Identità, restauro e cavoli a merenda

Nei giorni scorsi ho pubblicato un decalogo, dieci punti per riconoscere un vero restauratore. È stato divertente scriverlo e pare lo sia stato anche per i lettori leggerlo.

In realtà si trattava di una modalità ironica per parlare di un argomento piuttosto serio, per tracciare le linee di un identità forte e reale. Un identità esistente! Quella dei restauratori Italiani

Ma perché questa identità di una classe professionale non si afferma? Possiamo constatare con un analisi semplice ed essenziale  che vi sono delle evidenze che non si impongono come tali e mille altre inezie poco logiche e sfuggenti che però tengono le redini  di un mancato riconoscimento

  1. Il restauro c’è ed esiste è una disciplina ed  il lavoro che svolgiamo tutti noi restauratori, ogni giorno, nonostante tutto
  2. I restauratori esistono, sono gli stessi che restaurano ogni giorno i manufatti
  3. Poi ci sono persone, situazioni anomale e sciocche, che con il restauro c’entrano come i cavoli a merenda ma che assumono e determinano il controllo della situazione. Sono piccole incongruenze, piccoli disturbi burocratici ed altri moscerini, ma che determinano l’andamento dell’intera questione del restauro

Al fine di comprendere questa dinamica forse è il caso di analizzare in via preliminare alcuni fattori.

Pensiamo alla  categoria dei restauratori, si trova in una posizione arretrata per quanto attiene il riconoscimento burocratico, e in una posizione  semi incosciente  in quanto categoria professionale identitaria. 

Penso che uno dei motivi che induca nel restauratore questa identità sfocata, mancante o non riconosciuta, sia proprio quell’eterna situazione di precarietà normativa

Parrebbe strano ma purtroppo i due elementi sono strettamente connessi tra di loro; la burocrazia non riconosce i restauratori ed i restauratori non si riconoscono.

A ciò contribuisce non poco  l’assenza di un percorso formativo comune, che fomenta le differenze e le piccole schermaglie interne. La mancanza di un percorso formativo comune che, guarda caso, continua ad essere favorito e spinto dalle istituzioni con l’autorizzazione di una miriade di percorsi formativi per il restauro,  non può che contribuire al frammentarsi della coscienza identitaria del restauratore

Ma vediamo l’atteggiamento della burocrazia nei nostri confronti

Cos’è la burocrazia oggi. È un ordine tecnico, capillare e dilagante che norma e regola ogni nostra azione quotidiana, dal lavoro alle più banali attività. Pensiamo per un attimo a quante volte in un giorno ci viene richiesto un documento d’identità, un tesserino di riconoscimento, una password, una firma per il trattamento dei dati personali o un codice PIN. Molte vero?

La burocrazia di una società è multiforme. Necessaria per arginare ciò che è illegittimo, opprimente per chi deve dimostrare l’ovvia e dovuta legittimità. Da un lato ci tutela, dall’altro ci controlla. Tutto cataloga, tutto suddivide, tutto ordina e tutto  incasella. Da un lato garantisce e riconosce, dall’altro blocca e disconosce.

Bene ora pensiamo a quale anomala situazione può essere quella in cui una categoria che lavora ogni giorno pare per un fine nobile, sia riconosciuta solo parzialmente. Ovvero il codice ATECO esiste,”90.03.02 Attività di conservazione e restauro di opere d’arte”. Gli studi di settore pure, ci chiedono ogni anno se abbiamo restaurato  dipinti e quanti su tela, quanti su tavola che percentuale di affreschi, di libri e  di sculture abbiamo trattato, quanti manufatti soggetti a vincolo e quanti no, quanti di proprietà privata e quanti pubblica, eccetera, eccetera. Ma, fermi tutti! Un dubbio lancinante coglie il ministero! Ma siamo sicuri che colui o colei che svolge quel lavoro, lo stesso per cui ha avuto autorizzazione della Soprintendenza, lo stesso per cui paga le tasse e per il quale compila quella puntualissima rilevazione statistica…sia in possesso di tutte quelle caratteristiche richieste e previste dalla normativa vigente? 

Si scherza? Forse si ma non fino in fondo! Infatti questo anomalo soggetto che restaura i monumenti fissi e immobili e gli oggetti mobili, non risulta essere appartenente ad alcuna categoria. O meglio per creare la categoria dedicata si è reso necessario mettere a punto una procedura apposita, molto, ma molto, ma molto complessa. Irta di intoppi, impedimenti e prevedibili imprevisti!

L’avete capito vero? Sto parlando dell’ormai mitica Procedura Transitoria per il Conseguimento della Qualifica di Restauratore!

Eppure una via d’uscita per l’eroica commissione valutatrice, che annaspa e annega tra i nostri documenti ormai ammuffiti, ci sarebbe.  Potrebbe, previo consenso informato, inserire il nostro codice fiscale nella pagina dell’agenzia delle entrate e capire in un baleno, chi siamo, su cosa lavoriamo, da quanto tempo ci sfamiamo con il restauro, se ci occupiamo di opere tutelate o no, se lavoriamo per privati o per il pubblico, (e questo sarebbe verificabile anche per i dipendenti delle ditte di restauro).  Con buona pace loro e nostra.

Ma scordiamocelo! Pare proprio che nel nostro caso, connettere le sinapsi della burocrazia sia  di una difficoltà insormontabile. Vedere di cosa ha vissuto un soggetto negli ultimi 10 anni dovrebbe essere il procedimento più banale per un apparato statale! Ma non quando si tratta di noi.

Evidentemente la nostra essenza artistica complica le questioni

Così possiamo ammirare  la purezza di pensiero che induce il legislatore  integerrimo a verificare se il soggetto preposto al restauro di opere d’arte, trattandosi queste ultime di patrimonio di interesse pubblico tutelato, sia o non sia adeguato a ricoprire quell’incarico a svolgere quella professione, che si scioglie come la neve al sole dinnanzi allo specchietto per le allodole del risparmio economico. Così da permettere di agire, su quei beni tanto cari, soggetti che certamente non hanno i requisiti per lavorarci. Talvolta  i volontari, oppure gli studenti ma più spesso i muratori

Ma a me piace sognare 

Per cui torno all’identità professionale dei restauratori; se le istituzioni non aiutano, se un insieme di moscerini minuscoli hanno formato una nube nera, questo non ci deve distrarre dalla percezione di ciò che siamo. Perché dobbiamo essere forti della certezza che il restauro esiste e coloro che li eseguono pure e se cominciassero ad avere una percezione comune di appartenenza anche la burocrazia potrebbe percepire il peso di un mancato quanto ovvio riconoscimento

Lasciamo perdere le differenze o l’ovvia competizione professionale , quando entriamo in un cantiere, in un laboratorio, in un museo, in una biblioteca … siamo molto simili tra di noi e ciò che ci accomuna è ben più di quanto non ci divida . Sono certa che converrebbe a tutti i restauratori, al restauro in quanto disciplina nonché ai poveri beni culturali tutelati

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

 

4 commenti
    • Silvia
      Silvia dice:

      Grazie Sara Lea, è vero, la burocrazia con la nostra, non categoria, non ha propriamente un atteggiamento “amichevole”; controlla ma non legittima! Sostanzialmente possiamo godere solo di un lato della medaglia!

  1. Roberto
    Roberto dice:

    Cara Silvia il tuo Decalogo è una sintesi perfetta dei pregi e dei difetti della figura professionale del Restauratore. Non so se lo sai ma è certificato anche dall’INAIL che il restauratore di per se è un masochista.
    Per l’opera d’arte è disposto a lavorare in condizioni/posizioni, estreme e questo è il fisico che lo certifica, passati i fatidici 30 anni, è uno stillicidio di malanni cronici che presentano il loro dazio. Se vuoi Ne discutiamo a Firenze il 17 maggio prossimo alla fiera del Restauro.

    Rispondi
    • Silvia
      Silvia dice:

      Carissimo Roberto, grazie, per il commento e per l’invito a Firenze. Direi proprio che al mio decalogo manca la voce: “il restauratore è un masochista, lo certifica pure l’INAIL!” … e mentre lo dico sento un ginocchio scricchiolare. A presto. Silvia

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