In questo articolo vorrei analizzare una frequente tipologia di danno che riguarda in genere le superfici dipinte policrome, sia di dipinti murali a fresco che a secco, dipinti su tela e opere lignee policrome. Parlo della presenza di strati di colori a corpo soprammessi alla pellicola pittorica originale.
In buona sostanza, ci si trova dinanzi ad altri restauri che per motivi molto diversi e variabili, si sono trasformati nel tempo in un “danno“.
In alcuni casi si tratta di ritocchi alterati, ovvero piccole porzioni o pennellate di colore utilizzato per integrare lacune che, avendo una grado di stabilità alla luce diverso da quello originale, hanno assunto nel tempo colorazioni difformi rispetto ai pigmenti originari, che dovevano integrare.
In altri casi sono vere e proprie ridipinture, ovvero ampie e complete stesure di colore più o meno a corpo che ricoprono e riprendono le forme della sottostante opera d’arte
I colori soprammessi che ci troveremo dinnanzi possono essere di svariata natura e variano a seconda di una serie di fattori, che vanno dalla peculiarità territoriale alla datazione, e una serie di altre variabili.
Se è possibile ottenere della documentazione in merito a questi vecchi interventi, ci sarà di grande aiuto. Tuttavia, in molti casi è necessario saper distinguere il materiale soprammesso direttamente dall’analisi visiva e tattile, al fine di poterlo rimuovere con maggiore precisione.
Se la superficie ridipinta è un elemento decorativo dell’architettura ed stata eseguita da un decoratore o genericamente “pittore”, potremmo trovarci di fronte grossomodo alla seguente tipologia di materiale
Se l’intervento è precedente agli anni ’60 del ‘900 sarà probabile trovare casseati di calcio, colori a calce e tempere con leganti organici
Se l’intervento è stato realizzato dagli anni ’60 ’70 del ‘900 potremmo trovarci di fronte a tempera o calce, ma possiamo contemplare anche la comparsa dei primissimi vinilici, nati per il restauro del legno ma dilagati poi su ogni superficie
Se l’intervento è stato realizzato dagli anni ’80 del ‘900 ad oggi è molto probabile che sia realizzato con colori acrilici o polivinilici, genericamente di quelli in vendita nei colorifici
Se la superficie ridipinta riguarda una scultura lignea policroma prepariamoci ad affrontare smalti ed affini, i più antichi saranno smalti all’olio, poi smalti sintetici ed infine smalti all’acqua, paradossalmente questi ultimi sono i più tenaci da rimuovere.
In questo articolo vorrei analizzare un caso specifico di intervento di ridipintura su di una superficie a fresco realizzata attorno agli anni 80 del ‘900
In questo caso vediamo un esempio di ripresa di un dipinto a fresco con colori a corpo di tipo acrilico
Innanzitutto è bene osservare il dipinto a luce radente, così da poter individuare i sollevamenti della pellicola pittorica e le eventuali porzioni “lucide” che segnalano la presenza di materiale acrilico o vinilico
Un dato che ci consente di riconoscere il tipo di ridipintura è il suo degrado, ovvero il tipo di sollevamento e distaccamento della pellicola pittorica. Attenzione si intende quella di ritocco. Ebbene questo strato di colore, in presenza di umidità, si distaccherà dalla superficie, prima a piccole bolle gommose e poi a scaglie .
Nella fase immediatamente precedente il distacco potremo osservare, come nell’immagine seguente, una diffusa ossidazione della pellicola polivinilica soprammessa. Questa diverrà opaca, lattiginosa e comincerà a creare delle tensioni superficiali che porranno le condizioni per il distacco ed il sollevamento della pellicola pittorica
Nell’immagine d’insieme si può osservare come in luogo delle cadute della pellicola pittorica di ritocco, permangano comunque tracce di colore, che guarda caso resistono al passaggio dei sali solubili di nitrato, poiché sono i pigmenti naturali originari del dipinto
Appuntamento ai prossimi articoli per analizzare altre tipologie di ridipintura!!
Testi e immagini SilviaConti@RestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_8584.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-14 16:34:042018-05-14 17:51:16Analisi dei danni - ridipinture 1
In questo articolo vorrei parlare del dilemma del piccione
Chiunque si occupi di restauro dei monumenti sa bene di quel che parlo, ma anche il resto dell’umanità penso possa essersi trovata una qualche volta di fronte alla questione.
Aggirandosi per molte città, basta alzare lo sguardo per scorgere, all’apice dei palazzi e dei monumenti di interesse storico artistico, una strana selva di punte aguzze che adorna la sommità degli elementi decorativi, come dei minuscoli fili spinati che volgono le loro esili braccia al cielo.
Quelli sono i sistemi anti piccione
Strumenti costruiti con l’ingegnosità bellica difensiva, repellenti e repulsivi, che hanno il fine di non far appoggiare i volatili, i piccioni in particolar modo, sulle piccole sporgenze e sugli elementi aggettanti di sculture e palazzi.
Non me ne vogliano le ditte produttrici di questi minuscoli strumenti bellici, ma quando vedo i palazzi decorati da queste curiose metalliche capigliature a spazzola, mi vien da pensare che preferirei vedervi un piccione appollaiato!
Così il dilemma: se sia meglio un piccione appollaiato o l’architettura “spinosa” si risolve nell’evidenza del peso estetico di questa seconda opzione.
Penso che questi strumenti inficino la percezione, la corretta lettura architettonica delle facciate, sopratutto quando sono tanti e costanti su ogni minima sporgenza architettonica. Inoltre accade di vedere questi strumenti posti anche sugli elementi di rilievo scultoreo, magari non restaurati, ma ricoperti di queste punte fissate in ogni anfratto. Ovviamente con della resina epossidica bi-componente che, come tutti sanno, brilla per reversibilità!
Infine se posso aggiungere una nota di esperienza personale, quando mi è capitato di rimuovere, in occasione di restauro, questi strumenti ormai vetusti erano un ricettacolo di sporcizia, piume e guano, alla faccia di chi pensava potessero essere un deterrente.
In fondo i piccioni hanno la caratteristica di essere quei volatili che maggiormente si sono adattati alla vita sociale dell’uomo e per questo li odiamo. Lanciandomi in uno psicologismo da quattro soldi, mi viene da pensare che sia perché sono lo specchio della nostra umanità cittadina.
Del resto, lo so bene cosa accade quando si sale su di un campanile, pensando di osservare le caratteristiche degli intonaci della cella campanaria … non è un piacere trovarsi in un mare di concime.
Eppure continuo a pensare che tutto questo sarebbe risolvibile mettendo al centro la manutenzione. Spendendo quattro soldi, ogni anno con cadenza regolare, per mandare una ditta di restauro con una cesta a rimuovere i depositi superficiali incoerenti. Un lavoro di due giorni ogni anno … ce la possiamo fa?
Da quando ho iniziato a svolgere questa professione mi sono resa conto di quanti confini essa abbia.
È un attività fluida e ricca di varianti e al contempo delimitata in ogni direzione da regole, parametri, norme e confini. E meglio si conoscono, e più ci si abitua a questi confini, meglio si svolge l’attività del restauratore. Siamo degli strani equilibristi in gabbia che hanno scelto ed amano la propria professione
In questo articolo, un pò per gioco e un pò per curiosità, vorrei provare ad elencare una decina di confini con i quali convive ogni giorno chi si occupa di restauro.
1 – Confine etico morale
Si tratta di un confine connaturato con l’essenza del restauro. Costituisce la disciplina stessa del restauro. È attinente alla percezione dell’importanza della storia e della sua testimonianza conservata per i posteri attraverso la materia dell’opera . Comprende un auto limitarsi costante al fine di non prevaricare ciò che di autentico si sia conservato in una data opera d’arte.
2 – Confine normativo
Un confine molto consistente è costituito da tutte quelle norme e regole di tipo legislativo, giuridico e procedurale che indirizzano, normano e regolano ogni attività che si svolga su di un bene sottoposto ad atto di vincolo diretto, indiretto o generico.
3 – confine conservativo
Un confine molto complesso poiché è costituito da una parte ideale e, se vogliamo filosofica, ed una materiale. Fino a che punto è giusto conservare. Qual’è il limite oltre il quale l’atto conservativo snatura l’opera d’arte nella sua essenza?
4 – confine integrativo
Un confine molto semplice in sé, ma che varia con il variare del gusto e delle mode, per tanto; la piccola lacuna si ritocca, ieri a rigatino, oggi con tecnica mimetica, domani chissà , magari con degli “stencil”. La grande lacuna No, non si ritocca, si risolve con un neutro! Si però se si tratta di partitura architettonica, forse no, è meglio integrare ma in quel caso e non nell’altro, mi raccomando . Di fatto un confine mobile al quale ogni restauratore si deve adeguare di volta in volta, di giorno in giorno, da funzionario a funzionario, da regione a regione e così via, come un funambolo, per tutta la propria vita professionale.
5 – confine storico
Un confine complicato quello storico, lo stesso per cui gli oggetti archeologici vanno conservati ma non integrati, mentre via via che ci si avvicina alla contemporaneità i parametri di integrazione variano. Comprende i documenti che ci danno notizie sulle opere e che sono oggetto di conservazione pure loro.
6 – confine artistico
Una specie di cilicio per molti restauratori; quando ritocchi dimenticati di saper dipingere altrimenti potresti imprimere qualche traccia della tua personalità nella lettura dell’opera. Ma se proprio non sai dipingere potresti non interpretare nel modo corretto l’integrazione pittorica e non mettere in luce l’essenza di un opera… Insomma un bel dilemma, ci sono almeno l’ottanta percento delle probabilità di incappare in errore. Ma tanto siamo abituati, non a sbagliare ma a pigliarci tutte le responsabilità possibili.
7 – confine dei materiali compatibili
Questo è facile, ma non per tutti, si tratta di quel confine per cui non tutti i materiali presenti in un dato periodo storico sono utilizzabili per il restauro, ma solo quelli compatibili con l’opera stessa. Ma per sapere cosa è compatibile bisogna saper leggere la materia costituente un opera, i materiali antichi e bisogna conoscere i materiali nuovi e prevedere il loro comportamento nel tempo.
8 – confine economico
Un confine dolente, lo stesso per il quale alcuni proprietari di opere scelgono di lasciarle nell’incuria e nel degrado. Il medesimo confine che, in caso di edifici storici, fa prediligere le ditte edili alle ditte di restauro competenti in materia. Lo stesso confine per cui alle opere più famose è riservato un trattamento accurato e per le opere minori non è neppure possibile prevedere delle minime indagini diagnostiche.
9 – confine burocratico
Bisogna fare molta attenzione a distinguerlo da quello normativo, anche se ad esso è legato. Sono i cavilli le comunicazioni da inviare entro il , i documenti da compilare non oltre il, gli scadenzari dei bilanci delle amministrazioni eccetera, eccetera, eccetera. Un infinità di piccole procedure che potrebbero dilungare la partenza di un lavoro di restauro o il pagamento per la stessa di molto, molto tempo.
10 – confine pregiudiziale
infine il più importante dei confini e se vogliamo dei limiti del restauro è quello pregiudiziale. È l’unico confine non endemico ovvero non deriva dal restauro stesso, ne è esterno ma ne determina, troppo spesso, le sorti. Mi spiego meglio. Il confine pregiudiziale è di chi pensa che un restauro lo si possa affidare a chiunque, di chi pensa che non ci voglia poi tanto a fare il restauratore e ci si mette in prima persona anche se ha sempre fatto il pizzicagnolo. Il confine pregiudiziale è dei progettisti che pensano che conservare sia una iettatura, un inutile perdita di tempo, quelli che prima di chiamare un restauratore passano in rassegna tutte le categorie e i codici ATECO delle camere di commercio. Quelli che quando vedono un lacerto di affresco o l’affiorare di una tomba mentre scavano la massicciata di una strada, corrono come pazzi a nasconderlo, per scongiurare l’arrivo della soprintendenza, distruggendo arte, storia e materia. Poi, nel tempo, quando le vicissitudini professionali gli faranno incontrare un restauratore, non resisteranno alla tentazione di narrare di tutte quelle meraviglie delle quali solo loro sanno, ma che hanno distrutto per “cause di forza maggiore”, e con l’aria di chi la sa lunga provocano l’ulcera al malcapitato restauratore, con la stessa nonchalance con la quale hanno coperto di cemento secoli di storia . Contro questo confine noi restauratori non possiamo fare molto, può e deve la legge.
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_7340.jpg10851086Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-05 17:30:292018-05-05 17:33:59Il decalogo dei confini del restauro
La visuale dall’alto mostra con più precisione l’inserimento territoriale di un dato manufatto. In questo caso l’insediamento era nato in tempi antichi per finalità difensive, i primi documenti risalgono al XIII secolo, ma altri documenti traslati nell’ottocento citano il passaggio in quel luogo di Carlo Magno
Già questa pianta ci fa intuire la stratificazione degli elementi architettonici
Vido gentilemente concesso dall’associazione Amici di San Giovanni
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_5871.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-01 08:20:552018-05-01 08:20:55Volo sul bene culturale
In realtà si trattava di una modalità ironica per parlare di un argomento piuttosto serio, per tracciare le linee di un identità forte e reale. Un identità esistente! Quella dei restauratori Italiani
Ma perché questa identità di una classe professionale non si afferma? Possiamo constatare con un analisi semplice ed essenziale che vi sono delle evidenze che non si impongono come tali e mille altre inezie poco logiche e sfuggenti che però tengono le redini di un mancato riconoscimento
Il restauro c’è ed esiste è una disciplina ed il lavoro che svolgiamo tutti noi restauratori, ogni giorno, nonostante tutto
I restauratori esistono, sono gli stessi che restaurano ogni giorno i manufatti
Poi ci sono persone, situazioni anomale e sciocche, che con il restauro c’entrano come i cavoli a merenda ma che assumono e determinano il controllo della situazione. Sono piccole incongruenze, piccoli disturbi burocratici ed altri moscerini, ma che determinano l’andamento dell’intera questione del restauro
Al fine di comprendere questa dinamica forse è il caso di analizzare in via preliminare alcuni fattori.
Pensiamo alla categoria dei restauratori, si trova in una posizione arretrata per quanto attiene il riconoscimento burocratico, e in una posizione semi incosciente in quanto categoria professionale identitaria.
Penso che uno dei motivi che induca nel restauratore questa identità sfocata, mancante o non riconosciuta, sia proprio quell’eterna situazione di precarietà normativa
Parrebbe strano ma purtroppo i due elementi sono strettamente connessi tra di loro; la burocrazia non riconosce i restauratori ed i restauratori non si riconoscono.
A ciò contribuisce non poco l’assenza di un percorso formativo comune, che fomenta le differenze e le piccole schermaglie interne. La mancanza di un percorso formativo comune che, guarda caso, continua ad essere favorito e spinto dalle istituzioni con l’autorizzazione di una miriade di percorsi formativi per il restauro, non può che contribuire al frammentarsi della coscienza identitaria del restauratore
Ma vediamo l’atteggiamento della burocrazia nei nostri confronti
Cos’è la burocrazia oggi. È un ordine tecnico, capillare e dilagante che norma e regola ogni nostra azione quotidiana, dal lavoro alle più banali attività. Pensiamo per un attimo a quante volte in un giorno ci viene richiesto un documento d’identità, un tesserino di riconoscimento, una password, una firma per il trattamento dei dati personali o un codice PIN. Molte vero?
La burocrazia di una società è multiforme. Necessaria per arginare ciò che è illegittimo, opprimente per chi deve dimostrare l’ovvia e dovuta legittimità. Da un lato ci tutela, dall’altro ci controlla. Tutto cataloga, tutto suddivide, tutto ordina e tutto incasella. Da un lato garantisce e riconosce, dall’altro blocca e disconosce.
Bene ora pensiamo a quale anomala situazione può essere quella in cui una categoria che lavora ogni giorno pare per un fine nobile, sia riconosciuta solo parzialmente. Ovvero il codice ATECO esiste,”90.03.02 Attività di conservazione e restauro di opere d’arte”. Gli studi di settore pure, ci chiedono ogni anno se abbiamo restaurato dipinti e quanti su tela, quanti su tavola che percentuale di affreschi, di libri e di sculture abbiamo trattato, quanti manufatti soggetti a vincolo e quanti no, quanti di proprietà privata e quanti pubblica, eccetera, eccetera. Ma, fermi tutti! Un dubbio lancinante coglie il ministero! Ma siamo sicuri che colui o colei che svolge quel lavoro, lo stesso per cui ha avuto autorizzazione della Soprintendenza, lo stesso per cui paga le tasse e per il quale compila quella puntualissima rilevazione statistica…sia in possesso di tutte quelle caratteristiche richieste e previste dalla normativa vigente?
Si scherza? Forse si ma non fino in fondo! Infatti questo anomalo soggetto che restaura i monumenti fissi e immobili e gli oggetti mobili, non risulta essere appartenente ad alcuna categoria. O meglio per creare la categoria dedicata si è reso necessario mettere a punto una procedura apposita, molto, ma molto, ma molto complessa. Irta di intoppi, impedimenti e prevedibili imprevisti!
L’avete capito vero? Sto parlando dell’ormai mitica Procedura Transitoria per il Conseguimento della Qualifica di Restauratore!
Eppure una via d’uscita per l’eroica commissione valutatrice, che annaspa e annega tra i nostri documenti ormai ammuffiti, ci sarebbe. Potrebbe, previo consenso informato, inserire il nostro codice fiscale nella pagina dell’agenzia delle entrate e capire in un baleno, chi siamo, su cosa lavoriamo, da quanto tempo ci sfamiamo con il restauro, se ci occupiamo di opere tutelate o no, se lavoriamo per privati o per il pubblico, (e questo sarebbe verificabile anche per i dipendenti delle ditte di restauro). Con buona pace loro e nostra.
Ma scordiamocelo! Pare proprio che nel nostro caso, connettere le sinapsi della burocrazia sia di una difficoltà insormontabile. Vedere di cosa ha vissuto un soggetto negli ultimi 10 anni dovrebbe essere il procedimento più banale per un apparato statale! Ma non quando si tratta di noi.
Evidentemente la nostra essenza artistica complica le questioni
Così possiamo ammirare la purezza di pensiero che induce il legislatore integerrimo a verificare se il soggetto preposto al restauro di opere d’arte, trattandosi queste ultime di patrimonio di interesse pubblico tutelato, sia o non sia adeguato a ricoprire quell’incarico a svolgere quella professione, che si scioglie come la neve al sole dinnanzi allo specchietto per le allodole del risparmio economico. Così da permettere di agire, su quei beni tanto cari, soggetti che certamente non hanno i requisiti per lavorarci. Talvolta i volontari, oppure gli studenti ma più spesso i muratori
Ma a me piace sognare
Per cui torno all’identità professionale dei restauratori; se le istituzioni non aiutano, se un insieme di moscerini minuscoli hanno formato una nube nera, questo non ci deve distrarre dalla percezione di ciò che siamo. Perché dobbiamo essere forti della certezza che il restauro esiste e coloro che li eseguono pure e se cominciassero ad avere una percezione comune di appartenenza anche la burocrazia potrebbe percepire il peso di un mancato quanto ovvio riconoscimento
Lasciamo perdere le differenze o l’ovvia competizione professionale , quando entriamo in un cantiere, in un laboratorio, in un museo, in una biblioteca … siamo molto simili tra di noi e ciò che ci accomuna è ben più di quanto non ci divida . Sono certa che converrebbe a tutti i restauratori, al restauro in quanto disciplina nonché ai poveri beni culturali tutelati
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_7989.jpg24862553Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-04-28 10:02:552018-04-28 10:02:55Identità, restauro e cavoli a merenda
Il pensiero di oggi riguarda il marketing del restauro
la nostra epoca contemporanea è fortemente caratterizzata dalle strategie di marketing e dalle conseguenti ricadute economiche sulla società.
Ci si può chiedere cosa mai c’entrerà tutto ciò con il restauro! In realtà il marketing c’entra sempre, ha direttamente a che fare con tutto quel che concerne bisogni, esigenze, prodotti e valori.
Ed è innegabile che il restauro esista perché esiste il bisogno di conservare manufatti. Connesso e conseguente alla soddisfazione di tale bisogno si crea un mercato, per quanto piccolo, con scambio di valori. Per questo motivo il marketing ha a che fare con il restauro, e forse, dovrebbe averci a che fare di più!
I pensieri che hanno indotto le seguenti considerazioni sono proprio dettati dalla strana percezione che esiste, sopratutto in Italia, circa la conservazione, il restauro ed i restauratori.
Il mondo del restauro è percepito, in linea generale, con delle distorsioni, con enfasi eccessive da un lato e minimizzazioni o trascuratezze dall’altro.
E’ così triste pensare che se esistesse una percezione più corretta della conservazione tutto sarebbe più semplice, non si lascerebbero cadere nel degrado i manufatti di pregio, sarebbe normale avere una categoria qualificata di restauratori ed altrettanto normale compensarla.
Ma veniamo ora alle distorsioni che io percepisco
In primo luogo qual’è l’immagine del restauro?
Immagine 1 – la ragazza sorridente, con capello fluente e camice candido che sfiora delicatamente la superficie di un dipinto con un bastoncino cotonato adatto alla pulizia delle orecchie.
Immagine 2 – Il grande evento: campagna mediatica da urlo, slogan roboanti per il ritorno “all’antico splendore” o la “all’origine” di un edificio storico
Immagine 3 – la scuola di restauro; gruppi di fanciulli in camice bianco dotati di sguardo sicuro diretto al futuro. La tecnologia invade la scena, microscopi, occhiali videocamera e molta, molta altra meravigliosa e debordante strumentazione.
Le tre immagini sopra elencate, che sono entrate a pieno titolo nell’immaginario collettivo, quando si parla di restauro, non consentono di vedere oltre. Infatti non è dato comprendere se la ragazza sorridente sia una restauratrice o una semplice comparsa.
E non ci mostra come il grande restauro pubblicizzato sia stato realizzato in tempi fulminei da una squadra di volontari, due classi di studenti e tre ditte edili e per tanto non si possa proprio definire restauro.
E non si evince dall’immagine della scuola se i fervidi giovanotti abbiano la cognizione che i molti denari sborsati da loro e dalle loro famiglie, per quella tecnologica istruzione, non gli garantiranno lavori remunerati e la loro figura professionale sia a rischio di mancato riconoscimento ministeriale.
Tutto questo manca nell’immagine collettiva del restauro, in parole povere manca la realtà!
… e dire che quelle sopra elencate sono le distorsioni in positivo, ma veniamo ora alle distorsioni in negativo o preconoscenze
Preconoscenza 1 – I restauri sono cari. “Punto!” I fondi necessari per conservare un bene sono considerati sempre e comunque troppi. Capita infatti che la stessa amministrazione cittadina, che mette a bilancio centinaia dei migliaia di euro, ogni anno, per tinteggiare le ringhiere e sistemare i cordoli di marciapiedi, si contorca per mesi prima di mettere a bilancio trentamila euro per un restauro o la manutenzione di un bene per il quale è conosciuta in tutto il mondo.
Preconoscenza 2 – Il restauro non è indispensabile.Non lo dico io, lo dicono i numeri! Quando si parla di un bene storico, per quanto importante, il restauro conservativo o peggio la manutenzione, costituiscono sempre l’ultima voce sia in senso cronologico che quantitativo. Se prendiamo ad esempio una qualsiasi gara di appalto pubblico per lavori di restauro e conservazione di un immobile vincolato, troveremo grossomodo la seguente suddivisione delle voci di capitolato: il 50% per lavori edili , il 20% per la messa a norma dell’impiantistica, il 10% per ponteggi ed opere provvisionali, il 10% per forniture varie tipo ascensori o finestre e, infine il rimanente 10% per il restauro, del quale poi si celebrerà la gloria per l’intero manufatto.
Preconoscenza 3 – I restauri si devono adeguare a tempi, modi e costi di altri settori ritenuti trainanti. E’ infatti cosa tutt’altro che insolita, che in un cantiere nelle previsione dei tempi e modalità d’intervento vengano inseriti in fase progettuale, costi, tempi e modi che non appartengono al restauro. Così può accadere che il restauro di un intonaco venga calcolato al prezzo che più si avvicina a quella tal voce di capitolato edile, ed i tempi previsti per la realizzazione saranno quelli di un intonaco nuovo. Da li deriveranno una serie interminabile di intricati problemi tra progettisti, committenza, ditte di restauro e soprintendenze. Situazioni che a loro volta generano la convinzione che: “quando si tratta di restauro è un problema!”
Alla luce dell’analisi dei parametri di percezione sopra elencati, deduciamo che in parte sono prodotti da un marketing gestito e condotto da chi non conosce il settore del restauro, ma in qualche misura ne trae profitto. Ed è alla luce di ciò che penso che il marketing potrebbe essere di enorme utilità per dare la giusta immagine del restauro, nella stessa misura in cui ha dato e diffuso quelle tre immagini all’immaginario collettivo.
Quelle tre immagini iniziali sono sbagliate, potrebbe dire qualcuno. No sono funzionali!
Mi spiego meglio, quelle tre immagini, che fanno sorridere noi restauratori, sono sbagliate o parziali rispetto alla complessa e reale dimensione del restauro, ma sono tagliate giuste giuste per il messaggio che vogliono dare, per il fine che vogliono raggiungere e lo hanno raggiunto, eccome!
Mi vogliano perdonare gli specialisti del settore per le inesattezze, ma trovo che il marketing sia un processo sociale che possa considerarsi neutro nella sua fase iniziale, ovvero non si fa problemi se deve sostenere e diffondere un brand di alta moda, le gomme invernali per i mezzi agricoli o l’operato di una forza politica. L’importante che attorno vi sia un interesse, un business che il marketing andrà a gestire, indirizzare ed ampliare.
E allora perché non utilizzare le tecniche di marketing per una campagna di informazione e diffusione dei valori della conservazione del patrimonio culturale?
Il marketing può contribuire a costruire un settore del restauro, radicato nel territorio con un indotto economico concreto, dedicato e modellato esclusivamente sulla misura della conservazione, restauro e manutenzione. Senza che venga mutuato da settori con i quali ha ben poco a che fare.
Sarebbe così bello se la manutenzione ed il restauro entrassero nel linguaggio comune!
Il restauro e la manutenzione delle opere possiede già un mercato proprio ed esclusivo che per anni è stato distratto ed assorbito da altri settori. Tocca a chi è del settore guidare il marketing nella giusta direzione.
Se troviamo fastidioso che i restauratori siano ridotti a comparse per dare un aura artistica ad un dato intervento.
Se troviamo assurdo si facciano campagne roboanti per celebrare un restauro – evento e si lasci nel degrado il resto del patrimonio
Se troviamo triste che a fronte del businness della formazione del restauro non corrisponda un business del lavoro del restauratore
… Forse tocca a noi. Si proprio a noi poveri, miseri e bistrattati professionisti del settore culturale FAR COMPRENDERE AI MOLTI QUANTO UNA PROFESSIONE DI POCHI SIA UTILE A TUTTI
Dobbiamo trovare un modo, capire quali sono i canali e le vie per far acquisire e diffondere il concetto che il restauro è una professione che può conservare, tutelare e salvare il patrimonio. E lo fa per tutti.
La gioia più grande sarebbe, fra qualche anno, rileggendo le idee espresse in questo scritto trovarle ovvie e superate in quanto date per acquisite
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_8231.jpg30243694Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-04-08 09:14:242018-04-08 09:27:29Marketing e restauro
Probabilmente si, ma forse no. Non è di facile interpretazione poiché il nero è spesso definito un “esperienza visiva”. L’ottica e la fisica lo definiscono in tal modo
Mi spiego meglio; Neri sono definiti quei pigmenti che hanno la capacità di assorbire la luce, più la assorbono è più risultano neri. In conseguenza a ciò ci risulta difficile comprendere con precisione a quali colori ci troviamo di fronte.
Nella scala RGB il nero è pari a zero; zero rosso, zero verde e zero blu, l’esatto opposto del bianco che rappresenta l’espressione massima dei colori, il nero la minima, anzi l’assenza
Il nero ha in se, un non so che di magico e spaventoso al contempo. È infatti quel pigmento che, pur in presenza di luce, ci da l’effetto o l’esperienza del buio totale, della notte. Assorbe, trattiene, risucchia tutta la luce sulla sua superficie, anche in pieno giorno. I pigmenti neri e gli oggetti colorati da tali pigmenti costituiscono un angolo di notte permanente e invincibile in qualsiasi ora del giorno.
Spaventa e attrae al contempo, non a caso, connessa al colore nero vi è una fitta simbologia. Spesso di carattere negativo, ma anche di eleganza ed austerità.
Chi dipinge sa che il colore nero ha un potere immenso, se utilizzato con sapienza può rendere il messaggio di un’opera unico e potente, utilizzato a sproposito o in misura eccessiva può uccidere l’opera stessa.
A tal proposito mi viene da pensare a dei grandi artisti che hanno utilizzato il nero con sapienza, rendendo le proprie opere magnetiche e possenti, ve ne sono molti ma i primi che mi appaiono alla mente sono Mario Sironi ed Emilio Vedova. Due pittori che utilizzavano molto nero e riuscivano a dominarlo, operazione veramente ardua.
Sono opere di epoche diverse con messaggi artistici differenti tra loro eppure hanno un unico denominatore della potente attrattiva che l’utilizzo del nero esercita. Queste e molte altre considerazioni si potrebbero fare sul nero.
Nei colori dei materiali di utilizzo quotidiano il nero è molto utilizzato, anche nei colori chiari, una minima quantità di nero garantisce spesso stabilità ai colori.
Ma come sempre io mi occupo di materia del restauro, quindi di materiali tangibili, ed andrò ad analizzare i principali pigmenti neri che si utilizzano e si incontrano nel restauro.
I pigmenti neri reperibili in commercio si suddividono nelle seguenti categorie
Pigmenti neri di origine organica Animale
Pigmenti neri di origine Organica minerale o vegetale
Pigmenti neri inorganici di sintesi
Nero di vite
Il nero di vite è un pigmento naturale di origine organica minerale, è ottenuto dalla bruciatura e conseguente calcinazione di legno e viticci di vite. È un nero caldo, molto diluito tende al colore di terra. Ha una granulometria sottilissima ha un buon potere colorante e si mescola molto bene a qualsiasi impasto sopratutto se a base acquosa Ha una grande stabilità alla luce, perfettamente compatibile con la calce idrata, nel campo del restauro … non tradisce mai. È utilizzato sin dall’antichità e se ne trova traccia, su dipinti murali a fresco e ad olio, senza soluzione di continuità sino ai giorni nostri
Nero Avorio
Il nero di avorio è un pigmento naturale di origine animale deriva dalla bruciatura e lavorazione dell’avorio (in antichità) e delle ossa animali (ai giorni nostri). È un nero freddo, molto diluito tende al blu violetto. Presenta una granulometria sottilissima dall’effetto quasi vellutato, un potere colorante medio ed una buona stabilità alla luce. Ha un basso peso specifico, galleggia infatti sull’acqua. Ha un buon impiego nel restauro
Nero Fumo o di Germania
Il nero fumo è un pigmento organico naturale, per lo più di origine vegetale ma vi sono anche varianti animali. Infatti questo pigmento, che gli antichi chiamavano anche nero carbone, deriva dalla bruciatura e lavorazione di legno, cera, resine, grassi ed altre materie. Ha una derivazione variabile e per questo motivo risulta difficile definire con precisione le sue caratteristiche peculiari, nell’utilizzo per il restauro può avere risultati variabili a seconda della sua composizione per cui non da sicurezza. È un pigmento molto diffuso sin dall’antichità è molto coprente e resistente alla luce.
Nero Roma
Il nero Roma è un pigmento di origine minerale naturale, deriva infatti dalla macinazione del carbon fossile e più specificamente dalla lignite terrosa, un carbon fossile ad uno stadio poco avanzato di carbonizzazione e sedimentazione. Si tratta di un materiale povero, come tale anche lo è anche il pigmento che ne deriva (nero Roma). Poco nero, è infatti vagamente grigiastro, poco coprente, poco colorante e mediamente resistente alla luce. Tuttavia trova una buona compatibilità con i materiali del restauro. Anche il nero Roma è utilizzato sin dall’antichità.
Nero Grafite
Il nero grafite è un pigmento minerale naturale, esso deriva infatti dalla frantumazione dell’omonimo minerale. Lo stesso da cui deriva la grafite delle matite da disegno. Si presenta grigiastro, brillante ed untuoso al tatto. Molto bello per gli effetti iridescenti tipici del minerale da cui deriva. Molto difficile da disciogliere in composti acquosi, poco resistente alla luce e sconsigliato l’utilizzo nel campo del restauro, anche per il contenuto, seppur parziale, di ossido di ferro, assolutamente poco stabile.
Nero Ossido
Il nero ossido, detto comunemente anche nero di Marte è un pigmento inorganico minerale derivato da processo di sintesi dell’ossido di ferro. Ha un altissimo potere colorante e coprente, un alta resistenza alla luce ma è del tutto inadeguato alle esigenze del restauro in quanto, come tutti gli ossidi, trova stabilità chimica solo attraverso la cottura o se immerso in composti acrilici o sintetici. A contatto con l’alcalinità della calce idrata è assolutamente imprevedibile e rischioso.
Nero di Spagna
Un pigmento ormai introvabile ma molto diffuso dalla rivoluzione industriale sino alla metà del ‘900 è ottenuto dalla bruciatura e calcinazione del sughero. Un pigmento dalla granulometria sottilissima e leggera ma poco resistente alla luce e inadatto al restauro. Tale pigmento si può trovare in alcune tempere o dipinti murali a secco di inizi ‘900
Nero di Manganese
Il nero di manganese è un pigmento inorganico minerale derivato da un processo di sintesi. Sostanzialmente un biossido di manganese. Oggi molto diffuso nelle preparazioni a tempera poiché è un prodotto di scarto della lavorazione chimica delle industrie. Sconsigliato per il restauro
Bitume
Il bitume non è di fatto un pigmento ma un composto oleoso nerastro con il quale ogni restauratore prima o poi viene a contatto, basti pensare a tutte le velature dei dipinti antichi ottenute con questo sottile composto. È derivato da cere e petroli mescolati con polveri e residui fumosi. Veniva disciolto nell’olio oppure nelle cere, aveva la caratteristica di annerire lievemente le superfici trattate mantenendo tuttavia una discreta trasparenza. Se ne può osservare l’utilizzo nei dipinti ad olio di Giulio Romano, sui mobili antichi e nei punti d’ombra delle cornici dorate.
Carboncino e Fusaggine
Non si possono definire propriamente pigmenti, sono materiali da disegno e spolvero. Il carboncino naturale è detto fusaggine dal nome della pianta da cui deriva, molto friabile e morbido e spesso conserva la forma dei bastoncini di fusaggine carbonizzata . Inconsistente, morbida e friabile è altrettanto volatile, una volta tracciata sulla carta. Il carboncino è più compatto e può avere vari componenti, spesso elementi canonizzati come fusaggine, vite o salice, oltre ad antracite e colla animale, il tutto compresso in bastoncini a sezione quadrata rotonda. Sono più compatti ma altrettanto difficili da conservare nel tempo. Non per la resistenza del nero alla luce, bensì per lo scarso legante da cui sono caratterizzati. Non si usano nel restauro, ma si incontrano spesso, nel restauro della carta e nelle tracce di spolvero di alcuni affreschi.
Inchiostro
Anche questo non è un pigmento ma un composto derivato dal pigmento utilizzato per specifiche tecniche del disegno o pittoriche. Il più antico e forse famoso è l’inchiostro di China, arriva dall’oriente ed è composto da nero carbone, legante organico e acqua. A differenza del carboncino è assolutamente indelebile. L’inchiostro da stampa si differenzia dall’inchiostro di china o da scrittura poiché si presenta in pasta e non in soluzione acquosa. È caratterizzato da un composto molto variabile che comprende pigmenti, coloranti in sospensione di tipo sintetico o minerale, amalgamati in pasta con derivati dal petrolio. Risulta indelebile. Costituisce un capitolo molto importante per i restauratori della carta.
Questi i neri che mi sono venuti alla mente, ma ve ne sono molti altri e se volte contribuire, aggiungeteli nei commenti
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_8220.jpg23594032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-04-04 18:12:132018-04-05 07:43:11Colore o non colore Il NERO
La Pasqua, per tutte le principali religioni, è un evento mistico di rinascita
La sua collocazione temporale in periodo primaverile ribadisce e sottolinea il significato mistico, con riferimento oggettivo ai cicli naturali, alla rinascita della natura
AUGURI di BUONA PASQUA
Auguri a tutti i restauratori
Auguri a tutti i professionisti dei beni culturali
Auguri a tutti gli appassionati
Affinché questa Pasqua sia rinascita e rinnovamento per lo studio, per la passione artistica e per l’affermarsi di tutte le professioni artistiche
Vorrei veder volare l’arte della conservazione del patrimonio, come un cigno.
I cigni faticano a decollare per via della loro mole, ma quando volano, con le loro grandi ali ed il collo lungo a far da timone, volano più in alto di tutti i volatili
Ecco vorrei vedere la mia professione decollare … Non necessariamente per un mero risvolto utilitaristico, vorrei vedere diffondersi la cultura della conservazione e del patrimonio
Semplicemente vorrei che fosse di dominio pubblico il fatto che il patrimonio storico artistico, sotto le sue infinite forme, sia la nostra storia, sia parte di noi. Così, come la nostra lingua. Ecco proprio un linguaggio comune, senza il quale saremmo relegati ad un eterno balbettio, indotto dall’assenza di memoria
Vorrei spazzare via, con colpo d’ali, tutti i preconcetti sul restauro e la conservazione
Vorrei che fosse ovvio che tra un manufatto stratificato di storia ed una nuova edificazione si debba scegliere il primo, essendo disposti ad accettarne le difformità da un gusto dominante e preconcetto del bello
Vorrei che fosse doveroso per tutti conservare anche ciò che non si considera”bello”, in virtù della sua storia
In virtù del rispetto. Rispetto per chi ha progettato per chi ha realizzato, per chi ha posseduto, vissuto, modificato, amato quel manufatto. E, dalle nostre mani, debba arrivare alle future generazioni con il suo carico di storia e insegnamenti.
Purtroppo in questo momento storico, chi si occupa di conservazione e restauro non è che un brutto anatroccolo
I motivi sono molti, sono culturali, economici ed utilitaristici
In ogni caso mi preme inviare il mio plauso a tutti coloro i quali, con la loro supponente miopia economica, stanno lasciando deperire un grande patrimonio di storia, arte e bellezza
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/03/IMG_1510.jpg14461627Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-03-24 09:10:402018-03-25 21:44:20Il restauro e il volo del cigno
L’argomento che ho scelto di trattare in questo articolo riguarda un’area d’interesse estremamente vasta
Riguarda il restauro ma anche l’edilizia, qualora si trovi ad operare su manufatti storici.
Desidero parlare di malte ed intonaci
Fatte le doverose distinzioni, dettate da materia prima, aree geografiche ed evoluzione tecnologica, si tratta di una tecnica incredibilmente longeva, poiché utilizzata ininterrottamente dall’antichità sino ai giorni nostri!
L’intonaco è quel composto polimaterico che deriva dalla miscelazione di una parte di legante e due o tre parti di inerte (in polvere o comunque di granulometria medio piccola). Detti componenti vengono mescolati e condotti allo stato semi fluido (malta) mediante l’aggiunta di acqua, quindi il composto viene steso in strati sul supporto prescelto.
Detto supporto può essere rappresentato dalle superfici di un edificio, la cui struttura potrà essere in pietra, laterizio o altro ancora. La condizione necessaria per l’applicazione dell’intonaco è che il, supporto abbia una, seppur minima porosità. Dopo la stesura, la malta, raggiunge lo stato solido attraverso l’essiccazione, la carbonatazione o la silicizzazione, divenendo così intonaco.
Dobbiamo considerare che l’intonaco ha infinite varianti dettate sia dal componente inerte che dal legante, oltre che dalla granulometria e dalla modalità di utilizzo. Si pensi che il medesimo composto, con legante di calce idrata, manipolato con sapienza tecnico metodologica specifica, può generare intonaco da allettamento per murature semplici, così come stucchi aggettanti o ancora stucchi veneziani o affreschi. Questo per dare l’idea della grande versatilità di questa materia.
Al fine di comprendere chiaramente quali intonaci siano pertinenti e compatibili con azioni conservative, di restauro o genericamente compatibili con manufatti storici, si rende utile conoscere i principali tipi di intonaco in circolazione
Nella seguente tabella elencherò i principali tipi di intonaco suddivisi a seconda della tipologia di legante e della compatibilità con il manufatto storico:
Di seguito una breve descrizione dei diversi tipi di intonaco elencati nella tabella
L’ Intonaco di calce idrata – L’intonaco con il legante aereo per eccellenza, deriva dalla cottura della pietra calcarea (calce viva) messa poi a spegnere in vasche di acqua e stagionato per almeno 2 anni. Si tratta del più antico dei leganti, per fare un esempio, gli intonaci interni alle piramidi egizie sono di questa natura, così come gli affreschi di ogni epoca e gli stucchi Veneziani. Per ovvi motivi è il più direttamente compatibile con i manufatti storici. Asciuga in presenza di aria e, grazie all’anidride carbonica in essa contenuta consolida attraverso il particolarissimo processo chimico della carbonatazione. I Romani vi aggiungevano pozzolana per conferire caratteristiche idrauliche all’intonaco, ma oggi abbiamo la calce idraulica
L’intonaco di calce idraulica – ha il medesimo componente della calce idrata, si tratta di idrossido di calcio, ottenuto mediante cottura del calcaree ma a delle gradazioni più alte rispetto alla calce idrata. Questo intonaco asciuga anche in presenza di acqua e umidità, per questo è detto “idraulico”. La calce idraulica naturale è contraddistinta in commercio dalla sigla NHL (Natural Hidraulic Lime). ATTENZIONE in assenza della sigla NHL non è calce naturale a seguire NHL possiamo avere un numero 2,5- 3,5 – 5, in sintesi si tratta del grado di tenuta della calce al centimetro cubo (esempio 3,5 Kilo Newton al centimetro). L’intonaco di calce idraulica possiede un ottima compatibilità con i manufatti storici ed è particolarmente indicato per i quelli collocati in zone umide e fredde.
L’intonaco ai Silicati di Potassio è caratterizzato da un legante silicico, il silicato di potassio, che ha il potere di aderire al supporto con grande tenacia. Un modo semplice per visualizzare il meccanismo di presa del silicato di potassio (silicizzazione) consiste nell’immaginare che la parte fluida dell’intonaco sia del vetro liquido con il potere di penetrare in ogni anfratto e di inglobare i pigmenti ed i granelli di inerte e quindi di legarsi indissolubilmente al supporto, garantendo al contempo una buona traspirazione. Questo tipo di intonaco nasce dall’invenzione dei colori ai silicati (silicato di potassio + pigmenti minerali) brevettati in Baviera da Adolf Whilelm Keim nel 1878, tale idea era volta a consentire, anche nei luoghi freddi e umidi, di decorare le pareti esterne ottenendo risultati simili alla decorazione a fresco. Oggi i silicati forniscono una vasta gamma di colori e intonaci colorati di ottima qualità. Questo intonaco ha un aspetto naturale con lievi differenze cromatiche e non è di facilissimo utilizzo poiché, come gli intonaci di calce, tende a segnare le giunzioni e le differenze cromatiche dei diversi tipi di assorbimento del supporto. Per le sue caratteristiche trovo sia un intonaco ottimo per manufatti otto – novecenteschi e nel caso in cui si debbano consolidare calci idrauliche o cementi novecenteschi dei palazzi liberty o Decò, oppure in luoghi freddi, per il resto è comunque preferibile la calce idrata o idraulica. Vi è un dato a cui si deve prestare attenzione nell’utilizzo di questo prodotto, non si deve cedere alle sirene della distribuzione commerciale che spesso consiglia vivamente e associa un buon intonaco ai silicati di potassio ad una finitura ai colori silossanici, che contengono resine sintetiche, e andrebbero a rovinare l’intento conservativo del prodotto ai silicati di potassio.
L’intonaco di loppa basica granulare d’altoforno merita una riflessione particolare, poiché questo legante dall’azione idraulica latente, generata da leganti idraulici da miscela è poco studiato, poco conosciuto ma temo, molto più diffuso di quanto non si possa immaginare. La loppa basica granulare d’altoforno è un residuo della lavorazione della ghisa, che, si è evidenziato avere del potere legante. Circa una decina di anni or sono la commissione per le normative comunitarie della comunità Europea ha inserito questo materiale tra i leganti idraulici. Non esistono in bibliografia studi specifici approfonditi in relazione all’utilizzo di tale legante su manufatti storici, ma il fatto che sia una scoria della lavorazione siderurgica da da pensare che non si tratti propriamente di acqua di fonte e quindi potrebbe essere dannosa per la conservazione di un manufatto storico. Un ulteriore dato sospetto è che sono pochissimi gli intonaci premiscelati dove si dichiari palesemente che il legante sia loppa d’altoforno, ed è qui il punto! Se fosse ovvia la bontà del prodotto perché mai commercializzarlo sotto mentite spoglie? A causa di vari trucchi commerciali , chi si occupa di manufatti storici e restauro deve prestare una grande attenzione, spesso agli intonaci di loppa d’altoforno vengono commercializzati con generiche indicazioni di intonaco a base di calce. La loppa d’altoforno ha costi molto contenuti ed è di colore grigio. Due piccole accortezze ci possono aiutare ad individuare il vero legante dell’intonaco premiscelato
La calce idraulica naturale NHL è di colore bianco o beige o terra naturale chiara, MAI GRIGIA! diffidiamo dei premiscelati di questo colore
I sacchi che inseriscono a caratteri cubitali sulle indicazioni NON AGGIUNGERE CALCE hanno ottime probabilità di contenere loppa d’altoforno, che notoriamente ha reazioni avverse con la mescolanza alla calce naturale, sopratutto idrata. Diffidiamo quindi dei premiscelati che riportano tale indicazione
Intonaco di calce eminentemente idraulica è un altro intonaco con legante derivante da una miscela, quindi non naturale, e dall’attività idraulica latente. Come la loppa d’altoforno è dichiarato legante idraulico dalla CEE ma cosa contenga di preciso non è facile comprendere. Genericamente è di colore grigio ed ha un costo molto contenuto, risulta essere particolarmente dannoso per i manufatti storici poiché spesso contiene polimeri o scarti del cemento, quei residui che non hanno raggiunto le caratteristiche di tenuta richiesti per divenire Portland, vengono miscelati con chissà cos’altro e impacchettati come calce eminentemente idraulica. E’ un materiale pericolosissimo per il restauro, poiché si propone sotto le mentite spoglie della calce, ed ha invece tutte le caratteristiche negative, ormai note, del cemento e non possiede neppure quelle positive come la tenuta.
Intonaco di cemento, è quasi inutile parlarne, tutti lo sanno, è quanto di più controindicato possa esistere nel campo della conservazione dei manufatti storici. Tuttavia è sempre molto diffuso, ha un basso costo ed una facilità incredibile di lavorazione. Mentre per la calce le conoscenze tecniche sono indispensabili al fine di realizzare un intonaco di qualità, l’intonaco di cemento riesce sempre, anche se realizzato da un neofita, facile e veloce, per questo è così amato dalle ditte edili. Il cemento deriva dalla cottura del clinker ad altissime temperature, contiene molti agenti leganti diversi tra loro ed il suo procedimento di presa e indurimento è così complesso che ancora non è perfettamente chiaro neppure per i chimici. Per il restauro è molto dannoso, è troppo rigido, attira tutti i sali solubili di nitrato del circondario, attira l’umidità che induce disgregazione agli intonaci di calce idrata circostanti, è igroscopico e chi più ne ha più ne metta. Intendiamoci se desiderate realizzare una nuova costruzione in cemento armato, la finitura in cemento sarà perfettamente compatibile ma nei manufatti storici no! È un incubo.
Intonaco con leganti acrilici o sintetici genericamente difinito al quarzo per il tipo di inerte utilizzato. Normalmente è un composto di inerti legati per polimerizzazione del legante di tipo acrilico, resinoso o di sintesi. È molto diffuso, anzi è il più diffuso in assoluto, trova utilizzo per la finitura delle facciate di ogni genere, dalla villetta a schiera alla facciata del museo. Lo troviamo sotto forma di intonaco colorato in pasta, con granulometria sottile oppure grossa e difforme che crea ombre di pseudo antichità sulle superfici trattate, oppure come stucco liscio alla veneziana. Presenta una gamma immensa di colori da quelli pieni e compatti a quelli iridescenti, perlescenti o brillantanti. A corredo ha sempre un aggrappante da stendere, sulla povera muratura, prima della realizzazione e magari una velatura collosa da usare come finitura e creare l’effetto finto antico anzi per usare un neologismo diffuso “antichizzazione”. Molto versatile, il componente acrilico o di sintesi può essere aggiunto a quasi tutti gli altri materiali creando mix micidiali per la conservazione degli intonaci antichi. A differenza degli intonaci ai silicati o di calce è di semplice utilizzo, ha colori piatti e uniformi può raggiungere gradazioni tonali molto accese, risulta sempre uniforme e compatto resiste per lungo tempo, immobile come un rifiuto di plastica al mare, nel frattempo inquina tutto ciò che lo circonda. Quando degrada, presenta delle deformazioni superficiali e distacchi, delle bolle alla “alien” e quando le bolle si lacerano, l’intonaco si sfoglia, con il tipico effetto della fetta di prosciutto, mentre al di sotto dalle murature antiche, arrivano segnali di vita ed esplodono i sali solubili di nitrato e, facendo attenzione si può sentire il respiro del manufatto storico che era stato imbavagliato per anni. La superficie muraria trattata con questo materiale non presenta differenze cromatiche di sorta e ciò contribuisce ad ottenere un caratteristico effetto “nuovo” alla superficie trattata. Forse per questo è ritenuto “irresistibile” e ricopre con la sua coltre sintetica oltre il 60% dei manufatti storici delle città italiane. Avete capito bene il 60. L’empatia con la plastica dev’essere la ragione del suo incredibile successo, poiché non è attribuibile a ragioni economiche, è un materiale di facile utilizzo ma per nulla economico, anzi può raggiungere costi importanti. Dal mio punto di vista ritengo che si tratti di un fenomeno dai risvolti antropologici con palesi ricadute sul paesaggio, un fenomeno da studiare. Chissà mai che si trovi una cura! Ovviamente è altamente controindicato per i manufatti storici
Dopo aver elencato le più diffuse tipologie d’intonaco ed averne individuato la compatibilità o meno con il manufatto storico, ci si può addentrare nel merito delle modalità compatibili al concetto di restauro, mi spiegherò meglio. Vorrei indagare proprio in modo semplice e schematico quella sottile linea di demarcazione che si trova tra il restauro di superfici decorate dell’architettura e l’edilizia.
Al fine di applicare delle modalità conservative non basta individuare l’intonaco corretto da utilizzarsi su un dato manufatto, ma si rende necessario applicare tutte le procedure di un vero e proprio restauro. Spesso infatti passano sotto la denominazione di “restauro” azioni che nulla hanno a che vedere. Nello specifico elencherò alcune fasi di lavorazione che passano erroneamente per conservative:
Demolire tutti gli intonaci di un palazzo, antichi, di evoluzione stilistica e recenti e sostituiti con nuovi, seppur compatibili NON È CONSERVAZIONE E NEPPURE RESTAURO
Ricoprire gli intonaci di finitura antichi con intonaci nuovi, seppur compatibili NON È RESTAURO
Le demolizioni sono compatibili con il restauro solo quando interessano la rimozione di un intonaco incongruo e dannoso per il manufatto (tipo intonaco cementizio)
Il restauro è conservare gli intonaci antichi e storicizzati ed integrarli nelle loro parti mancanti, infine, se sarà necessario si potranno armonizzare dal punto di vista cromatico. TUTTO IL RESTO È EDILIZIA!
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/03/IMG_7756.jpg40323024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-03-17 16:18:312021-04-16 07:55:46Le malte gli intonaci ed il confine tra edilizia e restauro
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