Il potere dell’arte

L’arte salva dal quotidiano

La riflessione di questo articolo mi sorge così, come una reazione istintiva di fronte al ridicolo spettacolo della  politica

L’arte è finzione manifesta, ha il potere e la grandezza di poterselo permettere

ha il coraggio di essere dichiaratamente illusoria mentre nella vita di tutti i giorni, sopratutto in quella politica, si vede un grande affanno nell’illudere di essere veri di avere progetti alti. Il programma  può esistere, ma potrebbe essere ancor più meschino della mancanza totale di idee.  Finzioni, meschinità, minuscole banalità mascherate da grandi intenti.

L’arte è altro da tutto ciò, non ha bisogno di fingersi ideologicamente alta per essere tale, può esprimersi sotto ad un cavalcavia o in un provocatorio barattolo di “merda d’artista” ma continuerà ad essere infinitamente più alta  della politica pezzente ed arrivista. L’artista può indossare una tuta sgualcita oppure essere nudo in una performance di body art e sarà infinitamente più vero, più carismatico ed elegante degli abiti di sartoria di chi vuol provare a rendersi credibile.

Perché chi fa arte e chi se ne occupa conosce una dura regola; verrà selezionato dalla storia e solo i migliori passeranno quel varco, è complicato spiegare  quale sia il meccanismo ma questo è quanto! A nulla sono valsi nella storia i tentativi di inganno! Sarà che chi si occupa di arte  matura una sensibilità più profonda, legata all’essere altro al vedere da fuori al coraggio di sondare ciò che non si dovrebbe.

A tal proposito non possiamo dimenticare che i grandi della storia sono spesso ricordati per la lungimiranza rispetto all’arte, quella che hanno saputo comprendere e promuovere.  Papa Giulio II viene spesso accompagnato dalla figura di mecenate, in particolar modo di Michelangelo, così come il Cardinal Del Monte, che ebbe il lume di vedere un genio in Caravaggio, oppure il Cardinal Federico Borromeo che fondò la biblioteca e poi la quadreria ed infine l’Accademia Ambrosiana di Milano

Se vi sia una soluzione non lo so, ma chi si occupa di arte può  ascoltare la politica, analizzarla come se guardasse un dipinto, una performance e giudicarla, lo può fare! Giudicarla dalla capacità di essere grande, di andare a fondo e di rendere grande il proprio paese. In ogni caso chi vive di arte ogni giorno, chi ha il privilegio di guardare l’arte da vicino può fare cose importanti e non sarebbe saggio farsi burattino di chi i burattini manco li sa inventare

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SilviaContiRestauroConservativo

Il ritocco nel restauro

In questo articolo vorrei spendere qualche pensiero sul ritocco nel restauro conservativo

Il ritocco nel restauro conservativo è una delle molte fasi di lavorazione, una delle ultime di un intero restauro. Dal punto di vista conservativo è tra le più semplici. Una volta garantita la reversibilità del pigmento e dei leganti utilizzati per lo stesso, non vi sono problemi, nel senso che potrà essere agevolmente rimosso in un futuro intervento, senza danni per l’opera.

Eppure il ritocco è una di quelle fasi del restauro che può determinare o compromettere l’intera  riuscita di un restauro. Può determinare la leggibilità di un opera o la può compromettere, proprio perché si occupa del livello estetico di percezione, fruizione e leggibilità . Infatti il tipo di ritocco viene concordato, in via preventiva, con il funzionario competente della Soprintendenza, quasi mai viene lasciato al libero arbitrio del professionista.

Per ritocco si intende l’integrazione pittorica di piccole e medie lacune della superficie pittorica di una data opera d’arte, finalizzato a facilitare la lettura dell’opera stessa.

Il ritocco può riguardare molte delle tipologie di opera soggette a restauro; dai dipinti ad olio su tela e tavola, agli affreschi, ai grandi elementi decorativi dell’architettura, alla scultura policroma e dorata, agli stucchi, e molte altre superfici decorate e policrome.

Vi sono varie tecniche di ritocco che spesso si suddividono a seconda della volontà progettuale del restauro di rendere o meno visibile, distinguibile o riconoscibile (ad occhio esperto) il ritocco dalla superficie originale

Tra le più diffuse tecniche di ritocco vi sono il rigatino, il puntino o le piccole macchie che tendono a creare una sorta di cucitura della trama perduta, la selezione cromatica, la velatura a tono o sotto tono ed il mimetico

Il ritocco costituisce anche una prova di abilità per noi restauratori. Una sorta di esercizio di meditazione, quasi ipnotico, che ti può mettere in contatto profondo con l’essenza dell’opera d’arte e ti consente di sentirne ed interpretarne la voce, come un musicista quando esegue uno spartito. E quando scopri di averlo interpretato nel modo corretto, proprio come l’autore intendeva, puoi toccare il cielo!

 

Quando mi reco nella galleria degli Uffizi a Firenze e mi perdo dinanzi  alla Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, guardo il basamento, quello con le arpie e le iscrizioni, in gran parte  ricostruito con la tecnica a rigatino, arpie comprese. Credo sia stato restaurato agli inizi degli anni ’80 del ‘900.  Ecco quando lo guardo, non voglio più sapere cosa penso sotto il profilo ideologico, di quel tipo di integrazione scelta, ebbene, vorrei solo baciare in fronte quel genio che lo ha ritoccato, colui o colei che ha realizzato quell’opera d’arte nell’opera. Grazie, una vera delizia per una restauratrice!

Il ritocco è anche la fase di lavorazione più soggetta in assoluto alle mode del momento, dal tipo di ritocco che vediamo su di un opera possiamo determinare con una discreta agilità il periodo in cui è stato restaurato ed anche l’area geografica.

Normalmente è la prima parte di un restauro che viene eliminata dal successivo e, con essa se ne vanno il pensiero e il gusto percettivo di un dato periodo storico. Per questo documentare il restauro diviene esercizio di storia dell’arte

 

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SilviaConti  RestauroConservativo

 

Analisi dei danni – ridipinture 2

In questo articolo, fatte salve le premesse descritte nel primo articolo sulle ridipinture, analizzerò un caso  di una policromia di una scultura lignea ripresa con colori a corpo.

Va detto che le sculture lignee e le opere mobili policrome in genere sono quelle più soggette in assoluto alla sovrammissione di strati di colore a corpo che riprendono più o meno fedelmente i colori sottostanti. Chiunque si occupi in qualche misura di beni culturali, non può non aver costatato questo dato .

Tale consuetudine è probabilmente dettata dalla maggiore facilità, da parte di chi gestisce dette opere, siano essi privati o enti ecclesiastici, di ovviare alla pulitura del manufatto con uno strato di nuova vernice … più veloce, più economico e non servono specialisti. Mentre per dipinti su tela o murali vi è una qualche remora, in caso di scultura policroma, non resistono alla tentazione  e se non siamo di fronte ad un opera di altissimo valore artistico, custodita in un museo, possiamo stare certi di trovare strati di colore a corpo, che l’hanno ripresa anche più volte in un centinaio di anni.  La situazione  peggiora e gli strati si moltiplicano se la scultura in questione ha una valenza devozionale. Non so se sia per ingraziarsi il Santo in questione ma i suoi fedeli sono sempre prodighi di nuovissimi barattoli di vernice!

Il caso che intendo analizzare è una scultura lignea policroma raffigurante san Rocco.

Le ridipinture in questo caso riguardano il manto, il bastone, l’abito ed  il volto, mentre la parte bassa dell’opera pare preservata da tale intervento.

Sul manto le due conchiglie del pellegrino di colore marrone, così come la cintura sono porporina ossidata. Il  colore nero è uno smalto relativamente recente, probabilmente sintetico, mentre le ridipinture del  mantello rosso ed abito verde, risalgono alla prima metà del ‘900, si tratta presumibilmente  di uno smalto all’olio. Vista la consistenza e la lucentezza.

Il piccolo cane ai piedi  è stato parzialmente risparmiato, così come l’incarnato della gamba del Santo, che conserva una qualità pittorica molto interessante e che potrà costituire un parametro per la conduzione dell’intervento.

Riconoscere le porzioni ridipinte da quelle conservatesi è di assoluta importanza al fine di calibrare con cautela l’intervento di pulitura delle superfici policrome.

A volte è difficile intravedere sotto agli strati di colore la qualità scultorea dell’opera, che essendo policroma, ha sin dalla sua ideazione un interazione molto importante tra volumi e colore. Equilibrio da tenere sempre presente durante il restauro.

 

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SilviaContiRestauroConservativo

 

Analisi dei danni – ridipinture 1

In questo articolo vorrei analizzare una frequente tipologia di danno che riguarda in genere le superfici dipinte policrome, sia di dipinti murali a fresco che a secco, dipinti su tela e opere lignee policrome. Parlo della presenza di strati di colori a corpo soprammessi alla pellicola pittorica originale. 

In buona sostanza, ci si trova dinanzi ad altri restauri che per motivi  molto diversi e variabili, si sono trasformati nel tempo in un “danno“.

In alcuni casi si tratta di ritocchi alterati, ovvero piccole porzioni o pennellate di colore utilizzato per integrare lacune che, avendo una grado di stabilità alla luce diverso da quello originale, hanno assunto nel tempo colorazioni difformi rispetto ai pigmenti originari, che dovevano integrare.

In altri casi sono vere e proprie ridipinture, ovvero ampie e complete stesure di colore più o meno a corpo che ricoprono e riprendono le forme della sottostante opera d’arte

I colori soprammessi che ci troveremo dinnanzi possono essere di svariata natura e variano a seconda di una serie di fattori, che vanno dalla peculiarità territoriale  alla datazione, e una serie di altre variabili.

Se è possibile ottenere  della documentazione in merito a questi vecchi interventi, ci sarà di grande aiuto. Tuttavia, in molti casi è necessario saper distinguere il materiale soprammesso direttamente dall’analisi visiva e tattile, al fine di poterlo rimuovere con maggiore precisione.

Se la superficie ridipinta  è un elemento decorativo dell’architettura ed  stata eseguita da un decoratore o genericamente “pittore”, potremmo trovarci di fronte grossomodo alla seguente tipologia di materiale

  1. Se l’intervento è precedente agli anni ’60 del ‘900 sarà probabile trovare casseati di calcio, colori a calce e tempere con leganti organici
  2. Se l’intervento è stato realizzato dagli anni ’60 ’70 del ‘900 potremmo trovarci di fronte a  tempera o calce, ma possiamo contemplare anche   la comparsa dei primissimi vinilici, nati per il restauro del legno ma dilagati poi su ogni superficie
  3. Se l’intervento è stato realizzato dagli anni ’80 del ‘900 ad oggi  è molto probabile che sia realizzato con colori   acrilici o polivinilici, genericamente di quelli in vendita nei colorifici

Se la superficie ridipinta riguarda una scultura lignea policroma prepariamoci ad affrontare smalti ed affini, i più antichi saranno smalti all’olio, poi smalti sintetici ed infine smalti all’acqua, paradossalmente questi ultimi sono i più tenaci da rimuovere.

In questo articolo vorrei analizzare un caso specifico di intervento di ridipintura su di una superficie a fresco realizzata attorno agli anni 80 del ‘900

In questo caso vediamo un esempio di ripresa di un dipinto a fresco con colori a corpo di tipo acrilico

Innanzitutto è bene osservare il dipinto a luce radente, così da poter individuare i sollevamenti della pellicola pittorica e le eventuali porzioni  “lucide” che segnalano la presenza di materiale acrilico o vinilico

Un dato  che ci consente di riconoscere il tipo di ridipintura è il suo degrado, ovvero il tipo di sollevamento e distaccamento della pellicola pittorica. Attenzione si intende quella di ritocco. Ebbene questo strato di colore, in presenza di umidità, si distaccherà dalla superficie, prima a piccole bolle gommose e poi a scaglie .

Nella fase immediatamente precedente il distacco potremo osservare, come nell’immagine seguente, una diffusa ossidazione della pellicola polivinilica soprammessa. Questa diverrà opaca, lattiginosa e comincerà a creare delle tensioni superficiali che porranno le condizioni per il distacco  ed il sollevamento della pellicola pittorica

Nell’immagine d’insieme si può osservare come in luogo delle cadute della pellicola pittorica di ritocco, permangano comunque tracce di colore, che guarda caso resistono al passaggio dei sali solubili di nitrato, poiché sono i pigmenti naturali originari del dipinto

Appuntamento ai prossimi articoli per analizzare altre tipologie di ridipintura!!

Testi e immagini SilviaConti@RestauroConservativo

Il dilemma del piccione

In questo articolo vorrei parlare del dilemma del piccione

Chiunque si occupi di restauro dei monumenti sa bene di quel che parlo, ma anche il resto dell’umanità penso possa essersi trovata una qualche volta di fronte alla questione.

Aggirandosi per molte città, basta alzare lo sguardo per scorgere, all’apice dei palazzi e dei  monumenti di interesse storico artistico, una strana selva di punte aguzze che adorna la sommità degli elementi decorativi, come dei minuscoli fili spinati che volgono le loro esili braccia al cielo.

Quelli sono i sistemi anti piccione

Strumenti costruiti con l’ingegnosità bellica difensiva, repellenti e repulsivi, che hanno il fine di non far appoggiare i volatili, i piccioni in particolar modo, sulle piccole sporgenze e sugli elementi aggettanti di sculture e palazzi.

Non me ne vogliano le ditte produttrici di questi minuscoli strumenti bellici, ma quando vedo i palazzi decorati da queste curiose metalliche capigliature a spazzola, mi vien da pensare che preferirei vedervi un piccione appollaiato!

Così il dilemma: se sia meglio un piccione appollaiato o l’architettura “spinosa” si risolve nell’evidenza del peso estetico di questa seconda opzione.

Penso che questi strumenti inficino la percezione, la corretta lettura architettonica delle facciate, sopratutto quando sono tanti e costanti su ogni minima sporgenza architettonica. Inoltre accade di vedere questi strumenti posti anche sugli elementi di rilievo scultoreo, magari non restaurati, ma ricoperti di queste punte fissate in ogni anfratto. Ovviamente con della resina epossidica bi-componente che, come tutti sanno, brilla per reversibilità!

Infine se posso aggiungere una nota di esperienza personale, quando mi è capitato di rimuovere, in occasione di restauro, questi strumenti ormai vetusti erano un ricettacolo di sporcizia, piume e guano, alla faccia di chi pensava potessero essere un deterrente.

In fondo i piccioni hanno la caratteristica  di essere quei volatili che maggiormente si sono adattati alla vita sociale dell’uomo e per questo li odiamo. Lanciandomi in uno psicologismo da quattro soldi, mi viene da pensare che sia  perché sono lo specchio della nostra umanità cittadina.

Del resto, lo so bene cosa accade quando si sale su di un campanile, pensando di osservare le caratteristiche degli intonaci della cella campanaria … non è un piacere trovarsi in un mare di concime.

Eppure continuo a pensare che tutto questo sarebbe risolvibile mettendo al centro la manutenzione. Spendendo quattro soldi, ogni anno con cadenza regolare, per mandare una ditta di restauro con una cesta a rimuovere i depositi superficiali incoerenti. Un lavoro di due giorni ogni anno … ce la possiamo fa?

 Che dite?

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

Letteratura, restauro e restauratori

Cosa c’entrerà mai la letteratura con il restauro!

Da qualche tempo mi passeggia per la mente il pensiero della relazione tra restauro e letteratura e  per ovvia conseguenza,  tra restauratori e letteratura

In realtà la letteratura c’entra sempre, c’entra con tutto, pur occupandosi di trattati, storie e narrazioni, non necessariamente reali , ha una strettissima connessione con la realtà e, a volte la determina.

Tutto quanto esiste al mondo di bello, di brutto, di aulico o spaventoso è stato narrato e descritto nella letteratura. La definizione più efficace della letteratura la fece Francesco De Sactis: “Sintesi organica dell’anima e del pensiero di un popolo”

Esiste una letteratura del restauro,   soprattutto per quanto attiene la parte teorica e tecnica. Lo sappiamo bene, chiunque si occupi di restauro si è trovato tra le mani la “teoria del restauro” di Cesare Brandi e la “Chimica del restauro” di Matteini Moles.

Ma il restauratore? La figura del restauratore no, non ha una sua letteratura. Se escludiamo Giovanni Secco Suardo … che guarda caso è l’unico teorico e restauratore che tutti ricordano. Il restauratore viene citato in questa o quella norma, ne  vengono delineate le caratteristiche o i percorsi formativi, ma da qui ad avere una letteratura dedicata … ce ne passa.

Arrivo subito al punto della questione, una figura professionale non esiste senza letteratura!

Proviamo a pensare a tutte le categorie sociali da  quelle antiche a quelle contemporanee, nobili e guerrieri, senatori e gladiatori, concubine, nobildonne, streghe e meretrici,  porporati, cappellani, dottori ed avvocati, artisti, minatori, impiegati e bibliotecari,  mondine, casalinghe, pazzi, barboni e letterati, studenti, sfaccendati, ladri ed assassini, contadini, operai, commercianti e salumieri, fruttaioli e pescatori e … potrei continuare per chissà quanto ancora, ma giusto per dare un idea di quante figure ha delineato la  letteratura.

Ebbene, tutte le categorie sociali hanno una letteratura dedicata. Di alcune di loro, estinte nel tempo, ne conosciamo le caratteristiche proprio grazie alla letteratura. Probabilmente oggi non sapremmo dell’esistenza  di alcune di queste categorie se non ne esistesse una letteratura, pensiamo ad esempio ai gladiatori, come potremmo immaginare della loro esistenza, si certo sono riprodotti nei mosaici e nelle sculture ma la letteratura ci fornisce i dettagli, li colloca socialmente e ci fa percepire il loro respiro.

Gli artisti sono descritti nelle “Vite” di Vasari, i cafoni della Marsica hanno trovato la loro voce in “Fontamara” di Ignazio Silone, i piccoli impiegati sono descritti in modo geniale e profondo nel “Castello” di  Kafka, lo strano personaggio affetto da epilessia è descritto nel “L’Idiota” di Dostojewsky, i padri fondatori dello stato ebraico sono descritti in “una storia di amore e di Tenebra” di Amos Oz, i filatori  della seta sono descritti nei “Promessi Sposi” di Manzoni, e poi quasi tutto il resto delle categorie umane sono descritte in “Guerra e pace” di Tolstoj…

Ma, i restauratori, quelli no, forse si tratta di mia ignoranza in materia ma non conosco letteratura di rilevo che parli dei restauratori.

… Allora il mio pensiero si sposta: “cosa fare di sensato per porre rimedio a questa lacuna”

In questo momento storico dove vengono riconosciute e tutelate tutte le categorie di professionisti ed artigiani dall’ingegnere all’idraulico … fatta esclusione per i restauratori.  Colmare la lacuna letteraria sulla figura del restauratore diviene importantissimo.

Per cui mi sento di fare un appello a tutti i colleghi che amano scrivere, a tutti gli scrittori in cerca di un soggetto, scrivete di noi,  scriviamo di noi, parliamo dei restauratori, della nostra arte e delle nostre vite. Contribuiremo a “memorizzare” nella storia letteraria la nostra figura. Saremmo dei pionieri. Potrebbe essere un azione salvifica, benefica ed umanitaria, salveremmo una specie dall’estinzione, facciamolo come lo faremmo per il panda della Cina o per il lupo della Maiella

Così sarà più difficile  fingere che la categoria esista, poiché non esistiamo in letteratura!

Vogliamo quantomeno rendere più irto il cammino di chi non vuole riconoscerci? Direi che ne vale la pena, anche solo per garantirci una solenne risata.

 

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Volo sul bene culturale

In fase di progettazione restauro

un video, gentilmente concesso dall’associazione Amici di San Giovanni,

del santuario di San Giovanni In monte Cala a Lovere

 

Clicca per il video

La visuale dall’alto mostra con più precisione l’inserimento territoriale di un dato manufatto. In questo caso l’insediamento era nato in tempi antichi per finalità difensive, i primi documenti risalgono al XIII secolo, ma altri documenti traslati nell’ottocento citano il passaggio in quel luogo di Carlo Magno

Già questa pianta ci fa intuire la stratificazione degli elementi architettonici

…nel frattempo all’interno del santuario

si analizza , si studia e si progetta il restauro

 

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

Vido gentilemente concesso dall’associazione Amici di San Giovanni

Identità, restauro e cavoli a merenda

Nei giorni scorsi ho pubblicato un decalogo, dieci punti per riconoscere un vero restauratore. È stato divertente scriverlo e pare lo sia stato anche per i lettori leggerlo.

In realtà si trattava di una modalità ironica per parlare di un argomento piuttosto serio, per tracciare le linee di un identità forte e reale. Un identità esistente! Quella dei restauratori Italiani

Ma perché questa identità di una classe professionale non si afferma? Possiamo constatare con un analisi semplice ed essenziale  che vi sono delle evidenze che non si impongono come tali e mille altre inezie poco logiche e sfuggenti che però tengono le redini  di un mancato riconoscimento

  1. Il restauro c’è ed esiste è una disciplina ed  il lavoro che svolgiamo tutti noi restauratori, ogni giorno, nonostante tutto
  2. I restauratori esistono, sono gli stessi che restaurano ogni giorno i manufatti
  3. Poi ci sono persone, situazioni anomale e sciocche, che con il restauro c’entrano come i cavoli a merenda ma che assumono e determinano il controllo della situazione. Sono piccole incongruenze, piccoli disturbi burocratici ed altri moscerini, ma che determinano l’andamento dell’intera questione del restauro

Al fine di comprendere questa dinamica forse è il caso di analizzare in via preliminare alcuni fattori.

Pensiamo alla  categoria dei restauratori, si trova in una posizione arretrata per quanto attiene il riconoscimento burocratico, e in una posizione  semi incosciente  in quanto categoria professionale identitaria. 

Penso che uno dei motivi che induca nel restauratore questa identità sfocata, mancante o non riconosciuta, sia proprio quell’eterna situazione di precarietà normativa

Parrebbe strano ma purtroppo i due elementi sono strettamente connessi tra di loro; la burocrazia non riconosce i restauratori ed i restauratori non si riconoscono.

A ciò contribuisce non poco  l’assenza di un percorso formativo comune, che fomenta le differenze e le piccole schermaglie interne. La mancanza di un percorso formativo comune che, guarda caso, continua ad essere favorito e spinto dalle istituzioni con l’autorizzazione di una miriade di percorsi formativi per il restauro,  non può che contribuire al frammentarsi della coscienza identitaria del restauratore

Ma vediamo l’atteggiamento della burocrazia nei nostri confronti

Cos’è la burocrazia oggi. È un ordine tecnico, capillare e dilagante che norma e regola ogni nostra azione quotidiana, dal lavoro alle più banali attività. Pensiamo per un attimo a quante volte in un giorno ci viene richiesto un documento d’identità, un tesserino di riconoscimento, una password, una firma per il trattamento dei dati personali o un codice PIN. Molte vero?

La burocrazia di una società è multiforme. Necessaria per arginare ciò che è illegittimo, opprimente per chi deve dimostrare l’ovvia e dovuta legittimità. Da un lato ci tutela, dall’altro ci controlla. Tutto cataloga, tutto suddivide, tutto ordina e tutto  incasella. Da un lato garantisce e riconosce, dall’altro blocca e disconosce.

Bene ora pensiamo a quale anomala situazione può essere quella in cui una categoria che lavora ogni giorno pare per un fine nobile, sia riconosciuta solo parzialmente. Ovvero il codice ATECO esiste,”90.03.02 Attività di conservazione e restauro di opere d’arte”. Gli studi di settore pure, ci chiedono ogni anno se abbiamo restaurato  dipinti e quanti su tela, quanti su tavola che percentuale di affreschi, di libri e  di sculture abbiamo trattato, quanti manufatti soggetti a vincolo e quanti no, quanti di proprietà privata e quanti pubblica, eccetera, eccetera. Ma, fermi tutti! Un dubbio lancinante coglie il ministero! Ma siamo sicuri che colui o colei che svolge quel lavoro, lo stesso per cui ha avuto autorizzazione della Soprintendenza, lo stesso per cui paga le tasse e per il quale compila quella puntualissima rilevazione statistica…sia in possesso di tutte quelle caratteristiche richieste e previste dalla normativa vigente? 

Si scherza? Forse si ma non fino in fondo! Infatti questo anomalo soggetto che restaura i monumenti fissi e immobili e gli oggetti mobili, non risulta essere appartenente ad alcuna categoria. O meglio per creare la categoria dedicata si è reso necessario mettere a punto una procedura apposita, molto, ma molto, ma molto complessa. Irta di intoppi, impedimenti e prevedibili imprevisti!

L’avete capito vero? Sto parlando dell’ormai mitica Procedura Transitoria per il Conseguimento della Qualifica di Restauratore!

Eppure una via d’uscita per l’eroica commissione valutatrice, che annaspa e annega tra i nostri documenti ormai ammuffiti, ci sarebbe.  Potrebbe, previo consenso informato, inserire il nostro codice fiscale nella pagina dell’agenzia delle entrate e capire in un baleno, chi siamo, su cosa lavoriamo, da quanto tempo ci sfamiamo con il restauro, se ci occupiamo di opere tutelate o no, se lavoriamo per privati o per il pubblico, (e questo sarebbe verificabile anche per i dipendenti delle ditte di restauro).  Con buona pace loro e nostra.

Ma scordiamocelo! Pare proprio che nel nostro caso, connettere le sinapsi della burocrazia sia  di una difficoltà insormontabile. Vedere di cosa ha vissuto un soggetto negli ultimi 10 anni dovrebbe essere il procedimento più banale per un apparato statale! Ma non quando si tratta di noi.

Evidentemente la nostra essenza artistica complica le questioni

Così possiamo ammirare  la purezza di pensiero che induce il legislatore  integerrimo a verificare se il soggetto preposto al restauro di opere d’arte, trattandosi queste ultime di patrimonio di interesse pubblico tutelato, sia o non sia adeguato a ricoprire quell’incarico a svolgere quella professione, che si scioglie come la neve al sole dinnanzi allo specchietto per le allodole del risparmio economico. Così da permettere di agire, su quei beni tanto cari, soggetti che certamente non hanno i requisiti per lavorarci. Talvolta  i volontari, oppure gli studenti ma più spesso i muratori

Ma a me piace sognare 

Per cui torno all’identità professionale dei restauratori; se le istituzioni non aiutano, se un insieme di moscerini minuscoli hanno formato una nube nera, questo non ci deve distrarre dalla percezione di ciò che siamo. Perché dobbiamo essere forti della certezza che il restauro esiste e coloro che li eseguono pure e se cominciassero ad avere una percezione comune di appartenenza anche la burocrazia potrebbe percepire il peso di un mancato quanto ovvio riconoscimento

Lasciamo perdere le differenze o l’ovvia competizione professionale , quando entriamo in un cantiere, in un laboratorio, in un museo, in una biblioteca … siamo molto simili tra di noi e ciò che ci accomuna è ben più di quanto non ci divida . Sono certa che converrebbe a tutti i restauratori, al restauro in quanto disciplina nonché ai poveri beni culturali tutelati

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo