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Descialbo

Parliamo di Descialbo

Per comprendere cosa sia il descialbo bisogna prima indagare la parola scialbo. Scialbo, oltre a significare smorto pallido e insignificante indica uno strato di colore a corpo steso sull’intonaco, deriva dal toscano. Spesso si riferisce ad uno strato di calce idrata lievemente pigmentata che ricopriva ampie porzioni dell’intonaco di un edificio.

Il descialbo alla lettera significa la rimozione dello scialbo, in realtà la parola “descialbo” non è Italiano corretto. In sostanza un neologismo che nel settore del restauro è entrato con prepotenza, come temine tecnico in sostituzione del più corretto e complicato “rimozione degli strati superficiali soprammessi”

La fase di lavorazione del descialbo, fa parte del vocabolario del restauro conservativo e costituisce quell’insieme di atti volti alla rimozione degli strati soprammessi da una superficie policroma, e più specificamente  un intonaco o un affresco

Nella maggior parte dei casi si effettua con bisturi e piccole spatole ma vi sono casi in cui lo scialbo ha uno spessore maggiore  e si può rimuovere con piccoli martelletti

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In buona sostanza maggiore è lo spessore e più facile sarà la rimozione. La maggiore o minore difficoltà nella rimozione di uno scialbo soprammesso ad un affresco è dettata da una serie di fattori variabili che vanno dalla materia costituente lo scialbo, il grado di coesione della materia, il grado di adesione al supporto, eccetera.

Il più delle volte lo scialbo è costituito da uno strato di calce idrata stesa molto liquida nei periodi di pestilenza, con la funzione di disinfettare palazzi e chiese, ecco per quello scialbo non vi è altro mezzo che la rimozione a bisturi

Il descialbo è una delle fasi più complicate, lunghe, imprevedibili, tediose e che richiedono infinita pazienza, eppure per noi restauratori è una parola dal suono meraviglioso

Nella maggior parte dei casi descialbo è il sinonimo di ritrovamento di affreschi. La gioia più grande per un restauratore. Che altro desiderare!

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SilviaContiRestauroConservativo

Prove tecniche di appartenenza o resistenza

Questo mio pensiero è per il senso di appartenenza dei restauratori

Una sorta di sperimentazione tecnica. Un piccolo esercizio di resistenza  da attuare in caso di  commenti,  diffamazioni,  infamie! Il fine? Diventare categoria di restauratori o guru, chissà

Il più delle volte, quando ci si appresta ad affrontare un nuovo intervento di restauro, ci si trova dinanzi all’opera di nostri colleghi restauratori, quelli che ci hanno preceduto, che sono intervenuti anni prima di noi.

Incredibile a dirsi ma capita veramente di rado che un opera non sia mai stata “toccata” o restaurata. Questo in se ha dell’incredibile se si pensa che la disciplina del restauro, così come intesa dalla normativa, è disciplina relativamente recente

Dicevo, se l’opera ha almeno un centinaio di anni è praticamente impossibile  che non sia stata mai sottoposta ad un qualche tipo di intervento, dalla finalità e dall’intenzione più o meno conservativa.   Quelle poche volte che accade, ci si trova di fronte all’opera, magari degradata, ma così come realizzata dall’artista, ecco …  ci si sente di aver scoperto un tesoro.

Tornando alla realtà, non sempre l’opera in questione  è stata restaurata da professionisti restauratori, spesso da pittori nel caso di restauri più antichi, oppure dal volontario della parrocchia che tanto ama l’arte, ma più spesso da decoratori

Sotto il profilo etico e personale preferisco astenermi dal commentare le scelte dei miei predecessori. E per miei predecessori intendo restauratori.

Lo faccio perché credo fermamente che la nascita ed il consolidarsi della credibilità di una categoria professionale, oltre che dalle norme scritte stia nella forza di quelle regole non scritte e non dette, che impongono rispetto e senso di appartenenza 

Ciononostante mi rendo conto di quanto questo possa essere difficile, anche quando, forti delle migliori intenzioni, ci si trova ad esempio di fronte a gratuite diffamazioni, magari indotte da una qualche forma di invidia professionale e, chissà perché ci viene una gran voglia di restituire la cortesia!  È così difficile resistere dal ribattere a tono. Ma non serve, non è etico e sopratutto non favorisce la più alta causa della nascita di una categoria consapevole

Quando sento irrefrenabile il desiderio di ribattere a qualche cialtroneria, provo a pensare a quanto  diffamare e fare cattiverie  sia la cosa più facile ed agevole del mondo. È un dato di fatto: tutti, ma proprio tutti, idioti inclusi, sono capaci di fare e dire infamità.  Per fortuna non tutti cedono a questo declivio dell’anima e l’astenersi dal  diffamare è ben più difficile del suo contrario

Nel panorama sociale  contemporaneo dove vince chi insulta e chi è incline all’odio facile, sarebbe bello che noi restauratori fossimo, nella nostra casacca variopinta di categoria semi inesistente, un’altra volta controcorrente.

Ed è un augurio che faccio a me e a tutta la categoria ufficiale, ufficiosa esistente o no!

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SilviaContiRestauroConservativo

Analisi dei danni – ridipinture 2

In questo articolo, fatte salve le premesse descritte nel primo articolo sulle ridipinture, analizzerò un caso  di una policromia di una scultura lignea ripresa con colori a corpo.

Va detto che le sculture lignee e le opere mobili policrome in genere sono quelle più soggette in assoluto alla sovrammissione di strati di colore a corpo che riprendono più o meno fedelmente i colori sottostanti. Chiunque si occupi in qualche misura di beni culturali, non può non aver costatato questo dato .

Tale consuetudine è probabilmente dettata dalla maggiore facilità, da parte di chi gestisce dette opere, siano essi privati o enti ecclesiastici, di ovviare alla pulitura del manufatto con uno strato di nuova vernice … più veloce, più economico e non servono specialisti. Mentre per dipinti su tela o murali vi è una qualche remora, in caso di scultura policroma, non resistono alla tentazione  e se non siamo di fronte ad un opera di altissimo valore artistico, custodita in un museo, possiamo stare certi di trovare strati di colore a corpo, che l’hanno ripresa anche più volte in un centinaio di anni.  La situazione  peggiora e gli strati si moltiplicano se la scultura in questione ha una valenza devozionale. Non so se sia per ingraziarsi il Santo in questione ma i suoi fedeli sono sempre prodighi di nuovissimi barattoli di vernice!

Il caso che intendo analizzare è una scultura lignea policroma raffigurante san Rocco.

Le ridipinture in questo caso riguardano il manto, il bastone, l’abito ed  il volto, mentre la parte bassa dell’opera pare preservata da tale intervento.

Sul manto le due conchiglie del pellegrino di colore marrone, così come la cintura sono porporina ossidata. Il  colore nero è uno smalto relativamente recente, probabilmente sintetico, mentre le ridipinture del  mantello rosso ed abito verde, risalgono alla prima metà del ‘900, si tratta presumibilmente  di uno smalto all’olio. Vista la consistenza e la lucentezza.

Il piccolo cane ai piedi  è stato parzialmente risparmiato, così come l’incarnato della gamba del Santo, che conserva una qualità pittorica molto interessante e che potrà costituire un parametro per la conduzione dell’intervento.

Riconoscere le porzioni ridipinte da quelle conservatesi è di assoluta importanza al fine di calibrare con cautela l’intervento di pulitura delle superfici policrome.

A volte è difficile intravedere sotto agli strati di colore la qualità scultorea dell’opera, che essendo policroma, ha sin dalla sua ideazione un interazione molto importante tra volumi e colore. Equilibrio da tenere sempre presente durante il restauro.

 

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SilviaContiRestauroConservativo

 

Analisi dei danni – ridipinture 1

In questo articolo vorrei analizzare una frequente tipologia di danno che riguarda in genere le superfici dipinte policrome, sia di dipinti murali a fresco che a secco, dipinti su tela e opere lignee policrome. Parlo della presenza di strati di colori a corpo soprammessi alla pellicola pittorica originale. 

In buona sostanza, ci si trova dinanzi ad altri restauri che per motivi  molto diversi e variabili, si sono trasformati nel tempo in un “danno“.

In alcuni casi si tratta di ritocchi alterati, ovvero piccole porzioni o pennellate di colore utilizzato per integrare lacune che, avendo una grado di stabilità alla luce diverso da quello originale, hanno assunto nel tempo colorazioni difformi rispetto ai pigmenti originari, che dovevano integrare.

In altri casi sono vere e proprie ridipinture, ovvero ampie e complete stesure di colore più o meno a corpo che ricoprono e riprendono le forme della sottostante opera d’arte

I colori soprammessi che ci troveremo dinnanzi possono essere di svariata natura e variano a seconda di una serie di fattori, che vanno dalla peculiarità territoriale  alla datazione, e una serie di altre variabili.

Se è possibile ottenere  della documentazione in merito a questi vecchi interventi, ci sarà di grande aiuto. Tuttavia, in molti casi è necessario saper distinguere il materiale soprammesso direttamente dall’analisi visiva e tattile, al fine di poterlo rimuovere con maggiore precisione.

Se la superficie ridipinta  è un elemento decorativo dell’architettura ed  stata eseguita da un decoratore o genericamente “pittore”, potremmo trovarci di fronte grossomodo alla seguente tipologia di materiale

  1. Se l’intervento è precedente agli anni ’60 del ‘900 sarà probabile trovare casseati di calcio, colori a calce e tempere con leganti organici
  2. Se l’intervento è stato realizzato dagli anni ’60 ’70 del ‘900 potremmo trovarci di fronte a  tempera o calce, ma possiamo contemplare anche   la comparsa dei primissimi vinilici, nati per il restauro del legno ma dilagati poi su ogni superficie
  3. Se l’intervento è stato realizzato dagli anni ’80 del ‘900 ad oggi  è molto probabile che sia realizzato con colori   acrilici o polivinilici, genericamente di quelli in vendita nei colorifici

Se la superficie ridipinta riguarda una scultura lignea policroma prepariamoci ad affrontare smalti ed affini, i più antichi saranno smalti all’olio, poi smalti sintetici ed infine smalti all’acqua, paradossalmente questi ultimi sono i più tenaci da rimuovere.

In questo articolo vorrei analizzare un caso specifico di intervento di ridipintura su di una superficie a fresco realizzata attorno agli anni 80 del ‘900

In questo caso vediamo un esempio di ripresa di un dipinto a fresco con colori a corpo di tipo acrilico

Innanzitutto è bene osservare il dipinto a luce radente, così da poter individuare i sollevamenti della pellicola pittorica e le eventuali porzioni  “lucide” che segnalano la presenza di materiale acrilico o vinilico

Un dato  che ci consente di riconoscere il tipo di ridipintura è il suo degrado, ovvero il tipo di sollevamento e distaccamento della pellicola pittorica. Attenzione si intende quella di ritocco. Ebbene questo strato di colore, in presenza di umidità, si distaccherà dalla superficie, prima a piccole bolle gommose e poi a scaglie .

Nella fase immediatamente precedente il distacco potremo osservare, come nell’immagine seguente, una diffusa ossidazione della pellicola polivinilica soprammessa. Questa diverrà opaca, lattiginosa e comincerà a creare delle tensioni superficiali che porranno le condizioni per il distacco  ed il sollevamento della pellicola pittorica

Nell’immagine d’insieme si può osservare come in luogo delle cadute della pellicola pittorica di ritocco, permangano comunque tracce di colore, che guarda caso resistono al passaggio dei sali solubili di nitrato, poiché sono i pigmenti naturali originari del dipinto

Appuntamento ai prossimi articoli per analizzare altre tipologie di ridipintura!!

Testi e immagini SilviaConti@RestauroConservativo

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