizzerie, sushi bar, laboratori di pasticceria, e postacci infimi dove degustare i piatti tipici più folli e calorici nonché controindicati da qualsiasi regola alimentare
3 Il pranzo di cantiere è il momento aulico, rivelatore di una specie umana unica, poiché mostra la messa in atto di tutte le strategie e lo spirito di adattamento e inventiva tipico della categoria dei restauratori. Si potrà vedere chi scalda il pranzo vegano portato da casa al calore della lampada infrarossi e chi preferisce il classico fornelletto da colla. Chi si porta le lasagne della mamma e chi la quinoa con il seitan rigorosamente bio. Chi apparecchia i tappi dei secchi, prima utilizzati come tavolozza, con fogli di carta giapponese, e improvvisa posate mai viste prima. Chi essendo a dieta perenne sfodererà una castissima mela e la addenterà sognando il kebab giù in strada. Poi troverete il palestrato che agita in shecker improvvisati, improbabili beveroni iper proteici. Quando si opta per il pranzo fuori, la prima fase consiste nel rendersi minimamente presentabili, rimuovendo i calcinacci da scarpe, abiti, capelli e sciacquandosi il volto in qualche secchio. C’è chi si cambia e chi sfoggia la tuta, bianca maculata, con nonchalance. Poi c’è la “fashion lady” che prima di andare al ristorante, frequentato da camionisti e muratori multietnici, si rinfresca il trucco facendo la punta al kajal con il bisturi e ravviva i capelli infeltriti dalla polvere con gesto di assoluta plasticità, indossa il pile decathlon con originalità poiché consigliata nel look dall’inseparabile collega cultore di trend look, per il quale la moda non ha segreti!
4 Il restauratore in cucina è molto creativo, a volte troppo. Si destreggia con la colla di pesce come nessuno al mondo. Spesso si deve trattenere dallo sperimentare l’aggiunta di colla forte da foderatura, per ottenere quella famosa bavarese dall’aspetto scultoreo
5 Il panino mangiato su un ponteggio, tra le tegole del tetto di una Chiesa o sui gradini della villa storica tra i calcinacci ha un sapore unico di sogni e libertà, che credo sia di difficile comprensione per qualsiasi altra categoria umana dotata di senno
6 La restauratrice (scrivente), quando le suore di clausura le regalano la verdura del sacro orto, che si trova giusto accanto al cantiere, non può trattenersi dal perdere tempo per fare delle foto demenziali ispirate ad Arcimboldo … come quelle di questo articolo
7 Quando il restauratore si imbatte in un albero abbandonato e debordante di frutti all’interno di un cantiere , lo allevia magnanimamente dal suo peso, mangiando direttamente dall’albero una quantità inverosimile di frutti, ma lo fa per amore della natura, intendiamoci!
8 Il restauratore conserva le peculiarità della specie anche in ambiti casalinghi, pertanto evitate di utilizzare posate o tegami che rinvenite casualmente nella casa del restauratore in luoghi insoliti, tipo sul balcone, nello sgabuzzino o in bagno… potrebbero essere state utilizzate per mescolare il carbonato di ammonio o il benzalconio cloruro oppure per addensare panetti di chissà quale diavoleria chimica, lasciate stare e, se proprio dovete sapere di che si tratta, non vi resta che rivolgervi alla polizia scientifica!
9 Un cantiere di restauro non si può dire tale se, tra un secchio ed una scatola di pennelli, vicino alla zona adibita a camerino, delimitata da quattro pezzi di cellophane di riuso … non si trova la piccola dispensa della “schifezza” tipo merendine, cioccolato e la peccaminosa immancabile nutella. Lo yogurt, essendo troppo salutare, lo si mangia solo per garantire la fornitura di barattoli al cantiere … praticamente un esigenza di servizio!
10 la pausa caffè è sacra … sopratutto in quei cantieri senza il bagno o peggio in quelli dotati di WC chimico. Vi chiedete cosa centri il caffè con il bagno? C’entra, c’entra, fidatevi!
Aggiungete voi, nei commenti, gli altri punti dell’elenco
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Piccola digressione su di un termine lessicale molto ricorrente nel nostro periodo storico …”Vergogna”
Vergogna. Termine del tutto applicabile e calzante al mondo del restauro, quel mondo ben noto a me, ai miei colleghi restauratori e a tutti quelli che a vario titolo si occupano di restauro. Il mondo dei beni culturali lasciati deperire, delle procedure burocratiche lasciate ad ammuffire e dei professionisti per modo di dire
Tutto una vergogna, comportamenti vergognosi, vergognati! Dovreste vergognarvi … e coì via. Non vi è giorno in cui all’apertura di giornali e social non si trovino almeno un paio di “Vergona!” già dalla prima schermata, applicata a qualsiasi ambito dello scibile umano
Non so come ma sto maturando degli anticorpi alla parola vergogna. Eppure la vergogna è un sentimento che tutti proviamo, quando sentiamo le gote infuocarsi e vorremmo tanto sprofondare di qualche centinaio di metri sotto alla crosta terrestre, ecco quella è la vergogna
Ma temo che in questo periodo storico abbia perduto il suo significato, si sia svuotata. Pronunciarla con sdegno o farla tuonare non cambia lo stato delle cose. È diventato un mantra , un grido di guerra “Vergognati! Vergognati tu!” e nessuno, proprio nessuno più, prova vergogna per se, pensa solo che la dovrebbero provare gli altri, ma questo vale assai poco! Direi che è un esercizio sterile tra esseri simili
Penso che sarebbe molto più auspicabile utilizzare di meno la parola vergogna e provare a sentire nel profondo cosa significhi. Le dinamiche del pensiero hanno meccanismi e motivazioni complesse, cercare di comprenderle potrebbe tutelarci all’abboccare ad un grido di guerra qualsiasi.
Rispolverare il rispetto avrebbe un significato ed un effetto sociale maggiore!
Il mondo della terracotta, come già mi è capitato di trattare su questo blog, è molto vasto per cui si rende utile suddividerlo in macro aree al fine di poterlo comprendere ed indagare al meglio.
Questo secondo articolo sulla terracotta si occuperà di un aspetto apparentemente banale, ma su cui ritengo utile indirizzare l’interesse e l’osservazione è il decoro modulare dell’architettura, ovviamente in terracotta
Se prestiamo attenzione i dettagli o motivi decorativi modulari nell’architettura in laterizio di terracotta sono veramente molti, possono riguardare porzioni sotto gronda, cornicioni, balconi, portali d’ingresso, pennacchi e comignoli
Tutti elementi decorativi che derivano dalla natura modulare intrinseca al mattone o laterizio in terracotta
È una particolare tecnica decorativa che spesso è la risultante dal semplice posizionamento di una fila di mattoni in terracotta con un angolazione lievemente ruotata, così da creare un elemento decorativo modulare.
Una tecnica semplice ed economica ma di grande impatto decorativo
Questa tecnica decorativa è molto diffusa nell’edilizia storica e monumentale sino all’archeologia industriale. Copre un arco temporale estremamente vasto, che va dal medioevo alla prima metà del ‘900, ma se indaghiamo con attenzione ne troveremo anche prima e dopo tale periodo
Gli elementi modulari che creano dettagli decorativi, nell’architettura storica tendono ad avere oltre che un allettamento ruotato o angolare dei mattoni, anche degli specifici elementi decorativi, magari semplici e a stampo ma che collocati consequenzialmente assumono un andamento modulare ed un aspetto decorativo imponente. Archetti ciechi, colonne tortili, motivi floreali ed altro ancora
Questa stessa tecnica nell’edilizia ottocentesca o nei capannoni dedicati all’artigianato o all’industria è sfrondata dagli elementi decorativi a stampo, resa essenziale e ancor più economica ma tuttavia molto efficace sotto il profilo estetico
Nell’archeologia industriale si utilizza come base decorativa il semplice mattone da costruzione, variandone l’allettamento
Vediamo alcuni esempi: nell’immagine sotto un balcone i cui motivi decorativi sono disegnati dal posizionamento verticale e orizzontale del mattone e dai vuoti da essi lasciati
Nel seguente decoro sotto gronda abbiamo un posizionamento a 45 gradi longitudinale che crea l’effetto cornicione e 45 gradi orizzontale che crea il decoro della fascia
Chissà quanti ne vedrete ogni giorno di questi decori ed ora ne troverete a bizzeffe , buona ricerca
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