In questo articolo non si parla di restauro bensì di intonaci per l’edilizia contemporanea. Un tema ordinario, diffuso ma spesso noto negli aspetti più superficiali. L’intonaco per l’edilizia civile contemporanea può influire sul paesaggio urbano, anche quello di interesse storico per questa ragione è utile approfondirne la conoscenza
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2020/10/terra-rossa.jpg11621769Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2020-10-26 09:09:592020-10-26 09:11:07I colori di Terra oltre in Marketing e la Moda da Artribune
Il campo del restauro, come tutti gli adepti sanno, è vasto e multiforme ed è veramente difficile poterlo contenere in semplici definizioni o parametri.
Molto frequentemente viviamo di stereotipi, ma è normale, la mente umana ha necessità di schematizzare e paragonare per comprendere. Credo che il modo più semplice per comprendere gli aspetti più complessi del restauro sia proprio il paragone e da quello passare ad un osservazione più profonda, una catalogazione delle similitudini e delle differenze per giungere infine alla comprensione e all’analisi di un manufatto o opera d’arte. E’ un sistema complesso di conoscenze e raffronti che si incrociano. Domande che generano altre domande. Risposte o indizi che inviano a periodi storici o luoghi. Non è semplice ma vorrei provare a parlarne
Il dipinto che tanto amiamo, come è fatto? Da quali materiali è composto? Quali tecniche sono state utilizzate? Quando? Dove? Queste sono le domande giuste per approcciarsi al mondo del restauro. Perché prima di agire ed intervenire sull’opera d’arte con tecniche che si possono apprendere agevolmente in qualsiasi corso o su qualsiasi testo di restauro, è fondamentale comprenderne l’essenza. Senza questo passaggio il mondo del restauro resterà precluso.
Vorrei fare degli esempi, per step, che aiutino ad entrare nel campo del restauro
Ho pensato di descrivere alcuni esercizi utili o propedeutici alla conoscenza delle opere, chi non si occuperà di restauro potrà comunque utilizzarli per comprendere un’opera d’arte, arredare una casa, acquistare un oggetto di antiquariato e molto altro
Il primo passo e quindi il primo esercizio consiste nell’osservazione della materia e il suo riconoscimento
Intonaco antico di malta di calce idrata con tracce di colore ocra gialla
Pietra arenaria gialla
Granito rosa
Cemento portland
Lacerto di dipinto a fresco su intonaco di calce idrata
Saper riconoscere un materiale, utilizzando i semplici sensi a nostra disposizione come vista e tatto non è sempre facile e scontato come potrebbe apparire. Quando poi si tratta di opere di grande valore il tatto va escluso dalle possibilità d’indagine e resta la sola osservazione
Quell’immagine che ci è capitato di osservare è dipinta o stampata? Si tratta di colore ad olio, a tempera, acrilico o inchiostro da serigrafia? . E il supporto? Su cosa è stato realizzato; tela, tavola, cartone o materiale sintetico?
La cornice della finestra di casa mia è di pietra, di marmo, di intonaco modanato oppure di un conglomerato artificiale tipo graniglia?
Vi lascio con questa riflessione sui materiali, al prossimo articolo altri dettagli e qualche segreto sul riconoscimento della materia
Testi e Immagini
SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2020/04/IMG_9714-e1586936511639.jpeg30322274Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2020-04-15 09:43:352020-04-15 09:47:29Restauro - Esercizio di osservazione 1
In questo articolo vorrei parlare di un caso atipico sotto il profilo delle tecniche di conservazione.
Premesso che la storia del restauro si è costituita attraverso una moltitudine di prove e tentativi più o meno empirici.
Per una sorta di legge della selezione naturale, i tentativi falliti restano nel dimenticatoio mentre quelli riusciti si trasformano in tecniche di restauro … ecco questo caso è insolito perché ben riuscito ma assai poco diffuso!
Un caso strano di strappo di affresco rivoltato e fissato su di un supporto metallico
Tempo fa scrivevo della mia avversione agli strappi e nel profondo dei miei pensieri resto contraria a tale pratica, capace di decontestualizzare l’opera, come un colpo di spugna o un’amnesia crudele! Tale da far perdere in un baleno parte della storia di un’opera, memoria della collocazione e delle ragioni, seppur ipotetiche, che possano aver indotto pittore e competenza a realizzarla.
Eppure, come spesso accade, mi ritrovo a causa di forza maggiore ad approfondire l’argomento detestato, trovandomi dinanzi un caso particolarissimo.
Si tratta di uno strappo di affresco rivoltato su di un supporto in lamina metallica. La tecnica esecutiva è subito apparsa tanto insolita quanto straordinariamente affascinante.
Supporto in lamiera metallica
Lo strappo appare ben fatto ha asportato la superficie pittorica e circa tre millimetri di intonaco. L’adesivo utilizzato per far aderire lo strappo al supporto è un mix di colle animali, sottilissimo, quasi privo di corpo, ma straordinariamente efficace. Non si è persa la morfologia superficiale dell’intonaco e, salvo alcuni distacchi localizzati mantiene un grado di adesione al supporto straordinario
Il dipinto è collocato in esterno e, nonostante le intemperie e le ridipinture si è conservato molto bene. Non vi è certezza sulla provenienza ma io propendo per l’ipotesi di uno strappo effettuato in un vicino convento di clausura. Lo strappo potrebbe risalire alla fine dell’ottocento
Dalle immagini a luce radente si possono notare le imperfezioni dell’intonaco conservate dallo strappo ed una piegatura dello strappo, da ricondursi ad una fase di lavorazione transitoria
Dipinto prima e dopo il restauro
Avete raccolto altre esperienze di affreschi ricollocati con tecniche insolite? Scrivetelo nei commenti
Testi e immagini
Silvia ContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/10/IMG_3623.jpeg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-10-14 10:50:012019-10-15 11:10:49Un caso strano
Parliamo di restauro di grandi superfici, di ciò che in gergo tecnico è definito superficie decorata dell’architettura, i grandi palazzi, i complessi architettonici, quelli che raggruppati definiscono gli scorci e il panorama cittadino
Certamente sono quelle parti delle nostre città che ne definiscono le caratteristiche estetiche e, come nessun altro manufatto è soggetto alla moda, al gusto del tempo,con infinita duttilità si adegua continuamente alle nuove tendenze di pensiero estetico
Ci troviamo spettatori inermi di fronte al variare epocale dell’aspetto del paesaggio urbano e di volta in volta, di decennio in decennio, di zona in zona assistiamo al viraggio del colore della città dal color biscottino diffuso e depresso, che resiste alla “sporcizia” ed ha un non so che di politically correct , al giallo dilagante, come se una colata di polenta lombarda fosse caduta su interi centri storici e poi ancora, il rosso, che si fregia di nobiltà ma che appare come un sacco di plastica che soffoca interi centri storici e poi che dire degli “architettonici” grigi, quelli che se li scegli non sbagli mai, i non colori che lasciano la parola all’architettura che, se associati allo spigolino a piombo ed alla materia plastica, ti danno la sensazione che il palazzo sia emerso da un sacco di cemento e che ti chieda per pietà di liberarlo da quella coltre di grigiore.
Questi gli esempi più banali ma, facciamo attenzione, sarebbe un ulteriore errore incolpare o mettere al bando alcuni colori. Tutti i colori sono belli, se adeguati ai loro contesti ed alle loro superfici, al loro volere progettuale.Il problema vero è la scelta della materia: un rosso veneziano o pompeiano non potrà mai essere imitato dal corrispondente RAL xy contenuto in una colata di plastica resa più ruvida da una spruzzata di polvere di quarzo.
Ma proviamo ora ad indagare quale sia la differenza che intercorre tra la materia originaria dei manufatti o comunque più consona al restauro e l’aspettative della committenza o più in generale degli spettatori
Purtroppo la distanza esiste, la distanza è ampia, la materia originale dell’architettura storica è trasparente, incostante, imperfetta, perfettamente calzante al manufatto che ricopre ma non più consona alla contemporanea idea di antico e del cacofonico “antico splendore”
Si aggiunga a questo che le nuove materie resinose, plastiche, acriliche sono più facili da utilizzare e danno risultati perfetti e se vogliamo, a prova di cretino. Non servono infatti maestranze specializzate, chiunque maneggi un pennello potrà avere risultati impeccabili con acrilici o silossanici. Mentre anche i più bravi operatori avranno grandi difficoltà a gestire le trasparenze della calce, i variabili assorbimenti dei silicati di potassio o ancora le giunzioni delle tempere e delle velature ad acqua di calce .
Così le materie plastiche hanno praticamente soppiantato la materia autentica dell’architettura, perché più facili da usare e reperire, ma soprattutto perché esteticamente apprezzate. Ed è questo il problema culturale che pare insormontabile.
Potrebbe riultare banalizzante pensare che certi parametri estetici, molto vicini al nuovo, siano da ricondurre a personaggi distanti dal mondo della cultura o appartenenti a specifici ceti sociali . Non è così! Il gusto del nuovo perfetto, piatto e dagli spigoli a piombo è molto più diffuso di quanto non si possa credere. Trasversalmente condiviso da politici, operai, docenti universitari, architetti e informatici, senza troppi patemi d’animo pensano che più nuovo, sia più bello! Ovvio no?
Mi ritrovo a pormi domande del tipo; tutta questa attenzione per lo storico, l’antico … che senso ha? Che senso ha, se per restaurare un palazzo e soddisfare al contempo le esigenze di committenza, popolo ed economia, ci troviamo a doverlo fare “come nuovo” !
Il senso non c’è, ma ci sono ragioni che è bene conoscere. Nonostante i corsi e i ricorsi storici, tutta la storia che abbiamo alle spalle, è come se si fosse di fronte a una nuova tendenza di pensiero che ha necessità di trovare e regolare i giusti parametri di giudizio. E forse tocca a noi professionisti dei beni culturali indirizzare e guidare nella giusta direzione, spiegare e mostrare come la materia dell’architettura tradizionale sia la più consona. In parole povere dovremmo adoperarci affinché la materia dell’architettura storica torni di moda!
Testi e immaginiSilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/07/IMG_9914.jpg40323024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-07-28 11:29:032019-07-28 11:53:49I colori del restauro e le aspettative tradite
Siete restauratori e non siete certi che quel collaboratore che avete assunto abbia la stoffa giusta del restauratore?
Ecco un metodo infallibile per riconoscere un restauratore e chi ne ha l’intrinseca attitudine; verificare il suo rapporto con i pennelli!
(il decalogo è scritto al femminile perché mentre scrivo, tra un risata e l’altra, mi vedo personalmente in tutte le situazioni descritte, ma si intende che si riferisce ai restauratori in genere)
Il decalogo:
La restauratrice consapevole o inespressa passa interminabili minuti dinanzi alla vetrina del colorificio e analizza ogni oggetto esposto con la stessa concentrazione che si potrebbe dedicare alla lettura di un testo sacro, le più esperte riescono a valutare la densità del pelo del pennello anche attraverso la vetrina
La restauratrice quando compra i pennelli li tocca, li accarezza, tasta delicatamente l’elasticità delle setole, ne controlla il corpo e, già che c’è, vede se la ghiera metallica è ben fatta e verifica che non sia troppo lenta e non sia soggetta a ruggine. Spesso è dubbiosa verso quelle ditte che incollano troppo le setole dei pennelli nuovi, potrebbero nascondere delle sorprese!
I pennelli sono una categoria dello spirito quindi evitate accuratamente di intavolare disquisizioni in merito. Ogni restauratore ha le proprie preferenze in quanto a pennelli e non sente ragioni … è una questione di fede: Piattine, tondi, ovalini, muccini, tiralinee, lingue di gatto, pennellesse. E poi i tipi di pelo: martora, vaio, bue, puzzola sintetici, setola. E poi la tipologia: rigidi, morbidi, che tengono i liquidi, che non assorbono, adatti alle sfumature, adatti al tratteggio. E poi i manici: corti, lunghi, tondi, piatti, stondati e chi più ne ha più ne metta
La restauratrice adora i pennelli nuovi ma, fatto salvo per alcuni impieghi nel ritocco minuto, sa benissimo che sono meno efficaci di quelli già usati ma non troppo. I pennelli hanno una stato di grazia quando le setole cominciano a consumarsi e lo conservano da un terzo della loro consunzione sino a metà circa. … e questo è un segreto da tramandare di generazione in generazione!
I pennelli vanno lavati. Sempre! Con acqua calda e sapone, meglio se di Marsiglia. Se si sono utilizzati materiali sintetici, prima il solvente e, a seguire il lavaggio ad acqua. La fase di lavaggio è l’unica dove è consentito, anzi propedeutico, aprire bene le setole del pennello per pulirlo alla base, per poi richiuderle accuratamente. Segreto fondamentale affinché il pennello duri più a lungo e non si apra all’apice durante l’uso. Chiunque spatagnerà il pennello aprendone le setole durante l’utilizzo potrebbe provocare un arresto cardiaco alla restauratrice … e comunque non è un restauratore!
La restauratrice si trasforma in un mostro a sette teste quando vede qualcuno nel cantiere che lascia i pennelli dentro a contenitori, con le setole appoggiate sul fondo del barattolo anziché rivolti all’insù. Non importa se si tratti di altri artigiani che non lavorano con lei, inorridisce e basta! Fatto salvo per i muratori, per i quali si è perduta ogni speranza, da tempo.
Qualora il soggetto di cui sopra, colui o colei che ha lasciato il pennello a prendere strane forme sul fondo del barattolo, fosse per caso un collaboratore della restauratrice stessa, si scordi di avere un rinnovo del suo contratto. Ha fatto l’errore fatale!
Se lo stesso soggetto lo avesse lasciato pure sporco … non è un restauratore!
I pennelli hanno una sorta di gerarchia sociale intrinseca. Vengono suddivisi a seconda della qualità iniziale e del grado di consunzione. Una vera e propria meritocrazia. I pennelli nuovi si usano poco perché, fotto salvo la gioia alla vista, spesso non sono perfetti all’utilizzo, quelli mediamente utilizzati sono come vecchi amici che ci accompagnano durante il lavoro e pare ne sappiano più di noi. Quelli molto consunti vengono passati dal reparto ritocco a quello delle puliture e lavoreranno ancora a lungo. Quelli molto, molto consunti passano alla categoria spazzolino, dove saranno apprezzatissimi. Quelli distrutti … non si buttano, sono utilissimi per mescolare i liquidi! Così ci si ritrova a lavorare con pennelli risalenti ad ere geologiche lontanissime!
La restauratrice compra pennelli anche quando non le servono, se li concede come fossero una maglia nuova o un paio di scarpe, insomma … una componente del proprio bagaglio personale. Inutile dire che la bontà del negozio preferito dalla restauratrice viene stabilita a seconda dei tipi di pennelli che commercializza!
E voi che mi dite dei pennelli? Avete altri aneddoti, altri dogmi? inseriteli nei commenti!
Testi e immagini
SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/12/IMG_1816.jpg29143801Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-04-14 08:48:542019-04-14 08:48:54Pennelli e restauratori Il Decalogo
Questo articolo per parlare di ciò che non vorrei trattare e neppure vedere, gli strappi di affresco.
Eppure la materia ha suscitato negli anni, e continua a suscitare, uno smodato interesse. Capita infatti di incontrare interlocutori che non sanno esattamente nulla di arte o di affreschi ma l’unica vaga percezione che hanno in materia d’arte è che gli affreschi si possono strappare, in qualche misura sanno cos’è uno “strappo” e vorrebbero saperne di più. E ti chiedono come si fa!
In molti anni di professione del restauro è forse la domanda più frequente che mi è stata rivolta, dalle persone più diverse con la formazione culturale più disparata.
Mi sono trovata spesso a chiedermi perché, perché in una materia dove nessuno vuole approfondire nulla vi sia questo spiraglio di esigenza, bisogno, richiesta incessante di nozioni tecniche. Che meraviglia potremmo dire! Finalmente un aspetto del lavoro del restauratore che suscita interesse culturale
E invece spaventa, vi è qualcosa di diverso, pruriginoso, di vagamente perverso. Credo sia connesso al possesso di qualcosa di irraggiungibile, qualcosa di simile al concetto di trofeo
Eppure basterebbe guardare con attenzione uno strappo d’affresco per comprendere che tale tecnica si dovrebbe dimenticare. Premesso che spesso la tecnica dello strappo è stata utilizzata come ultima ratio al fine di preservare dei dipinti che altrimenti sarebbero scomparsi così come l’immobile sul quale si trovavano.
Ciò detto la principale problematica legata agli strappi di affresco è connessa al loro mutato contesto. Nati per essere parte integrante di una parete interna o esterna di un palazzo nobiliare o di una chiesa, ne narravano i dettami stilistico e simbolici. Per cui un affresco di un palazzo nobile avrà avuto riferimenti simbolici al casato, alle proprietà oppure alle gesta dei proprietari. Così su di una chiesa si sarà narrato del santo protettore o della confraternita a cui apparteneva l’edificio stesso. Le stesse decorazioni aniconiche avranno avuto in se il gusto ed il pensiero di quel luogo di quel tempo e di quelle genti.
I casi in cui l’affresco strappato è ricollocato in loco, non ha subito quindi decontestualizzazione, ne risulta comunque spesso impoverito
I nostri musei sono ricolmi di strappi di affreschi che hanno perduto il loro contesto e la loro storia e dei quali possiamo leggere etichette del tipo. “.. si presume provenga dall’antica Chiesa di .. oggi distrutta” Testimonianze ormai mute di una storia narrata. Racconti mozzati in lingue sconosciute, troppi elementi mancanti per poter comprendere con precisione il significato.
E li possiamo vedere quegli strappi che, per bene siano stati eseguiti, suscitano sempre la medesima sensazione che si prova osservando degli animali impagliati al museo di scienze naturali. Un manufatto un tempo vivo che oggi manifesta la sua mortifera sussistenza.
Si perché gli affreschi vivono sui muri assorbono la luce, restituiscono forme e colori si illuminano al sole e si rabbuiano di notte. Respirano calce e aria, dalla loro superficie millimetrica traspare una profondità ancor più ampia di quella della muratura su cui insistono, vivono, invecchiano e degradano. Comunque vivono molto più di noi e sono li per raccontarci storie antiche, basta ascoltarli. Strapparli è come ammutolirli e metterli in formalina .
Noi restauratori proviamo a farli vivere più a lungo ma nel rispetto della loro essenza.
In questo articolo vorrei approfondire il tema del restauro, ovvero della conservazione di quegli apparati effimeri nati per essere temporanei.
Accade spesso nel campo del restauro di trovarsi a conservare ciò che era nato con la vocazione istantanea della transitorietà
Eppure noi restauratori e con noi i conservatori, non possiamo resistere. Contro ogni rigore ideologico andiamo i direzione opposta ai dettami dell’arte, contro la volontà dell’artista, a volte contro le leggi della fisica e ci intestardiamo a conservare tutto, ma proprio tutto
I casi sono molti; Stendardi processionali, scenografie, apparati effimeri per celebrazioni religiose o civili, opere d’arte contemporanea nate per essere transitorie o dichiaratamente distrutte, pensiamo ad esempio alla “eat Art”… Arte da inghiottire? Non ve la lasceremo mangiare ma correremo come pazzi per metterla sottovuoto o in chissà quale liquido mortifero e antibatterico . Per non parlare delle opere cartacee; piccole pubblicazioni, libelli, appunti tutto rigorosamente da conservare!
Da un punto di vista ideologico, in questi casi specifici, l’atto del restauro è in dichiarata antitesi con l’essenza dell’opera ma è del tutto funzionale al tramandare il pensiero di un’epoca nel tempo
Spesso l’analisi ravvicinata di un opera stessa consente di intravedere la sua intrinseca prospettiva di vita e, se è del tutto chiara l’intenzione di un affresco, di un dipinto su tavola o di una scultura di voler durare il più possibile nel tempo. Questo è meno palese in opere effimere come gli apparati decorativi su carta i grandi dipinti a tempera ed altre svariate opere.
Eppure in quelle opere transitorie vi è l’essenza della vita quotidiana, del pensiero comune, vi è il respiro di un epoca. Vi sono gli affanni per i problemi economici, le banalità quotidiane ed i sogni.
Pensiamo a quello che ci comunicano le scritte vandaliche accuratamente conservate a Pompei, ci hanno consentito di comprendere lo spirito della vita di quel periodo, molto più efficacemente di quanto avrebbe potuto fare una grande e fiera scultura equestre
Quindi non c’è nulla da fare, nessuna teoria e nessun pensiero artistico o filosofico ci convincerà mai a lasciare che queste fragili opere possano durare un giorno in meno di quanto potremmo garantire con il nostro lavoro
Questo articolo mi è stato ispirato da un intervento che sto attuando in questo momento, un soffitto in carta dipinta su supporto in tela dell’Accademia di Belle Arti Tadini, al quale presto dedicherò un articolo
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http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/11/IMG_1245.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-11-14 07:40:412020-04-21 09:27:58Il dilemma della transitorietà
Il mondo della terracotta, come già mi è capitato di trattare su questo blog, è molto vasto per cui si rende utile suddividerlo in macro aree al fine di poterlo comprendere ed indagare al meglio.
Questo secondo articolo sulla terracotta si occuperà di un aspetto apparentemente banale, ma su cui ritengo utile indirizzare l’interesse e l’osservazione è il decoro modulare dell’architettura, ovviamente in terracotta
Se prestiamo attenzione i dettagli o motivi decorativi modulari nell’architettura in laterizio di terracotta sono veramente molti, possono riguardare porzioni sotto gronda, cornicioni, balconi, portali d’ingresso, pennacchi e comignoli
Tutti elementi decorativi che derivano dalla natura modulare intrinseca al mattone o laterizio in terracotta
È una particolare tecnica decorativa che spesso è la risultante dal semplice posizionamento di una fila di mattoni in terracotta con un angolazione lievemente ruotata, così da creare un elemento decorativo modulare.
Una tecnica semplice ed economica ma di grande impatto decorativo
Questa tecnica decorativa è molto diffusa nell’edilizia storica e monumentale sino all’archeologia industriale. Copre un arco temporale estremamente vasto, che va dal medioevo alla prima metà del ‘900, ma se indaghiamo con attenzione ne troveremo anche prima e dopo tale periodo
Gli elementi modulari che creano dettagli decorativi, nell’architettura storica tendono ad avere oltre che un allettamento ruotato o angolare dei mattoni, anche degli specifici elementi decorativi, magari semplici e a stampo ma che collocati consequenzialmente assumono un andamento modulare ed un aspetto decorativo imponente. Archetti ciechi, colonne tortili, motivi floreali ed altro ancora
Questa stessa tecnica nell’edilizia ottocentesca o nei capannoni dedicati all’artigianato o all’industria è sfrondata dagli elementi decorativi a stampo, resa essenziale e ancor più economica ma tuttavia molto efficace sotto il profilo estetico
Nell’archeologia industriale si utilizza come base decorativa il semplice mattone da costruzione, variandone l’allettamento
Vediamo alcuni esempi: nell’immagine sotto un balcone i cui motivi decorativi sono disegnati dal posizionamento verticale e orizzontale del mattone e dai vuoti da essi lasciati
Nel seguente decoro sotto gronda abbiamo un posizionamento a 45 gradi longitudinale che crea l’effetto cornicione e 45 gradi orizzontale che crea il decoro della fascia
Chissà quanti ne vedrete ogni giorno di questi decori ed ora ne troverete a bizzeffe , buona ricerca
È convinzione comune che i muri non possano ascoltare, sarà forse vero, ma quel che è certo e che i muri sanno parlare, raccontano delle storie affascinanti a tratti avvincenti. Non possiamo non ascoltarle perché la loro è anche la nostra storia
Adoro guardare i muri, sfiorare le superfici ed ascoltare la loro voce, certo potrei essere considerata “strana” ma non so resistere … vediamo se riesco a traviare anche voi!
Ecco un esempio
Questo è un muro di recinzione annesso ad un palazzo storico della città di Brescia. Questo muro circonda l’area di pertinenza, il cortile, che forse prima è stato giardino. È costruito in laterizi e conci di pietra calcarea bianca o marmo di Botticino, probabilmente conci di riuso, derivanti da qualche edificazione più antica o addirittura frammenti di muratura antica utilizzati come piede della muratura
Per cominciare vediamo una lettura stratigrafica
Poi individuiamo i tamponamenti
I tamponamenti delle antiche aperture per via della tecnica con la quale sono eseguiti, sono comunque piuttosto antichi, potrebbero essere seicenteschi
Infine analizziamo i dettagli
È molto interessante notare che, all’interno dello spessore dei tamponamenti vi è un intonaco di finitura di grande qualità, realizzato con tecnica a fresco , li possiamo intravedere dalle fessure lasciate dai conci di tamponamento
Questo ed altri dettagli ci dicono che il nostro muro era una porzione di edificio piuttosto importante
Troviamo un bellissimo lacerto di affresco quattrocentesco, lasciato intravedere da una caduta dell’intonaco, si trova al di sopra di una delle aperture tamponate, ed ha uno stato di conservazione molto preoccupante. Una testimonianza storica di estremo interesse che ci racconta molto di quel muro e di ciò che poterebbe essere stato in precedenza
In estrema sintesi il muro analizzato potrebbe essere stato un edificio quattrocentesco, con affreschi di finitura che a sua volta aveva utilizzato i frammenti di edificazione preesistenti. Una costruzione complessa con stratificazioni successive, che nel ‘600 è stato inglobato quale muro di cinta di un sontuoso palazzo. In quel periodo è stato tutto ricoperto da intonaco, che in tempi recenti ha subito rinzaffi cementizi e le cadute che ci hanno consentito la lettura
Questa un ipotesi di lettura, fatemi sapere le vostre interpretazioni
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/07/IMG_8986.jpg30244032Assistenzahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngAssistenza2018-07-24 08:23:092018-07-24 08:58:37Storia di un muro qualunque
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