Articoli

Albo dei restauratori, una questione culturale

le “Baruffe chiozzotte” di goldoniana memoria, ovvero il conseguimento del titolo di qualifica di restauratore.

Il 31 dicembre 2017 doveva essere pubblicato l’elenco dei restauratori italiani, ovvero l’elenco di coloro che hanno conseguito la qualifica di “restauratore”, attraverso la selezione a mezzo di bando pubblico iniziato nel 1998 e conclusosi, con termine perentorio, il 15 ottobre 2015 con un susseguirsi di codici, bandi, ricorsi, tribunali, nuovi bandi, nuovi termini, nuovi parametri, rinvii, nuove regole, etc, etc.

Già leggendo tra le righe i testi delle comunicazioni e  delle proroghe si trovano chiari indizi che forse ci condurranno alla realtà dei fatti.

Si, per noi restauratori guardare la realtà è penoso ma proverò  a farlo, così come se analizzassi un opera d’arte.

I fatti;

  1. La formazione della qualifica del titolo di Restauratore è stata sollecitata dal Consiglio d’Europa ( se non erro, per questo ritardo l’Italia dovrebbe essere in mora da un pezzo)
  2. I restauratori hanno formazione eterogenea
  3. I restauratori sono pochi (quantomeno chi ha i titoli per ottenere la qualifica)
  4. I restauratori si scannano tra loro
  5. la commissione, composta da figure di alto profilo del panorama culturale, si riunisce a titolo gratuito
  6. La commissione scopre che i documenti da analizzare sono tanti
  7. I commissari provengono da tutta Italia e scoprono di avere bisogno di rimborsi
  8. La quasi totalità dei commissari si dimette
  9. Vengono fissati nuovi termini … il 30 giugno 2017
  10. Si sceglie di sostituire i membri della commissione con commissari Romani così da non avere il problema dei viaggi e quindi dei rimborsi
  11. La commissione, o quel che ne resta, annuncia il rinvio al 31 dicembre 2017
  12. La nuova commissione annuncia un nuovo rinvio a non so quando, mi sono distratta e forse non mi interessa più!

Le prima deduzione che emerge leggendo questo breve elenco è che non vi è una spinta socio politica o un bisogno reale nel conferire la qualifica di restauratore. La questione pare essere considerata un lieve fastidio, come un brufolo sul naso, che periodicamente compare. Un problema che non vale neppure il misero compenso dei commissari nominati.

Non vi è la volontà e neppure l’interesse

Eppure quello spropositato impegno profuso per deviare, bloccare, posticipare fa pensare ad altro. Fa sorgere il dubbio che qualche interesse, seppur pusillanime, ci debba essere.

Altrimenti non si spiegherebbe il ridicolo impegno nell’ostacolare l’applicazione di una normativa ovvia e banale.

L’interesse affinché  quella  professione nobile, nata e teorizzata in questo paese ed esportata nel mondo, rimanga un dato nebuloso nell’aere vagamente artistico, come un sentore di trementina, ci deve essere.

Partirò da una premessa che può rivelarsi utile alla comparazione, chiunque in Italia può conoscere quale sia il percorso formativo per titoli ed esami, per esercitare una data professione. Chi vorrà fare l’avvocato frequenterà la facoltà di giurisprudenza a cui seguiranno due anni di praticantato, infine dovrà superare l’esame di stato, chi sceglierà di fare l’architetto si laureerà in una facoltà di architettura e poi darà l’esame di stato e così via.

Il restauratore no, ad oggi non si sa cosa deve fare, un aspirante restauratore,  per esercitare legittimamente questa professione.

Fatta esclusione  dell’istituto centrale per il restauro e l’opificio delle pietre dure, la cui esiguità di offerta non assolve alle minime richieste, ne degli aspiranti restauratori ne del territorio.  Ogni giorno si vedono fiorire  nuove scuole di restauro, non vi è università o accademia che non abbia un corso di restauro, e poi scuole private, regionali, provinciali  e chi più ne ha più ne metta, tutte in qualche misura abilitate, certificate, ate.

Ok, ma quando uno studente concluderà il percorso formativo potrà esercitare? No,  beh, ma, boh … e chi lo sa!

Una pura follia che porta ad una frammentazione ulteriore, interna ad una categoria che già di per se stenta a riconoscersi, anche quando incontra un proprio simile.

I restauratori provenienti dalla formazione professionale si adirano contro quelli di formazione a bottega che si adirano contro i neo formati  da nuove scuole che magari pretendono di soffiargli i lavori… e tutti in coro contro quelli provenienti dall’ICR e OPD che, in questa melma fangosa, interpretano la figura degli eletti.

In realtà siamo tutti nella stessa condizione, come i polli descritti dal Manzoni nei “Promessi sposi” quelli che, accomunati dal medesimo destino ( finire in padella) non trovano di meglio da fare che azzuffarsi tra loro.

Una situazione paradossale che vede, a fronte dell’emergere della “fortuna critica” dell’arte in genere e del restauro come atto dall’aurea poetica, un aumento della precarietà della figura del restauratore. Una  contraddizione in termini!

Come se qualcuno avesse avvistato all’orizzonte un grande interesse nell’impresa culturale e artistica in genere e lo volesse riservare per se.  Preoccupandosi di mantenere il restauratore in uno stato di costante inferiorità e dipendenza. Per chissà quale timore, che possa emergere,  che possa trarne benefici, profitto o fama, chissà.

Questi soggetti oscuri che potrebbero essere altri professionisti oppure politici, pensano di risolvere il problema comprimendo la professione del restauro in uno spazio angusto, nel quale i restauratori  possano si svolgere il proprio  ruolo, ma sempre e solo per grazia ricevuta. Non per competenza, non per legittimità professionale ne per ruolo. Ma sempre solo ai piedi e al cospetto di chi gli consentirà magnanimamente di svolgere il lavoro che gli spetterebbe per ovvia competenza .

Purtroppo le figure che reggono questa politica non sono ben riconoscibili, non è facile additare il colpevole, senza cadere in inganno,  ma di certo l’operazione che stanno perpetrando non può che danneggiare l’intero paese.

Stanno mettendo in atto un boicottaggio alla professione del restauratore senza rendersi conto del più grande ed interessante orizzonte che vi è dinnanzi. L’Italia è un paese ricchissimo di arte, di genialità e di capacità tecnico artistiche. Il ruolo del restauratore svolto secondo criteri e norme corrette non può che apportare beneficio, non solo sotto il profilo conservativo ma di conoscenza. Ogni restauro è un’occasione di studio che può e deve costituire  una nuova pagina della storia di un dato bene.

I restauratori non sono meri esecutori e neppure aspiranti despoti, sono parte dell’ingranaggio culturale che può e deve procedere, ognuno secondo le propria competenza, con le finalità della conservazione del patrimonio che è la nostra storia e la nostra pelle.

Normare con equità e rettitudine la professione del restauratore è una questione culturale indice del livello evolutivo di un paese civile.

L’arte è una categoria dello spirito  nella quale c’è posto per l’espressione di tutti coloro i quali sapranno esserne all’altezza. Chi avrà qualcosa di sensato da dire in materia, alla fine non potrà che essere ascoltato e non serviranno a nulla argini balzelli o cavilli.

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

 

Avverso l’antico splendore

Restauro – antico splendore è diventato un assioma: chi non associa questi due vocaboli alzi la mano.

Già, pare proprio che dove ci sia  un restauro, debba esserci l’antico splendore

Personalmente credo sia una moda.

 Più esattamente fa parte di quelle parole o frasi che si diffondono a macchia d’olio in dati periodi, che hanno per così dire, “fortuna critica”. Frasi, locuzioni, parole, modi di dire che, in corrispondenza alla massima diffusione della loro forma verbale, si svuotano di contenuto. O meglio si caricano di un contenuto onnisciente significano tutto e nulla. Si diffondono a tal punto da essere utilizzate  in ogni occasione che anche lontanamente ricordi quel dato ambito di pertinenza.

Per maggiore concretezza, proverò ad entrare nel dettaglio semantico della frase in questione; Antico splendore si riferisce, in questo caso, ad un presunto stato di conservazione di un manufatto di interesse storico artistico nella sua fase di vita iniziale

Ora, poniamo un caso concreto, un manufatto che abbia cinque o seicento anni,  diciamo un dipinto ad olio su tela.  Palesemente noi non potremo mai sapere quale fosse la reale brillantezza dei colori immediatamente dopo la realizzazione, prima che intervenisse l’ossidazione degli oli, dei  legnati, del del colore, prima che i pigmenti sensibili alla luce virassero in tonalità impreviste?

No, non lo possiamo sapere, lo possiamo ipotizzare, immaginare, dedurre ma non sapere.

Poniamo ora un caso diverso, un tempio della magna Grecia. Grazie a studi, indagini  e documenti sappiamo che le superfici dei templi dovevano essere decorate e policrome. Lo sappiamo per induzione e deduzione ma a nessuno che operi nel campo dell’archeologia o del restauro si permetterà di riprodurre tali decori. Un caso diverso ed emblematico ma, quale mai sarebbe in questo caso l’antico splendore? Chi può dirlo.

Il fatto vero è che un manufatto artistico ha una sua vita , molto più lunga di quella degli uomini che lo hanno, costruito, comprato o posseduto. Di queste vite umane  l’oggetto d’arte ne conserva le tracce. Per questo motivo è nostro compito conservare e tramandare i manufatti di interesse storico e artistico. Qualora non sia dannoso per la conservazione del manufatto stesso conservando anche quelle tracce che ne hanno definito le fasi di vita, affinché lo splendore sia presente, continuo e costante. Al di la delle parole di moda e della nostra puerile  necessità di enfatizzare anche ciò che è già grande di per sé!

 

Testi e immagini

 Silvia Conti Restauro Conservativo