La riflessione di questo articolo mi sorge così, come una reazione istintiva di fronte al ridicolo spettacolo della politica
L’arte è finzione manifesta, ha il potere e la grandezza di poterselo permettere
ha il coraggio di essere dichiaratamente illusoria mentre nella vita di tutti i giorni, sopratutto in quella politica, si vede un grande affanno nell’illudere di essere veri di avere progetti alti. Il programma può esistere, ma potrebbe essere ancor più meschino della mancanza totale di idee. Finzioni, meschinità, minuscole banalità mascherate da grandi intenti.
L’arte è altro da tutto ciò, non ha bisogno di fingersi ideologicamente alta per essere tale, può esprimersi sotto ad un cavalcavia o in un provocatorio barattolo di “merda d’artista” ma continuerà ad essere infinitamente più alta della politica pezzente ed arrivista. L’artista può indossare una tuta sgualcita oppure essere nudo in una performance di body art e sarà infinitamente più vero, più carismatico ed elegante degli abiti di sartoria di chi vuol provare a rendersi credibile.
Perché chi fa arte e chi se ne occupa conosce una dura regola; verrà selezionato dalla storia e solo i migliori passeranno quel varco, è complicato spiegare quale sia il meccanismo ma questo è quanto! A nulla sono valsi nella storia i tentativi di inganno! Sarà che chi si occupa di arte matura una sensibilità più profonda, legata all’essere altro al vedere da fuori al coraggio di sondare ciò che non si dovrebbe.
A tal proposito non possiamo dimenticare che i grandi della storia sono spesso ricordati per la lungimiranza rispetto all’arte, quella che hanno saputo comprendere e promuovere. Papa Giulio II viene spesso accompagnato dalla figura di mecenate, in particolar modo di Michelangelo, così come il Cardinal Del Monte, che ebbe il lume di vedere un genio in Caravaggio, oppure il Cardinal Federico Borromeo che fondò la biblioteca e poi la quadreria ed infine l’Accademia Ambrosiana di Milano
Se vi sia una soluzione non lo so, ma chi si occupa di arte può ascoltare la politica, analizzarla come se guardasse un dipinto, una performance e giudicarla, lo può fare! Giudicarla dalla capacità di essere grande, di andare a fondo e di rendere grande il proprio paese. In ogni caso chi vive di arte ogni giorno, chi ha il privilegio di guardare l’arte da vicino può fare cose importanti e non sarebbe saggio farsi burattino di chi i burattini manco li sa inventare
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_8761.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-28 11:38:072018-05-29 07:48:47Il potere dell'arte
In questo articolo vorrei spendere qualche pensiero sul ritocco nel restauro conservativo
Il ritocco nel restauro conservativo è una delle molte fasi di lavorazione, una delle ultime di un intero restauro. Dal punto di vista conservativo è tra le più semplici. Una volta garantita la reversibilità del pigmento e dei leganti utilizzati per lo stesso, non vi sono problemi, nel senso che potrà essere agevolmente rimosso in un futuro intervento, senza danni per l’opera.
Eppure il ritocco è una di quelle fasi del restauro che può determinare o compromettere l’intera riuscita di un restauro. Può determinare la leggibilità di un opera o la può compromettere, proprio perché si occupa del livello estetico di percezione, fruizione e leggibilità . Infatti il tipo di ritocco viene concordato, in via preventiva, con il funzionario competente della Soprintendenza, quasi mai viene lasciato al libero arbitrio del professionista.
Per ritocco si intende l’integrazione pittorica di piccole e medie lacune della superficie pittorica di una data opera d’arte, finalizzato a facilitare la lettura dell’opera stessa.
Il ritocco può riguardare molte delle tipologie di opera soggette a restauro; dai dipinti ad olio su tela e tavola, agli affreschi, ai grandi elementi decorativi dell’architettura, alla scultura policroma e dorata, agli stucchi, e molte altre superfici decorate e policrome.
Vi sono varie tecniche di ritocco che spesso si suddividono a seconda della volontà progettuale del restauro di rendere o meno visibile, distinguibile o riconoscibile (ad occhio esperto) il ritocco dalla superficie originale
Tra le più diffuse tecniche di ritocco vi sono il rigatino, il puntino o le piccole macchie che tendono a creare una sorta di cucitura della trama perduta, la selezione cromatica, la velatura a tono o sotto tono ed il mimetico
Il ritocco costituisce anche una prova di abilità per noi restauratori. Una sorta di esercizio di meditazione, quasi ipnotico, che ti può mettere in contatto profondo con l’essenza dell’opera d’arte e ti consente di sentirne ed interpretarne la voce, come un musicista quando esegue uno spartito. E quando scopri di averlo interpretato nel modo corretto, proprio come l’autore intendeva, puoi toccare il cielo!
Quando mi reco nella galleria degli Uffizi a Firenze e mi perdo dinanzi alla Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, guardo il basamento, quello con le arpie e le iscrizioni, in gran parte ricostruito con la tecnica a rigatino, arpie comprese. Credo sia stato restaurato agli inizi degli anni ’80 del ‘900. Ecco quando lo guardo, non voglio più sapere cosa penso sotto il profilo ideologico, di quel tipo di integrazione scelta, ebbene, vorrei solo baciare in fronte quel genio che lo ha ritoccato, colui o colei che ha realizzato quell’opera d’arte nell’opera. Grazie, una vera delizia per una restauratrice!
Il ritocco è anche la fase di lavorazione più soggetta in assoluto alle mode del momento, dal tipo di ritocco che vediamo su di un opera possiamo determinare con una discreta agilità il periodo in cui è stato restaurato ed anche l’area geografica.
Normalmente è la prima parte di un restauro che viene eliminata dal successivo e, con essa se ne vanno il pensiero e il gusto percettivo di un dato periodo storico. Per questo documentare il restauro diviene esercizio di storia dell’arte
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SilviaConti RestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_0942.jpg26872436Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-24 08:27:142018-05-24 08:32:00Il ritocco nel restauro
Il lavoro del restauratore, nei casi di superfici decorate dell’architettura, si svolge a stretto contatto con la figura professionale dell’architetto e spesso si condividono progetti, lavori e speranze
Tuttavia in molti casi il rapporto tra le due professioni ha un risvolto comico, tra amore e disperazione
Così, dopo lunghi studi, nella mia visuale da restauratrice, non posso esimermi dal compilare un elenco semi serio della tipologia di architetti che mi è capitato di incontrare nei cantieri di restauro.
1 – Il geometra dentro: ha frequentato l’istituto per geometri prima di iscriversi alla facoltà architettura e, nonostante la laurea e i corsi di aggiornamento resta un “geometra inside” e non può dirlo a nessuno, ma certi estetismi frivoli dei suoi colleghi proprio non li capisce. Quando si trova in un cantiere di restauro lo affronta con sopportazione e remissione, così come si deve sopportare una qualche malattia virale, e invoca il Santo protettore dei cementi armati… che finisca il prima possibile!
2 – Il tecnico: L’architetto tecnico è un professionista serissimo, lascia poco spazio a ciò che non sia direttamente riconducibile a numeri, misure o calcoli, se gli capita del restauro in un suo cantiere cerca di incasellarlo in una voce di capitolato e di evaderlo con diligenza, al più presto. Se il malcapitato restauratore gli dovesse far notare timidamente che, i capitolati da lui predisposti non rispondono minimamente ai parametri del restauro conservativo. Riceverà in risposta un auto elogio, che lui la sa lunga in materia di restauro e che non è punto il caso di contraddirlo! Avanti il prossimo.
3 – Il lineare: monocromo, monotematico, mono-stilistico, monotono! Si possono riconoscere i suoi interventi perché hanno sempre le stesse caratteristiche, gli stessi colori, lo stesso stile. Sia che si tratti di una casa in riva al mare, ai piedi della montagna oppure del campanile di una Chiesa . Nulla lo distoglierà dal suo gusto. In caso di restauro imporrà i suoi colori preferiti e a nulla varranno gli affreschi del cinquecento che verranno “accerchiati” o le campagne stratigrafiche, il suo sigillo di fabbrica non vi darà tregua! Un incubo dall’aspetto cortese.
4 – Il vanesio: Normalmente lo si riconosce dalle scarpe e dagli occhiali, molto molto glamour . Si vanta di avere nel suo carnet molti interventi di restauro. Non ha sostenuto neppure un esame di storia dell’arte ma da lezioni a destra e a manca. Nonostante tutto, quando arriva nel cantiere di restauro è una festa, si parla di ogni argomento tranne che di lavoro. Lascia al restauratore agio di lavorare bene, in cambio il restauratore gli lascerà la paternità di ogni scelta geniale
5- Il razionale: Non si diletta di restauro e non ne fa un mistero, si affida a chi è del settore e che gli possa garantire un risultato di pregio … con i restauratori è amore eterno!
6 – L’ibrido È un soggetto strano per la categoria, ha il corpo da architetto e la testa da restauratore. In qualità di architetto ostenta superiorità nei confronti dei restauratori ma il suo sogno è saper restaurare come loro. Si destreggia agevolmente tra cazzuole e pennelli ma si sente qualcosa di più. Questa mescolanza trans professionale si traduce spesso in un essere in pena che stenta a trovare la propria collocazione
7 – Il conservatore: ha conseguito laurea, specializzazione, dottorato di ricerca ed un paio di master nel restauro architettonico, va in brodo di giuggiole quando vede un mattone con impresso il logo dell’antica fabbrica e sogna di passare le sue giornate tra castelli, scavi e chiese. Per i restauratori è una sorta di animale mitologico, un unicorno, poiché in un cantiere di restauro nessuno lo ha visto mai. Solitamente ha pochi lavori, oppure collabora con il grande studio di architettura, che lo mette a scegliere il colore delle mattonelle del condominio di via del cementificio.
8 – Il fenomeno: Si tratta di un architetto oggettivamente geniale, vanta progetti bellissimi e, dove passa lascia il segno, tutti lo conoscono, molti cercano di imitarlo. Quando gli capita un cantiere di restauro, lo tratta con l’aria di sufficienza di chi ha esperienza in tutto e in tutto eccelle. E che ce vuole! Solitamente resta di sale di fronte alla complessità del cantiere di restauro, ma non lo ammetterà neppure sotto tortura! Nel frattempo si appunta sull’agenda … “al prossimo cantiere di restauro chiamare muratori in OG2 anziché restauratori!” (Si è offeso quando il restauratore è inorridito di fronte a quel suo vezzo di scavare negli intonaci antichi della facciata, piccoli riquadri di muratura strutturale dall’effetto brufolo)
9 – L’epifenomeno, collaterale al fenomeno, lo imita, lo segue e lo blandisce, aspira a divenire un giorno come lui, nel cantiere di restauro non è male, ma cogliete l’attimo, si trasformerà presto in un fenomeno di cui sopra
10 – Il creativo … il vero incubo nei cantieri di restauro è lui, l’architetto creativo! Non riesce a pensare di non poter lasciare traccia di se e della sua debordante creatività in ogni lavoro, in ogni cantiere, in ogni progetto. Quella storia che nel cantiere di restauro vada tutto conservato così com’è, lo fa soffrire terribilmente e comunque riesce sempre a metterci lo zampino. Per intenderci è quello che distrugge chilometri di intonaci antichi per poi commissionare il decoro sotto gronda ex novo. Noi restauratori, di fronte a tutta quella creatività, ci chiediamo se per caso, non sarebbe meglio riposta in un lotto edificabile della periferia cittadina!
Sei un architetto e non ti riconosci? Aggiungi le correzioni
Ho dimenticato qualche tipologia … aggiungila nei commenti
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SilviaContiResaturoConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/foro-bs-1-2.jpg7991051Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-20 17:09:022018-05-21 08:22:00Architetti visti dai restauratori, il decalogo
In questo articolo, fatte salve le premesse descritte nel primo articolo sulle ridipinture, analizzerò un caso di una policromia di una scultura lignea ripresa con colori a corpo.
Va detto che le sculture lignee e le opere mobili policrome in genere sono quelle più soggette in assoluto alla sovrammissione di strati di colore a corpo che riprendono più o meno fedelmente i colori sottostanti. Chiunque si occupi in qualche misura di beni culturali, non può non aver costatato questo dato .
Tale consuetudine è probabilmente dettata dalla maggiore facilità, da parte di chi gestisce dette opere, siano essi privati o enti ecclesiastici, di ovviare alla pulitura del manufatto con uno strato di nuova vernice … più veloce, più economico e non servono specialisti. Mentre per dipinti su tela o murali vi è una qualche remora, in caso di scultura policroma, non resistono alla tentazione e se non siamo di fronte ad un opera di altissimo valore artistico, custodita in un museo, possiamo stare certi di trovare strati di colore a corpo, che l’hanno ripresa anche più volte in un centinaio di anni. La situazione peggiora e gli strati si moltiplicano se la scultura in questione ha una valenza devozionale. Non so se sia per ingraziarsi il Santo in questione ma i suoi fedeli sono sempre prodighi di nuovissimi barattoli di vernice!
Il caso che intendo analizzare è una scultura lignea policroma raffigurante san Rocco.
Le ridipinture in questo caso riguardano il manto, il bastone, l’abito ed il volto, mentre la parte bassa dell’opera pare preservata da tale intervento.
Sul manto le due conchiglie del pellegrino di colore marrone, così come la cintura sono porporina ossidata. Il colore nero è uno smalto relativamente recente, probabilmente sintetico, mentre le ridipinture del mantello rosso ed abito verde, risalgono alla prima metà del ‘900, si tratta presumibilmente di uno smalto all’olio. Vista la consistenza e la lucentezza.
Il piccolo cane ai piedi è stato parzialmente risparmiato, così come l’incarnato della gamba del Santo, che conserva una qualità pittorica molto interessante e che potrà costituire un parametro per la conduzione dell’intervento.
Riconoscere le porzioni ridipinte da quelle conservatesi è di assoluta importanza al fine di calibrare con cautela l’intervento di pulitura delle superfici policrome.
A volte è difficile intravedere sotto agli strati di colore la qualità scultorea dell’opera, che essendo policroma, ha sin dalla sua ideazione un interazione molto importante tra volumi e colore. Equilibrio da tenere sempre presente durante il restauro.
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_8531-2-1.jpg40323024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-15 15:02:262018-05-15 15:16:49Analisi dei danni - ridipinture 2
In questo articolo vorrei analizzare una frequente tipologia di danno che riguarda in genere le superfici dipinte policrome, sia di dipinti murali a fresco che a secco, dipinti su tela e opere lignee policrome. Parlo della presenza di strati di colori a corpo soprammessi alla pellicola pittorica originale.
In buona sostanza, ci si trova dinanzi ad altri restauri che per motivi molto diversi e variabili, si sono trasformati nel tempo in un “danno“.
In alcuni casi si tratta di ritocchi alterati, ovvero piccole porzioni o pennellate di colore utilizzato per integrare lacune che, avendo una grado di stabilità alla luce diverso da quello originale, hanno assunto nel tempo colorazioni difformi rispetto ai pigmenti originari, che dovevano integrare.
In altri casi sono vere e proprie ridipinture, ovvero ampie e complete stesure di colore più o meno a corpo che ricoprono e riprendono le forme della sottostante opera d’arte
I colori soprammessi che ci troveremo dinnanzi possono essere di svariata natura e variano a seconda di una serie di fattori, che vanno dalla peculiarità territoriale alla datazione, e una serie di altre variabili.
Se è possibile ottenere della documentazione in merito a questi vecchi interventi, ci sarà di grande aiuto. Tuttavia, in molti casi è necessario saper distinguere il materiale soprammesso direttamente dall’analisi visiva e tattile, al fine di poterlo rimuovere con maggiore precisione.
Se la superficie ridipinta è un elemento decorativo dell’architettura ed stata eseguita da un decoratore o genericamente “pittore”, potremmo trovarci di fronte grossomodo alla seguente tipologia di materiale
Se l’intervento è precedente agli anni ’60 del ‘900 sarà probabile trovare casseati di calcio, colori a calce e tempere con leganti organici
Se l’intervento è stato realizzato dagli anni ’60 ’70 del ‘900 potremmo trovarci di fronte a tempera o calce, ma possiamo contemplare anche la comparsa dei primissimi vinilici, nati per il restauro del legno ma dilagati poi su ogni superficie
Se l’intervento è stato realizzato dagli anni ’80 del ‘900 ad oggi è molto probabile che sia realizzato con colori acrilici o polivinilici, genericamente di quelli in vendita nei colorifici
Se la superficie ridipinta riguarda una scultura lignea policroma prepariamoci ad affrontare smalti ed affini, i più antichi saranno smalti all’olio, poi smalti sintetici ed infine smalti all’acqua, paradossalmente questi ultimi sono i più tenaci da rimuovere.
In questo articolo vorrei analizzare un caso specifico di intervento di ridipintura su di una superficie a fresco realizzata attorno agli anni 80 del ‘900
In questo caso vediamo un esempio di ripresa di un dipinto a fresco con colori a corpo di tipo acrilico
Innanzitutto è bene osservare il dipinto a luce radente, così da poter individuare i sollevamenti della pellicola pittorica e le eventuali porzioni “lucide” che segnalano la presenza di materiale acrilico o vinilico
Un dato che ci consente di riconoscere il tipo di ridipintura è il suo degrado, ovvero il tipo di sollevamento e distaccamento della pellicola pittorica. Attenzione si intende quella di ritocco. Ebbene questo strato di colore, in presenza di umidità, si distaccherà dalla superficie, prima a piccole bolle gommose e poi a scaglie .
Nella fase immediatamente precedente il distacco potremo osservare, come nell’immagine seguente, una diffusa ossidazione della pellicola polivinilica soprammessa. Questa diverrà opaca, lattiginosa e comincerà a creare delle tensioni superficiali che porranno le condizioni per il distacco ed il sollevamento della pellicola pittorica
Nell’immagine d’insieme si può osservare come in luogo delle cadute della pellicola pittorica di ritocco, permangano comunque tracce di colore, che guarda caso resistono al passaggio dei sali solubili di nitrato, poiché sono i pigmenti naturali originari del dipinto
Appuntamento ai prossimi articoli per analizzare altre tipologie di ridipintura!!
Testi e immagini SilviaConti@RestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_8584.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-14 16:34:042018-05-14 17:51:16Analisi dei danni - ridipinture 1
In questo articolo vorrei parlare del dilemma del piccione
Chiunque si occupi di restauro dei monumenti sa bene di quel che parlo, ma anche il resto dell’umanità penso possa essersi trovata una qualche volta di fronte alla questione.
Aggirandosi per molte città, basta alzare lo sguardo per scorgere, all’apice dei palazzi e dei monumenti di interesse storico artistico, una strana selva di punte aguzze che adorna la sommità degli elementi decorativi, come dei minuscoli fili spinati che volgono le loro esili braccia al cielo.
Quelli sono i sistemi anti piccione
Strumenti costruiti con l’ingegnosità bellica difensiva, repellenti e repulsivi, che hanno il fine di non far appoggiare i volatili, i piccioni in particolar modo, sulle piccole sporgenze e sugli elementi aggettanti di sculture e palazzi.
Non me ne vogliano le ditte produttrici di questi minuscoli strumenti bellici, ma quando vedo i palazzi decorati da queste curiose metalliche capigliature a spazzola, mi vien da pensare che preferirei vedervi un piccione appollaiato!
Così il dilemma: se sia meglio un piccione appollaiato o l’architettura “spinosa” si risolve nell’evidenza del peso estetico di questa seconda opzione.
Penso che questi strumenti inficino la percezione, la corretta lettura architettonica delle facciate, sopratutto quando sono tanti e costanti su ogni minima sporgenza architettonica. Inoltre accade di vedere questi strumenti posti anche sugli elementi di rilievo scultoreo, magari non restaurati, ma ricoperti di queste punte fissate in ogni anfratto. Ovviamente con della resina epossidica bi-componente che, come tutti sanno, brilla per reversibilità!
Infine se posso aggiungere una nota di esperienza personale, quando mi è capitato di rimuovere, in occasione di restauro, questi strumenti ormai vetusti erano un ricettacolo di sporcizia, piume e guano, alla faccia di chi pensava potessero essere un deterrente.
In fondo i piccioni hanno la caratteristica di essere quei volatili che maggiormente si sono adattati alla vita sociale dell’uomo e per questo li odiamo. Lanciandomi in uno psicologismo da quattro soldi, mi viene da pensare che sia perché sono lo specchio della nostra umanità cittadina.
Del resto, lo so bene cosa accade quando si sale su di un campanile, pensando di osservare le caratteristiche degli intonaci della cella campanaria … non è un piacere trovarsi in un mare di concime.
Eppure continuo a pensare che tutto questo sarebbe risolvibile mettendo al centro la manutenzione. Spendendo quattro soldi, ogni anno con cadenza regolare, per mandare una ditta di restauro con una cesta a rimuovere i depositi superficiali incoerenti. Un lavoro di due giorni ogni anno … ce la possiamo fa?
Cosa c’entrerà mai la letteratura con il restauro!
Da qualche tempo mi passeggia per la mente il pensiero della relazione tra restauro e letteratura e per ovvia conseguenza, tra restauratori e letteratura
In realtà la letteratura c’entra sempre, c’entra con tutto, pur occupandosi di trattati, storie e narrazioni, non necessariamente reali , ha una strettissima connessione con la realtà e, a volte la determina.
Tutto quanto esiste al mondo di bello, di brutto, di aulico o spaventoso è stato narrato e descritto nella letteratura. La definizione più efficace della letteratura la fece Francesco De Sactis: “Sintesi organica dell’anima e del pensiero di un popolo”
Esiste una letteratura del restauro, soprattutto per quanto attiene la parte teorica e tecnica. Lo sappiamo bene, chiunque si occupi di restauro si è trovato tra le mani la “teoria del restauro” di Cesare Brandi e la “Chimica del restauro” di Matteini Moles.
Ma il restauratore? La figura del restauratore no, non ha una sua letteratura. Se escludiamo Giovanni Secco Suardo … che guarda caso è l’unico teorico e restauratore che tutti ricordano. Il restauratore viene citato in questa o quella norma, ne vengono delineate le caratteristiche o i percorsi formativi, ma da qui ad avere una letteratura dedicata … ce ne passa.
Arrivo subito al punto della questione, una figura professionale non esiste senza letteratura!
Proviamo a pensare a tutte le categorie sociali da quelle antiche a quelle contemporanee, nobili e guerrieri, senatori e gladiatori, concubine, nobildonne, streghe e meretrici, porporati, cappellani, dottori ed avvocati, artisti, minatori, impiegati e bibliotecari, mondine, casalinghe, pazzi, barboni e letterati, studenti, sfaccendati, ladri ed assassini, contadini, operai, commercianti e salumieri, fruttaioli e pescatori e … potrei continuare per chissà quanto ancora, ma giusto per dare un idea di quante figure ha delineato la letteratura.
Ebbene, tutte le categorie sociali hanno una letteratura dedicata. Di alcune di loro, estinte nel tempo, ne conosciamo le caratteristiche proprio grazie alla letteratura. Probabilmente oggi non sapremmo dell’esistenza di alcune di queste categorie se non ne esistesse una letteratura, pensiamo ad esempio ai gladiatori, come potremmo immaginare della loro esistenza, si certo sono riprodotti nei mosaici e nelle sculture ma la letteratura ci fornisce i dettagli, li colloca socialmente e ci fa percepire il loro respiro.
Gli artisti sono descritti nelle “Vite” di Vasari, i cafoni della Marsica hanno trovato la loro voce in “Fontamara” di Ignazio Silone, i piccoli impiegati sono descritti in modo geniale e profondo nel “Castello” di Kafka, lo strano personaggio affetto da epilessia è descritto nel “L’Idiota” di Dostojewsky, i padri fondatori dello stato ebraico sono descritti in “una storia di amore e di Tenebra” di Amos Oz, i filatori della seta sono descritti nei “Promessi Sposi” di Manzoni, e poi quasi tutto il resto delle categorie umane sono descritte in “Guerra e pace” di Tolstoj…
Ma, i restauratori, quelli no, forse si tratta di mia ignoranza in materia ma non conosco letteratura di rilevo che parli dei restauratori.
… Allora il mio pensiero si sposta: “cosa fare di sensato per porre rimedio a questa lacuna”
In questo momento storico dove vengono riconosciute e tutelate tutte le categorie di professionisti ed artigiani dall’ingegnere all’idraulico … fatta esclusione per i restauratori. Colmare la lacuna letteraria sulla figura del restauratore diviene importantissimo.
Per cui mi sento di fare un appello a tutti i colleghi che amano scrivere, a tutti gli scrittori in cerca di un soggetto, scrivete di noi, scriviamo di noi, parliamo dei restauratori, della nostra arte e delle nostre vite. Contribuiremo a “memorizzare” nella storia letteraria la nostra figura. Saremmo dei pionieri. Potrebbe essere un azione salvifica, benefica ed umanitaria, salveremmo una specie dall’estinzione, facciamolo come lo faremmo per il panda della Cina o per il lupo della Maiella
Così sarà più difficile fingere che la categoria esista, poiché non esistiamo in letteratura!
Vogliamo quantomeno rendere più irto il cammino di chi non vuole riconoscerci? Direi che ne vale la pena, anche solo per garantirci una solenne risata.
Da quando ho iniziato a svolgere questa professione mi sono resa conto di quanti confini essa abbia.
È un attività fluida e ricca di varianti e al contempo delimitata in ogni direzione da regole, parametri, norme e confini. E meglio si conoscono, e più ci si abitua a questi confini, meglio si svolge l’attività del restauratore. Siamo degli strani equilibristi in gabbia che hanno scelto ed amano la propria professione
In questo articolo, un pò per gioco e un pò per curiosità, vorrei provare ad elencare una decina di confini con i quali convive ogni giorno chi si occupa di restauro.
1 – Confine etico morale
Si tratta di un confine connaturato con l’essenza del restauro. Costituisce la disciplina stessa del restauro. È attinente alla percezione dell’importanza della storia e della sua testimonianza conservata per i posteri attraverso la materia dell’opera . Comprende un auto limitarsi costante al fine di non prevaricare ciò che di autentico si sia conservato in una data opera d’arte.
2 – Confine normativo
Un confine molto consistente è costituito da tutte quelle norme e regole di tipo legislativo, giuridico e procedurale che indirizzano, normano e regolano ogni attività che si svolga su di un bene sottoposto ad atto di vincolo diretto, indiretto o generico.
3 – confine conservativo
Un confine molto complesso poiché è costituito da una parte ideale e, se vogliamo filosofica, ed una materiale. Fino a che punto è giusto conservare. Qual’è il limite oltre il quale l’atto conservativo snatura l’opera d’arte nella sua essenza?
4 – confine integrativo
Un confine molto semplice in sé, ma che varia con il variare del gusto e delle mode, per tanto; la piccola lacuna si ritocca, ieri a rigatino, oggi con tecnica mimetica, domani chissà , magari con degli “stencil”. La grande lacuna No, non si ritocca, si risolve con un neutro! Si però se si tratta di partitura architettonica, forse no, è meglio integrare ma in quel caso e non nell’altro, mi raccomando . Di fatto un confine mobile al quale ogni restauratore si deve adeguare di volta in volta, di giorno in giorno, da funzionario a funzionario, da regione a regione e così via, come un funambolo, per tutta la propria vita professionale.
5 – confine storico
Un confine complicato quello storico, lo stesso per cui gli oggetti archeologici vanno conservati ma non integrati, mentre via via che ci si avvicina alla contemporaneità i parametri di integrazione variano. Comprende i documenti che ci danno notizie sulle opere e che sono oggetto di conservazione pure loro.
6 – confine artistico
Una specie di cilicio per molti restauratori; quando ritocchi dimenticati di saper dipingere altrimenti potresti imprimere qualche traccia della tua personalità nella lettura dell’opera. Ma se proprio non sai dipingere potresti non interpretare nel modo corretto l’integrazione pittorica e non mettere in luce l’essenza di un opera… Insomma un bel dilemma, ci sono almeno l’ottanta percento delle probabilità di incappare in errore. Ma tanto siamo abituati, non a sbagliare ma a pigliarci tutte le responsabilità possibili.
7 – confine dei materiali compatibili
Questo è facile, ma non per tutti, si tratta di quel confine per cui non tutti i materiali presenti in un dato periodo storico sono utilizzabili per il restauro, ma solo quelli compatibili con l’opera stessa. Ma per sapere cosa è compatibile bisogna saper leggere la materia costituente un opera, i materiali antichi e bisogna conoscere i materiali nuovi e prevedere il loro comportamento nel tempo.
8 – confine economico
Un confine dolente, lo stesso per il quale alcuni proprietari di opere scelgono di lasciarle nell’incuria e nel degrado. Il medesimo confine che, in caso di edifici storici, fa prediligere le ditte edili alle ditte di restauro competenti in materia. Lo stesso confine per cui alle opere più famose è riservato un trattamento accurato e per le opere minori non è neppure possibile prevedere delle minime indagini diagnostiche.
9 – confine burocratico
Bisogna fare molta attenzione a distinguerlo da quello normativo, anche se ad esso è legato. Sono i cavilli le comunicazioni da inviare entro il , i documenti da compilare non oltre il, gli scadenzari dei bilanci delle amministrazioni eccetera, eccetera, eccetera. Un infinità di piccole procedure che potrebbero dilungare la partenza di un lavoro di restauro o il pagamento per la stessa di molto, molto tempo.
10 – confine pregiudiziale
infine il più importante dei confini e se vogliamo dei limiti del restauro è quello pregiudiziale. È l’unico confine non endemico ovvero non deriva dal restauro stesso, ne è esterno ma ne determina, troppo spesso, le sorti. Mi spiego meglio. Il confine pregiudiziale è di chi pensa che un restauro lo si possa affidare a chiunque, di chi pensa che non ci voglia poi tanto a fare il restauratore e ci si mette in prima persona anche se ha sempre fatto il pizzicagnolo. Il confine pregiudiziale è dei progettisti che pensano che conservare sia una iettatura, un inutile perdita di tempo, quelli che prima di chiamare un restauratore passano in rassegna tutte le categorie e i codici ATECO delle camere di commercio. Quelli che quando vedono un lacerto di affresco o l’affiorare di una tomba mentre scavano la massicciata di una strada, corrono come pazzi a nasconderlo, per scongiurare l’arrivo della soprintendenza, distruggendo arte, storia e materia. Poi, nel tempo, quando le vicissitudini professionali gli faranno incontrare un restauratore, non resisteranno alla tentazione di narrare di tutte quelle meraviglie delle quali solo loro sanno, ma che hanno distrutto per “cause di forza maggiore”, e con l’aria di chi la sa lunga provocano l’ulcera al malcapitato restauratore, con la stessa nonchalance con la quale hanno coperto di cemento secoli di storia . Contro questo confine noi restauratori non possiamo fare molto, può e deve la legge.
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_7340.jpg10851086Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-05 17:30:292018-05-05 17:33:59Il decalogo dei confini del restauro
La visuale dall’alto mostra con più precisione l’inserimento territoriale di un dato manufatto. In questo caso l’insediamento era nato in tempi antichi per finalità difensive, i primi documenti risalgono al XIII secolo, ma altri documenti traslati nell’ottocento citano il passaggio in quel luogo di Carlo Magno
Già questa pianta ci fa intuire la stratificazione degli elementi architettonici
Vido gentilemente concesso dall’associazione Amici di San Giovanni
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_5871.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-01 08:20:552018-05-01 08:20:55Volo sul bene culturale
In realtà si trattava di una modalità ironica per parlare di un argomento piuttosto serio, per tracciare le linee di un identità forte e reale. Un identità esistente! Quella dei restauratori Italiani
Ma perché questa identità di una classe professionale non si afferma? Possiamo constatare con un analisi semplice ed essenziale che vi sono delle evidenze che non si impongono come tali e mille altre inezie poco logiche e sfuggenti che però tengono le redini di un mancato riconoscimento
Il restauro c’è ed esiste è una disciplina ed il lavoro che svolgiamo tutti noi restauratori, ogni giorno, nonostante tutto
I restauratori esistono, sono gli stessi che restaurano ogni giorno i manufatti
Poi ci sono persone, situazioni anomale e sciocche, che con il restauro c’entrano come i cavoli a merenda ma che assumono e determinano il controllo della situazione. Sono piccole incongruenze, piccoli disturbi burocratici ed altri moscerini, ma che determinano l’andamento dell’intera questione del restauro
Al fine di comprendere questa dinamica forse è il caso di analizzare in via preliminare alcuni fattori.
Pensiamo alla categoria dei restauratori, si trova in una posizione arretrata per quanto attiene il riconoscimento burocratico, e in una posizione semi incosciente in quanto categoria professionale identitaria.
Penso che uno dei motivi che induca nel restauratore questa identità sfocata, mancante o non riconosciuta, sia proprio quell’eterna situazione di precarietà normativa
Parrebbe strano ma purtroppo i due elementi sono strettamente connessi tra di loro; la burocrazia non riconosce i restauratori ed i restauratori non si riconoscono.
A ciò contribuisce non poco l’assenza di un percorso formativo comune, che fomenta le differenze e le piccole schermaglie interne. La mancanza di un percorso formativo comune che, guarda caso, continua ad essere favorito e spinto dalle istituzioni con l’autorizzazione di una miriade di percorsi formativi per il restauro, non può che contribuire al frammentarsi della coscienza identitaria del restauratore
Ma vediamo l’atteggiamento della burocrazia nei nostri confronti
Cos’è la burocrazia oggi. È un ordine tecnico, capillare e dilagante che norma e regola ogni nostra azione quotidiana, dal lavoro alle più banali attività. Pensiamo per un attimo a quante volte in un giorno ci viene richiesto un documento d’identità, un tesserino di riconoscimento, una password, una firma per il trattamento dei dati personali o un codice PIN. Molte vero?
La burocrazia di una società è multiforme. Necessaria per arginare ciò che è illegittimo, opprimente per chi deve dimostrare l’ovvia e dovuta legittimità. Da un lato ci tutela, dall’altro ci controlla. Tutto cataloga, tutto suddivide, tutto ordina e tutto incasella. Da un lato garantisce e riconosce, dall’altro blocca e disconosce.
Bene ora pensiamo a quale anomala situazione può essere quella in cui una categoria che lavora ogni giorno pare per un fine nobile, sia riconosciuta solo parzialmente. Ovvero il codice ATECO esiste,”90.03.02 Attività di conservazione e restauro di opere d’arte”. Gli studi di settore pure, ci chiedono ogni anno se abbiamo restaurato dipinti e quanti su tela, quanti su tavola che percentuale di affreschi, di libri e di sculture abbiamo trattato, quanti manufatti soggetti a vincolo e quanti no, quanti di proprietà privata e quanti pubblica, eccetera, eccetera. Ma, fermi tutti! Un dubbio lancinante coglie il ministero! Ma siamo sicuri che colui o colei che svolge quel lavoro, lo stesso per cui ha avuto autorizzazione della Soprintendenza, lo stesso per cui paga le tasse e per il quale compila quella puntualissima rilevazione statistica…sia in possesso di tutte quelle caratteristiche richieste e previste dalla normativa vigente?
Si scherza? Forse si ma non fino in fondo! Infatti questo anomalo soggetto che restaura i monumenti fissi e immobili e gli oggetti mobili, non risulta essere appartenente ad alcuna categoria. O meglio per creare la categoria dedicata si è reso necessario mettere a punto una procedura apposita, molto, ma molto, ma molto complessa. Irta di intoppi, impedimenti e prevedibili imprevisti!
L’avete capito vero? Sto parlando dell’ormai mitica Procedura Transitoria per il Conseguimento della Qualifica di Restauratore!
Eppure una via d’uscita per l’eroica commissione valutatrice, che annaspa e annega tra i nostri documenti ormai ammuffiti, ci sarebbe. Potrebbe, previo consenso informato, inserire il nostro codice fiscale nella pagina dell’agenzia delle entrate e capire in un baleno, chi siamo, su cosa lavoriamo, da quanto tempo ci sfamiamo con il restauro, se ci occupiamo di opere tutelate o no, se lavoriamo per privati o per il pubblico, (e questo sarebbe verificabile anche per i dipendenti delle ditte di restauro). Con buona pace loro e nostra.
Ma scordiamocelo! Pare proprio che nel nostro caso, connettere le sinapsi della burocrazia sia di una difficoltà insormontabile. Vedere di cosa ha vissuto un soggetto negli ultimi 10 anni dovrebbe essere il procedimento più banale per un apparato statale! Ma non quando si tratta di noi.
Evidentemente la nostra essenza artistica complica le questioni
Così possiamo ammirare la purezza di pensiero che induce il legislatore integerrimo a verificare se il soggetto preposto al restauro di opere d’arte, trattandosi queste ultime di patrimonio di interesse pubblico tutelato, sia o non sia adeguato a ricoprire quell’incarico a svolgere quella professione, che si scioglie come la neve al sole dinnanzi allo specchietto per le allodole del risparmio economico. Così da permettere di agire, su quei beni tanto cari, soggetti che certamente non hanno i requisiti per lavorarci. Talvolta i volontari, oppure gli studenti ma più spesso i muratori
Ma a me piace sognare
Per cui torno all’identità professionale dei restauratori; se le istituzioni non aiutano, se un insieme di moscerini minuscoli hanno formato una nube nera, questo non ci deve distrarre dalla percezione di ciò che siamo. Perché dobbiamo essere forti della certezza che il restauro esiste e coloro che li eseguono pure e se cominciassero ad avere una percezione comune di appartenenza anche la burocrazia potrebbe percepire il peso di un mancato quanto ovvio riconoscimento
Lasciamo perdere le differenze o l’ovvia competizione professionale , quando entriamo in un cantiere, in un laboratorio, in un museo, in una biblioteca … siamo molto simili tra di noi e ciò che ci accomuna è ben più di quanto non ci divida . Sono certa che converrebbe a tutti i restauratori, al restauro in quanto disciplina nonché ai poveri beni culturali tutelati
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_7989.jpg24862553Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-04-28 10:02:552018-04-28 10:02:55Identità, restauro e cavoli a merenda
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