Il mondo della terracotta, come già mi è capitato di trattare su questo blog, è molto vasto per cui si rende utile suddividerlo in macro aree al fine di poterlo comprendere ed indagare al meglio.
Questo secondo articolo sulla terracotta si occuperà di un aspetto apparentemente banale, ma su cui ritengo utile indirizzare l’interesse e l’osservazione è il decoro modulare dell’architettura, ovviamente in terracotta
Se prestiamo attenzione i dettagli o motivi decorativi modulari nell’architettura in laterizio di terracotta sono veramente molti, possono riguardare porzioni sotto gronda, cornicioni, balconi, portali d’ingresso, pennacchi e comignoli
Tutti elementi decorativi che derivano dalla natura modulare intrinseca al mattone o laterizio in terracotta
È una particolare tecnica decorativa che spesso è la risultante dal semplice posizionamento di una fila di mattoni in terracotta con un angolazione lievemente ruotata, così da creare un elemento decorativo modulare.
Una tecnica semplice ed economica ma di grande impatto decorativo
Questa tecnica decorativa è molto diffusa nell’edilizia storica e monumentale sino all’archeologia industriale. Copre un arco temporale estremamente vasto, che va dal medioevo alla prima metà del ‘900, ma se indaghiamo con attenzione ne troveremo anche prima e dopo tale periodo
Gli elementi modulari che creano dettagli decorativi, nell’architettura storica tendono ad avere oltre che un allettamento ruotato o angolare dei mattoni, anche degli specifici elementi decorativi, magari semplici e a stampo ma che collocati consequenzialmente assumono un andamento modulare ed un aspetto decorativo imponente. Archetti ciechi, colonne tortili, motivi floreali ed altro ancora
Questa stessa tecnica nell’edilizia ottocentesca o nei capannoni dedicati all’artigianato o all’industria è sfrondata dagli elementi decorativi a stampo, resa essenziale e ancor più economica ma tuttavia molto efficace sotto il profilo estetico
Nell’archeologia industriale si utilizza come base decorativa il semplice mattone da costruzione, variandone l’allettamento
Vediamo alcuni esempi: nell’immagine sotto un balcone i cui motivi decorativi sono disegnati dal posizionamento verticale e orizzontale del mattone e dai vuoti da essi lasciati
Nel seguente decoro sotto gronda abbiamo un posizionamento a 45 gradi longitudinale che crea l’effetto cornicione e 45 gradi orizzontale che crea il decoro della fascia
Chissà quanti ne vedrete ogni giorno di questi decori ed ora ne troverete a bizzeffe , buona ricerca
La terracotta è il mondo, è un materiale estremamente diffuso, così versatile che vi sono state costruite intere città.
Le tecniche di utilizzo dell’argilla hanno mille e più diramazioni specifiche ma nell’essenza resta una delle tecniche più antiche ed essenziali dell’ingegno umano
La terracotta deriva dall’argilla, l’argilla è un conglomerato non sedimentato di minerali argillosi, per lo più derivanti dal dilavamento o stagnazione in acqua, di rocce contenenti tali minerali (fillosilicati, a loro volta composti da molti altri minerali; alluminosilicati, caolinite, silicati idrati d’alluminio, eccetera ) I manufatti in terracotta sono detti “Fittili”
L’argilla allo stato umido si presenta in blocchi o conglomerati dall’aspetto viscido e compatto . Il colore dell’argilla può variare a seconda degli ossidi in essa contenuti e sostanzialmente dai luoghi di provenienza. Il tipico colore rosso della terra cotta è dettato dall’ossido di ferro che si manifesta a seguito di cottura. Tale composto umido è malleabile e plasmabile, allo stato essiccato perde elasticità e mediante cottura diviene terracotta
Con la terracotta si possono fare i mattoni utili per l’edificazione di case e palazzi, oppure si possono plasmare manufatti decorativi e artistici, oppure ceramiche di rivestimento, pavimenti, vasellame o porcellane.
La differenza sostanziale tra laterizio da costruzione e le porcellane sta nel grado di depurazione dell’argilla. Più l’argilla sarà depurata e più compatto e meno poroso sarà il manufatto cotto. Le terre cotte meno porose sono le porcellane o il grès chesolitamente sono caratterizzate da un colore chiaro, quasi bianco, dettato dal caolino che compone in maggior parte l’argilla molto depurata
Altro dettaglio differenziale sta nella finitura di superficie della terracotta. L’argilla lavorata, essiccata e colorata con ossidi metallici a seguito di cottura diviene maiolica. Ovvero gli ossidi policromi stesi sull’oggetto in terra cruda, allo stato di polvere, una volta cotti (980 gradi circa) si fondono, variano di colore, si stabilizzano e creano un sottile strato di finitura assolutamente coeso al manufatto fittile, rendendolo policromo lucido ed impermeabile
La lavorazione dell’argilla è assolutamente versatile e può essere realizzata a stampo oppure plasmata a mano. È molto diffuso ed è meraviglioso trovare su di una tegola o un mattone antico le tracce delle dita che l’hanno lavorato
È molto interessante osservare i decori realizzati con la terra cotta, tra le vie delle città, ve ne sono di antichissimi e di recenti, alcune decorazioni soprattutto quelle dell’architettura, sono ottenute semplicemente allettando il mattone con un angolazione lievemente inclinata e ripetuta sino a divenire cordolo modulare.
Altri decori sono figurativi o scultorei e, dall’attenta osservazione, possiamo dedurre se siano realizzati a mano oppure a stampo o ancora a stampo e poi finiti a mano.
È bene rammentare che i decori in terracotta hanno delle dimensioni limitate in relazione a quelle del forno di cottura, per cui sono modulari e, se sembrano molto grandi, significa che sono stati assemblati con grande cura
Anche il semplice mattone da costruzione racconta la sua storia a chi la vuole ascoltare. Dalle dimensioni del mattone dal suo colore e dalla porosità si possono dedurre le fornaci di provenienza e le datazioni.
Dalla superficie scabrosa o liscia del mattone possiamo capire se era nato per essere intonacato oppure per essere finito a vista. Tra quelli nati per essere “finitura” possiamo anche scovare tracce di sagramatura. Una meravigliosa antica tecnica che prevedeva il trattamento superficiale dei mattoni con della calce idrata ed altra polvere di cotto, spesso stesi sulla superficie mediante l’azione abrasiva di un mattone strofinato in senso rotatorio sulla superficie. Il risultato della sagramatura è quella lucentezza naturale della superficie, dello stesso colore del mattone ma di tono più scuro in corrispondenza del mattone e lievemente più chiaro in corrispondenza della malta di allettamento.
Le grandi sculture in terracotta policroma sono dei manufatti affascinanti nei quali l’arte e la sapienza tecnica raggiungono altissimi livelli e che approfondirò in un prossimo articolo
Il ferro è un minerale estratto dalla profondità della terra, attraverso la creazione di miniere estrattive, che si trovano in quasi tutti i paesi del mondo.
La metallurgia è la disciplina che studia i metalli tra cui il ferro e le sue leghe.
Il ferro è un materiale molto diffuso ed ha trovato infiniti utilizzi, sin dai tempi antichi, in svariate forme, come elemento costituente della meccanica, oppure come elemento di supporto e decorazione dell’architettura infine come espressione artistica e decorativa a se stante
Troviamo manufatti ferrosi utilizzati come elementi strutturali e non visibili all’interno dei pilastri in calcestruzzo, come anima strutturale delle mensole dei balconi decorativi in graniglia o stucco
La sua presenza nelle nostre città e nelle campagne è grandissima. Siamo attorniati di elementi metallici, dagli utensili agricoli alle chiuse di sistemi di irrigazione, alle ringhiere. Ma ciò che trovo di estremo interesse è come si adatti ad ogni forma decorativa
Elementi decorativi di complemento all’architettura, grate, recinzioni, pinnacoli, borchie e maniglie di portoni ed altro ancora
Il ferro è sempre stato materia povera duttile e malleabile. Lavorabile con pochi semplici utensili.
Si ammorbidisce al fuoco, si plasma mediante la battitura effettuata con magli o semplici martelli, si taglia, si fonde, si mescola ad altri minerali, si piega fino a prendere le più svariate forme
Le principali tecniche tradizionali di lavorazione del ferro, che possiamo riconoscere guardandoci attorno, osservando gli elementi decorativi di qualsiasi area urbana sono:
La battitura a caldo: Una tecnica antica che prevede l’ammorbidimento del metallo attraverso il calore e la battitura dello stesso sino a plasmarne la materia nella forma desiderata: la battitura a caldo si riconosce dalle preziose imperfezioni della superficie metallica che riporta le tracce dei colpi del martello e i segni delle piegature con le tenaglie
Lo stampo o forgiatura a stampo: forme decorative, foglie e fiori possono essere realizzate a mezzo di immissione del metallo fuso in stampi di ghisa oppure con la più diffusa tecnica della forgiatura a stampo, dove il metallo viene compresso da stampi pre formati che imprimono la forma
La forgiatura a mano: prevede, come la battitura a caldo, il riscaldamento del metallo e la battitura continua a mezzo di elementi meccanici, tipo magli o strumenti industriali, sino a dare alla materia la forma desiderata. La forgia da manufatti plasmati, lisci e di forme flessuose ma regolari
La trafilatura: una tecnica più recente, dalla rivoluzione industriale in poi. E la tecnica con la quale il metallo viene forzosamente indotto a passare attraverso condotti sagomati che ne definiscono la forma, per estrusione. Con questa tecnica si formano aste, tubi e barre.
La laminazione si utilizza per formare delle lamine, può essere effettuata a mano, per battitura, per forgiatura oppure per processo meccanico industriale (a freddo oppure a caldo)
Può sembrare incredibile quante forme e decori si possano creare con queste poche tecniche metallurgiche
Trovo molto divertente aggirarmi per le vie e cercare di individuare, suddividere e catalogare queste tecniche
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/07/IMG_8945-2.jpg20072859Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-07-11 22:41:492018-07-11 22:51:43Il ferro, tecniche e forme
Un antico rimedio, per divertirsi e non pensare alla nostra traballante condizione, consiste nel fare un riassunto della tipologia di persone che si incontrano al lavoro, al lavoro del restauratore intendo.
Moltissime persone, una vastissima gamma di specie umane le più diverse tra loro.
Per chi sa distinguere il suono cacofonico dell’umanità, un immensa scuola di vita.
Il restauratore come un istrione invisibile, un saltimbanco nomade, per il periodo della durata di un lavoro di restauro ascolta, frequenta, intrattiene, dialoga, litiga e ride con una moltitudine di soggetti, dalle più svariate peculiarità. Le più svariate ma tutte riconducibili a tipologie ben precise e ricorrenti
Proverò a riassumerne le macro categorie in un decalogo, ma sono molte, molte di più.
1 Architetti ed ingegneri. Sono la prima categoria che un restauratore incontra, già prima di iniziare un lavoro e, dentro a questa categoria troviamo la gamma più incredibile di soggetti che ho provato a descrivere in un apposito articolo
2 Preti suore ed ecclesiastici. Quando si lavora in o per Chiese e Monasteri sono i padroni di casa e quando scatta una sintonia armonica sono clienti adorabili. È un classico approfondire conoscenze e possiamo incontrare le personalità più diverse che vanno dal mistico al tecnico, al rivoluzionario
3 Politici, vip e direttori. Concedono le loro visite nei nostri cantieri o laboratori con grande parsimonia ma non mancano mai alle inaugurazioni dove sfoggiano tutta la loro inaspettata affinità con l’arte ed il restauro … e chi l’avrebbe mai detto
4 Funzionari, soprintendenti ed impiegati, quelli non li si incontra spesso nei cantieri … ma chissà perché, sono sempre presenti nei nostri pensieri!
5 Flotte di studenti e curiosi sparsi . Ogni lavoro, ogni cantiere è connotato dalla gente che si aggira nelle vicinanze e si ferma a guardarci incuriosita, che ci pone domande e ci intrattiene. Qualche volta ci insegna. Non manca mai la scolaresca guidata da insegnanti … molto più interessati dei loro studenti
6 Commercianti e ristoratori. Quelli che ogni mattina per la durata del cantiere ci servono il caffè o ci confezionano il panino, Divengono volti amici e noi per loro, tant’è che sono i più tristi al volgere di un nostro lavoro
7 Fedeli, sagrestani e volontari. Sono quelli che maggiormente apprezzano il nostro lavoro, ci osservano e ci affiancano con stima. Spesso perché legati a quella data opera da un legame fideistico o perché comprendono che stiamo facendo tutto quanto in nostro potere per conservare al meglio quel loro caro oggetto
8 Muratori, falegnami e carpentieri. Il nostro amichevole incubo quotidiano, sono gli artigiani con cui dobbiamo condividere gli interventi di restauro, perché ci devono montare i ponteggi, rimuovere le macerie o costruire un qualche alloggiamento. Quelli a cui dobbiamo dimostrare ogni giorno che la nostra stranezza e le nostre insolite richieste, con un piccolo sforzo di elasticità mentale, possono essere considerate del tutto normali
9 Sapientoni. Quelli che sanno tutto sulle opere d’arte che stai restaurando ed anche sul restauro, ma proprio non ci pensano a tenere per se i loro grande sapere, pare che abbiano aspettato anni per poterlo condividere proprio con te
10 il Pazzerello affezionato È presente in ogni cantiere in ogni lavoro, non si sa da dove provenga ma ci fa sentiere meno strani, è il tipo che arriva ogni giorno alla stessa ora e ti racconta degli ufo o della sua personale teoria massonica su quella data opera d’arte … personalmente lo adoro!
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_2144.jpg813960Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-06-20 08:24:202018-06-20 08:24:20Incotri di restauro ... Il decalogo
In questo articolo vorrei parlare degli atti vandalici e della loro trasformazione nel tempo
Ognuno di noi ha ben chiaro cosa siano quegli atti vandalici sui monumenti, quelle scritte urlanti che feriscono alla sola vista ogni essere umano dotato di senno. La normativa per l’individuazione dei danni sui beni culturali li definisce atti antropici o vandalici e, non vi sono dubbi interpretativi, vanno rimossi!
Scritte, incisioni, distacchi e lesioni alle quali il restauratore è chiamato a porre rimedio.
Uno dei lavori più odiosi per il restauratore, che solleva brontolii e predicozzi ad ogni fase di lavorazione e, mentre sfodera tutti i materiali della tavola periodica degli elementi, per provare a rimuovere quelle tracce, regolarmente si chiede ma perché lo fanno e perché proprio su di un manufatto storico
In effetti le medesime scritte realizzate sotto ai ponti dei cavalcavia o nelle periferie ci comunicano stati d’animo diversi, se il graffito è bello esteticamente lo osserviamo con la dignità che si concede ad un opera d’arte contemporanea, ma sui beni storici no, è intollerabile. E forse la risposta alla motivazione di tali gesti risiede proprio in questo è una provocazione forte, un’insulto, e come tale viene recepito
Va però analizzato che gli atti antropici o vandalici sui manufatti storico artistici sono un fatto costante nel tempo, sono sempre avvenuti, lo dimostrano chiaramente certe scritte tra le rovine di Pompei
La differenza sta nelle tecniche, gli atti vandalici antichi giunti sino a noi sono per lo più delle incisioni, su pietra, intonaco, legno o altro materiale. Altra differenza sta nel diverso garbo con cui sono realizzate scritte firme e date, una forma di pudore che li hanno resi semi invisibili o comunque tollerabili alla vista affinché giungessero sino a noi. Forse diversa era la motivazione dell’atto vandalico non una provocazione o un insulto ma piuttosto una testimonianza di se in un luogo ritenuto importante. Una sorta di “io c’ero”
Di fronte a questi atti vandalici ricoperti dallo strato nobilitante della storia il nostro atteggiamento cambia completamente, li osserviamo con attenzione e trasporto cercando di leggere firme e date, ma non solo l’atteggiamento del comune osservatore cambia, cambia anche la normativa sulla conservazione che contempla la tutela e la conservazione della scritta e dell’incisione storicizzata
Perché mai? Si potrebbe chiedere qualcuno. Molto semplice perché quelle scritte divengono documento, ci danno informazioni quindi assumono un valore documentale per la lettura e la conoscenza della storia di un dato bene, lo stesso su cui sono state realizzate
Gli atti antropici antichi divengono tracce vitali da conservare poiché hanno assunto una valenza storica ed antropologica. La conservazione di incisioni, firme e date storicizzate sui manufatti storici è uno di quei fattori che possono apparire incomprensibili a chi non è del settore ma che rendono intellettualmente evoluto l’atto della conservazione
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/06/IMG_2901.jpg24483264Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-06-18 07:08:592018-06-18 07:13:18Atti vandalici e segnali di vita
In questo articolo vorrei spendere qualche pensiero sul ritocco nel restauro conservativo
Il ritocco nel restauro conservativo è una delle molte fasi di lavorazione, una delle ultime di un intero restauro. Dal punto di vista conservativo è tra le più semplici. Una volta garantita la reversibilità del pigmento e dei leganti utilizzati per lo stesso, non vi sono problemi, nel senso che potrà essere agevolmente rimosso in un futuro intervento, senza danni per l’opera.
Eppure il ritocco è una di quelle fasi del restauro che può determinare o compromettere l’intera riuscita di un restauro. Può determinare la leggibilità di un opera o la può compromettere, proprio perché si occupa del livello estetico di percezione, fruizione e leggibilità . Infatti il tipo di ritocco viene concordato, in via preventiva, con il funzionario competente della Soprintendenza, quasi mai viene lasciato al libero arbitrio del professionista.
Per ritocco si intende l’integrazione pittorica di piccole e medie lacune della superficie pittorica di una data opera d’arte, finalizzato a facilitare la lettura dell’opera stessa.
Il ritocco può riguardare molte delle tipologie di opera soggette a restauro; dai dipinti ad olio su tela e tavola, agli affreschi, ai grandi elementi decorativi dell’architettura, alla scultura policroma e dorata, agli stucchi, e molte altre superfici decorate e policrome.
Vi sono varie tecniche di ritocco che spesso si suddividono a seconda della volontà progettuale del restauro di rendere o meno visibile, distinguibile o riconoscibile (ad occhio esperto) il ritocco dalla superficie originale
Tra le più diffuse tecniche di ritocco vi sono il rigatino, il puntino o le piccole macchie che tendono a creare una sorta di cucitura della trama perduta, la selezione cromatica, la velatura a tono o sotto tono ed il mimetico
Il ritocco costituisce anche una prova di abilità per noi restauratori. Una sorta di esercizio di meditazione, quasi ipnotico, che ti può mettere in contatto profondo con l’essenza dell’opera d’arte e ti consente di sentirne ed interpretarne la voce, come un musicista quando esegue uno spartito. E quando scopri di averlo interpretato nel modo corretto, proprio come l’autore intendeva, puoi toccare il cielo!
Quando mi reco nella galleria degli Uffizi a Firenze e mi perdo dinanzi alla Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, guardo il basamento, quello con le arpie e le iscrizioni, in gran parte ricostruito con la tecnica a rigatino, arpie comprese. Credo sia stato restaurato agli inizi degli anni ’80 del ‘900. Ecco quando lo guardo, non voglio più sapere cosa penso sotto il profilo ideologico, di quel tipo di integrazione scelta, ebbene, vorrei solo baciare in fronte quel genio che lo ha ritoccato, colui o colei che ha realizzato quell’opera d’arte nell’opera. Grazie, una vera delizia per una restauratrice!
Il ritocco è anche la fase di lavorazione più soggetta in assoluto alle mode del momento, dal tipo di ritocco che vediamo su di un opera possiamo determinare con una discreta agilità il periodo in cui è stato restaurato ed anche l’area geografica.
Normalmente è la prima parte di un restauro che viene eliminata dal successivo e, con essa se ne vanno il pensiero e il gusto percettivo di un dato periodo storico. Per questo documentare il restauro diviene esercizio di storia dell’arte
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SilviaConti RestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/IMG_0942.jpg26872436Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-24 08:27:142018-05-24 08:32:00Il ritocco nel restauro
Il lavoro del restauratore, nei casi di superfici decorate dell’architettura, si svolge a stretto contatto con la figura professionale dell’architetto e spesso si condividono progetti, lavori e speranze
Tuttavia in molti casi il rapporto tra le due professioni ha un risvolto comico, tra amore e disperazione
Così, dopo lunghi studi, nella mia visuale da restauratrice, non posso esimermi dal compilare un elenco semi serio della tipologia di architetti che mi è capitato di incontrare nei cantieri di restauro.
1 – Il geometra dentro: ha frequentato l’istituto per geometri prima di iscriversi alla facoltà architettura e, nonostante la laurea e i corsi di aggiornamento resta un “geometra inside” e non può dirlo a nessuno, ma certi estetismi frivoli dei suoi colleghi proprio non li capisce. Quando si trova in un cantiere di restauro lo affronta con sopportazione e remissione, così come si deve sopportare una qualche malattia virale, e invoca il Santo protettore dei cementi armati… che finisca il prima possibile!
2 – Il tecnico: L’architetto tecnico è un professionista serissimo, lascia poco spazio a ciò che non sia direttamente riconducibile a numeri, misure o calcoli, se gli capita del restauro in un suo cantiere cerca di incasellarlo in una voce di capitolato e di evaderlo con diligenza, al più presto. Se il malcapitato restauratore gli dovesse far notare timidamente che, i capitolati da lui predisposti non rispondono minimamente ai parametri del restauro conservativo. Riceverà in risposta un auto elogio, che lui la sa lunga in materia di restauro e che non è punto il caso di contraddirlo! Avanti il prossimo.
3 – Il lineare: monocromo, monotematico, mono-stilistico, monotono! Si possono riconoscere i suoi interventi perché hanno sempre le stesse caratteristiche, gli stessi colori, lo stesso stile. Sia che si tratti di una casa in riva al mare, ai piedi della montagna oppure del campanile di una Chiesa . Nulla lo distoglierà dal suo gusto. In caso di restauro imporrà i suoi colori preferiti e a nulla varranno gli affreschi del cinquecento che verranno “accerchiati” o le campagne stratigrafiche, il suo sigillo di fabbrica non vi darà tregua! Un incubo dall’aspetto cortese.
4 – Il vanesio: Normalmente lo si riconosce dalle scarpe e dagli occhiali, molto molto glamour . Si vanta di avere nel suo carnet molti interventi di restauro. Non ha sostenuto neppure un esame di storia dell’arte ma da lezioni a destra e a manca. Nonostante tutto, quando arriva nel cantiere di restauro è una festa, si parla di ogni argomento tranne che di lavoro. Lascia al restauratore agio di lavorare bene, in cambio il restauratore gli lascerà la paternità di ogni scelta geniale
5- Il razionale: Non si diletta di restauro e non ne fa un mistero, si affida a chi è del settore e che gli possa garantire un risultato di pregio … con i restauratori è amore eterno!
6 – L’ibrido È un soggetto strano per la categoria, ha il corpo da architetto e la testa da restauratore. In qualità di architetto ostenta superiorità nei confronti dei restauratori ma il suo sogno è saper restaurare come loro. Si destreggia agevolmente tra cazzuole e pennelli ma si sente qualcosa di più. Questa mescolanza trans professionale si traduce spesso in un essere in pena che stenta a trovare la propria collocazione
7 – Il conservatore: ha conseguito laurea, specializzazione, dottorato di ricerca ed un paio di master nel restauro architettonico, va in brodo di giuggiole quando vede un mattone con impresso il logo dell’antica fabbrica e sogna di passare le sue giornate tra castelli, scavi e chiese. Per i restauratori è una sorta di animale mitologico, un unicorno, poiché in un cantiere di restauro nessuno lo ha visto mai. Solitamente ha pochi lavori, oppure collabora con il grande studio di architettura, che lo mette a scegliere il colore delle mattonelle del condominio di via del cementificio.
8 – Il fenomeno: Si tratta di un architetto oggettivamente geniale, vanta progetti bellissimi e, dove passa lascia il segno, tutti lo conoscono, molti cercano di imitarlo. Quando gli capita un cantiere di restauro, lo tratta con l’aria di sufficienza di chi ha esperienza in tutto e in tutto eccelle. E che ce vuole! Solitamente resta di sale di fronte alla complessità del cantiere di restauro, ma non lo ammetterà neppure sotto tortura! Nel frattempo si appunta sull’agenda … “al prossimo cantiere di restauro chiamare muratori in OG2 anziché restauratori!” (Si è offeso quando il restauratore è inorridito di fronte a quel suo vezzo di scavare negli intonaci antichi della facciata, piccoli riquadri di muratura strutturale dall’effetto brufolo)
9 – L’epifenomeno, collaterale al fenomeno, lo imita, lo segue e lo blandisce, aspira a divenire un giorno come lui, nel cantiere di restauro non è male, ma cogliete l’attimo, si trasformerà presto in un fenomeno di cui sopra
10 – Il creativo … il vero incubo nei cantieri di restauro è lui, l’architetto creativo! Non riesce a pensare di non poter lasciare traccia di se e della sua debordante creatività in ogni lavoro, in ogni cantiere, in ogni progetto. Quella storia che nel cantiere di restauro vada tutto conservato così com’è, lo fa soffrire terribilmente e comunque riesce sempre a metterci lo zampino. Per intenderci è quello che distrugge chilometri di intonaci antichi per poi commissionare il decoro sotto gronda ex novo. Noi restauratori, di fronte a tutta quella creatività, ci chiediamo se per caso, non sarebbe meglio riposta in un lotto edificabile della periferia cittadina!
Sei un architetto e non ti riconosci? Aggiungi le correzioni
Ho dimenticato qualche tipologia … aggiungila nei commenti
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SilviaContiResaturoConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/foro-bs-1-2.jpg7991051Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-20 17:09:022018-05-21 08:22:00Architetti visti dai restauratori, il decalogo
Da quando ho iniziato a svolgere questa professione mi sono resa conto di quanti confini essa abbia.
È un attività fluida e ricca di varianti e al contempo delimitata in ogni direzione da regole, parametri, norme e confini. E meglio si conoscono, e più ci si abitua a questi confini, meglio si svolge l’attività del restauratore. Siamo degli strani equilibristi in gabbia che hanno scelto ed amano la propria professione
In questo articolo, un pò per gioco e un pò per curiosità, vorrei provare ad elencare una decina di confini con i quali convive ogni giorno chi si occupa di restauro.
1 – Confine etico morale
Si tratta di un confine connaturato con l’essenza del restauro. Costituisce la disciplina stessa del restauro. È attinente alla percezione dell’importanza della storia e della sua testimonianza conservata per i posteri attraverso la materia dell’opera . Comprende un auto limitarsi costante al fine di non prevaricare ciò che di autentico si sia conservato in una data opera d’arte.
2 – Confine normativo
Un confine molto consistente è costituito da tutte quelle norme e regole di tipo legislativo, giuridico e procedurale che indirizzano, normano e regolano ogni attività che si svolga su di un bene sottoposto ad atto di vincolo diretto, indiretto o generico.
3 – confine conservativo
Un confine molto complesso poiché è costituito da una parte ideale e, se vogliamo filosofica, ed una materiale. Fino a che punto è giusto conservare. Qual’è il limite oltre il quale l’atto conservativo snatura l’opera d’arte nella sua essenza?
4 – confine integrativo
Un confine molto semplice in sé, ma che varia con il variare del gusto e delle mode, per tanto; la piccola lacuna si ritocca, ieri a rigatino, oggi con tecnica mimetica, domani chissà , magari con degli “stencil”. La grande lacuna No, non si ritocca, si risolve con un neutro! Si però se si tratta di partitura architettonica, forse no, è meglio integrare ma in quel caso e non nell’altro, mi raccomando . Di fatto un confine mobile al quale ogni restauratore si deve adeguare di volta in volta, di giorno in giorno, da funzionario a funzionario, da regione a regione e così via, come un funambolo, per tutta la propria vita professionale.
5 – confine storico
Un confine complicato quello storico, lo stesso per cui gli oggetti archeologici vanno conservati ma non integrati, mentre via via che ci si avvicina alla contemporaneità i parametri di integrazione variano. Comprende i documenti che ci danno notizie sulle opere e che sono oggetto di conservazione pure loro.
6 – confine artistico
Una specie di cilicio per molti restauratori; quando ritocchi dimenticati di saper dipingere altrimenti potresti imprimere qualche traccia della tua personalità nella lettura dell’opera. Ma se proprio non sai dipingere potresti non interpretare nel modo corretto l’integrazione pittorica e non mettere in luce l’essenza di un opera… Insomma un bel dilemma, ci sono almeno l’ottanta percento delle probabilità di incappare in errore. Ma tanto siamo abituati, non a sbagliare ma a pigliarci tutte le responsabilità possibili.
7 – confine dei materiali compatibili
Questo è facile, ma non per tutti, si tratta di quel confine per cui non tutti i materiali presenti in un dato periodo storico sono utilizzabili per il restauro, ma solo quelli compatibili con l’opera stessa. Ma per sapere cosa è compatibile bisogna saper leggere la materia costituente un opera, i materiali antichi e bisogna conoscere i materiali nuovi e prevedere il loro comportamento nel tempo.
8 – confine economico
Un confine dolente, lo stesso per il quale alcuni proprietari di opere scelgono di lasciarle nell’incuria e nel degrado. Il medesimo confine che, in caso di edifici storici, fa prediligere le ditte edili alle ditte di restauro competenti in materia. Lo stesso confine per cui alle opere più famose è riservato un trattamento accurato e per le opere minori non è neppure possibile prevedere delle minime indagini diagnostiche.
9 – confine burocratico
Bisogna fare molta attenzione a distinguerlo da quello normativo, anche se ad esso è legato. Sono i cavilli le comunicazioni da inviare entro il , i documenti da compilare non oltre il, gli scadenzari dei bilanci delle amministrazioni eccetera, eccetera, eccetera. Un infinità di piccole procedure che potrebbero dilungare la partenza di un lavoro di restauro o il pagamento per la stessa di molto, molto tempo.
10 – confine pregiudiziale
infine il più importante dei confini e se vogliamo dei limiti del restauro è quello pregiudiziale. È l’unico confine non endemico ovvero non deriva dal restauro stesso, ne è esterno ma ne determina, troppo spesso, le sorti. Mi spiego meglio. Il confine pregiudiziale è di chi pensa che un restauro lo si possa affidare a chiunque, di chi pensa che non ci voglia poi tanto a fare il restauratore e ci si mette in prima persona anche se ha sempre fatto il pizzicagnolo. Il confine pregiudiziale è dei progettisti che pensano che conservare sia una iettatura, un inutile perdita di tempo, quelli che prima di chiamare un restauratore passano in rassegna tutte le categorie e i codici ATECO delle camere di commercio. Quelli che quando vedono un lacerto di affresco o l’affiorare di una tomba mentre scavano la massicciata di una strada, corrono come pazzi a nasconderlo, per scongiurare l’arrivo della soprintendenza, distruggendo arte, storia e materia. Poi, nel tempo, quando le vicissitudini professionali gli faranno incontrare un restauratore, non resisteranno alla tentazione di narrare di tutte quelle meraviglie delle quali solo loro sanno, ma che hanno distrutto per “cause di forza maggiore”, e con l’aria di chi la sa lunga provocano l’ulcera al malcapitato restauratore, con la stessa nonchalance con la quale hanno coperto di cemento secoli di storia . Contro questo confine noi restauratori non possiamo fare molto, può e deve la legge.
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_7340.jpg10851086Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-05-05 17:30:292018-05-05 17:33:59Il decalogo dei confini del restauro
In realtà si trattava di una modalità ironica per parlare di un argomento piuttosto serio, per tracciare le linee di un identità forte e reale. Un identità esistente! Quella dei restauratori Italiani
Ma perché questa identità di una classe professionale non si afferma? Possiamo constatare con un analisi semplice ed essenziale che vi sono delle evidenze che non si impongono come tali e mille altre inezie poco logiche e sfuggenti che però tengono le redini di un mancato riconoscimento
Il restauro c’è ed esiste è una disciplina ed il lavoro che svolgiamo tutti noi restauratori, ogni giorno, nonostante tutto
I restauratori esistono, sono gli stessi che restaurano ogni giorno i manufatti
Poi ci sono persone, situazioni anomale e sciocche, che con il restauro c’entrano come i cavoli a merenda ma che assumono e determinano il controllo della situazione. Sono piccole incongruenze, piccoli disturbi burocratici ed altri moscerini, ma che determinano l’andamento dell’intera questione del restauro
Al fine di comprendere questa dinamica forse è il caso di analizzare in via preliminare alcuni fattori.
Pensiamo alla categoria dei restauratori, si trova in una posizione arretrata per quanto attiene il riconoscimento burocratico, e in una posizione semi incosciente in quanto categoria professionale identitaria.
Penso che uno dei motivi che induca nel restauratore questa identità sfocata, mancante o non riconosciuta, sia proprio quell’eterna situazione di precarietà normativa
Parrebbe strano ma purtroppo i due elementi sono strettamente connessi tra di loro; la burocrazia non riconosce i restauratori ed i restauratori non si riconoscono.
A ciò contribuisce non poco l’assenza di un percorso formativo comune, che fomenta le differenze e le piccole schermaglie interne. La mancanza di un percorso formativo comune che, guarda caso, continua ad essere favorito e spinto dalle istituzioni con l’autorizzazione di una miriade di percorsi formativi per il restauro, non può che contribuire al frammentarsi della coscienza identitaria del restauratore
Ma vediamo l’atteggiamento della burocrazia nei nostri confronti
Cos’è la burocrazia oggi. È un ordine tecnico, capillare e dilagante che norma e regola ogni nostra azione quotidiana, dal lavoro alle più banali attività. Pensiamo per un attimo a quante volte in un giorno ci viene richiesto un documento d’identità, un tesserino di riconoscimento, una password, una firma per il trattamento dei dati personali o un codice PIN. Molte vero?
La burocrazia di una società è multiforme. Necessaria per arginare ciò che è illegittimo, opprimente per chi deve dimostrare l’ovvia e dovuta legittimità. Da un lato ci tutela, dall’altro ci controlla. Tutto cataloga, tutto suddivide, tutto ordina e tutto incasella. Da un lato garantisce e riconosce, dall’altro blocca e disconosce.
Bene ora pensiamo a quale anomala situazione può essere quella in cui una categoria che lavora ogni giorno pare per un fine nobile, sia riconosciuta solo parzialmente. Ovvero il codice ATECO esiste,”90.03.02 Attività di conservazione e restauro di opere d’arte”. Gli studi di settore pure, ci chiedono ogni anno se abbiamo restaurato dipinti e quanti su tela, quanti su tavola che percentuale di affreschi, di libri e di sculture abbiamo trattato, quanti manufatti soggetti a vincolo e quanti no, quanti di proprietà privata e quanti pubblica, eccetera, eccetera. Ma, fermi tutti! Un dubbio lancinante coglie il ministero! Ma siamo sicuri che colui o colei che svolge quel lavoro, lo stesso per cui ha avuto autorizzazione della Soprintendenza, lo stesso per cui paga le tasse e per il quale compila quella puntualissima rilevazione statistica…sia in possesso di tutte quelle caratteristiche richieste e previste dalla normativa vigente?
Si scherza? Forse si ma non fino in fondo! Infatti questo anomalo soggetto che restaura i monumenti fissi e immobili e gli oggetti mobili, non risulta essere appartenente ad alcuna categoria. O meglio per creare la categoria dedicata si è reso necessario mettere a punto una procedura apposita, molto, ma molto, ma molto complessa. Irta di intoppi, impedimenti e prevedibili imprevisti!
L’avete capito vero? Sto parlando dell’ormai mitica Procedura Transitoria per il Conseguimento della Qualifica di Restauratore!
Eppure una via d’uscita per l’eroica commissione valutatrice, che annaspa e annega tra i nostri documenti ormai ammuffiti, ci sarebbe. Potrebbe, previo consenso informato, inserire il nostro codice fiscale nella pagina dell’agenzia delle entrate e capire in un baleno, chi siamo, su cosa lavoriamo, da quanto tempo ci sfamiamo con il restauro, se ci occupiamo di opere tutelate o no, se lavoriamo per privati o per il pubblico, (e questo sarebbe verificabile anche per i dipendenti delle ditte di restauro). Con buona pace loro e nostra.
Ma scordiamocelo! Pare proprio che nel nostro caso, connettere le sinapsi della burocrazia sia di una difficoltà insormontabile. Vedere di cosa ha vissuto un soggetto negli ultimi 10 anni dovrebbe essere il procedimento più banale per un apparato statale! Ma non quando si tratta di noi.
Evidentemente la nostra essenza artistica complica le questioni
Così possiamo ammirare la purezza di pensiero che induce il legislatore integerrimo a verificare se il soggetto preposto al restauro di opere d’arte, trattandosi queste ultime di patrimonio di interesse pubblico tutelato, sia o non sia adeguato a ricoprire quell’incarico a svolgere quella professione, che si scioglie come la neve al sole dinnanzi allo specchietto per le allodole del risparmio economico. Così da permettere di agire, su quei beni tanto cari, soggetti che certamente non hanno i requisiti per lavorarci. Talvolta i volontari, oppure gli studenti ma più spesso i muratori
Ma a me piace sognare
Per cui torno all’identità professionale dei restauratori; se le istituzioni non aiutano, se un insieme di moscerini minuscoli hanno formato una nube nera, questo non ci deve distrarre dalla percezione di ciò che siamo. Perché dobbiamo essere forti della certezza che il restauro esiste e coloro che li eseguono pure e se cominciassero ad avere una percezione comune di appartenenza anche la burocrazia potrebbe percepire il peso di un mancato quanto ovvio riconoscimento
Lasciamo perdere le differenze o l’ovvia competizione professionale , quando entriamo in un cantiere, in un laboratorio, in un museo, in una biblioteca … siamo molto simili tra di noi e ciò che ci accomuna è ben più di quanto non ci divida . Sono certa che converrebbe a tutti i restauratori, al restauro in quanto disciplina nonché ai poveri beni culturali tutelati
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_7989.jpg24862553Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-04-28 10:02:552018-04-28 10:02:55Identità, restauro e cavoli a merenda
Il pensiero di oggi riguarda il marketing del restauro
la nostra epoca contemporanea è fortemente caratterizzata dalle strategie di marketing e dalle conseguenti ricadute economiche sulla società.
Ci si può chiedere cosa mai c’entrerà tutto ciò con il restauro! In realtà il marketing c’entra sempre, ha direttamente a che fare con tutto quel che concerne bisogni, esigenze, prodotti e valori.
Ed è innegabile che il restauro esista perché esiste il bisogno di conservare manufatti. Connesso e conseguente alla soddisfazione di tale bisogno si crea un mercato, per quanto piccolo, con scambio di valori. Per questo motivo il marketing ha a che fare con il restauro, e forse, dovrebbe averci a che fare di più!
I pensieri che hanno indotto le seguenti considerazioni sono proprio dettati dalla strana percezione che esiste, sopratutto in Italia, circa la conservazione, il restauro ed i restauratori.
Il mondo del restauro è percepito, in linea generale, con delle distorsioni, con enfasi eccessive da un lato e minimizzazioni o trascuratezze dall’altro.
E’ così triste pensare che se esistesse una percezione più corretta della conservazione tutto sarebbe più semplice, non si lascerebbero cadere nel degrado i manufatti di pregio, sarebbe normale avere una categoria qualificata di restauratori ed altrettanto normale compensarla.
Ma veniamo ora alle distorsioni che io percepisco
In primo luogo qual’è l’immagine del restauro?
Immagine 1 – la ragazza sorridente, con capello fluente e camice candido che sfiora delicatamente la superficie di un dipinto con un bastoncino cotonato adatto alla pulizia delle orecchie.
Immagine 2 – Il grande evento: campagna mediatica da urlo, slogan roboanti per il ritorno “all’antico splendore” o la “all’origine” di un edificio storico
Immagine 3 – la scuola di restauro; gruppi di fanciulli in camice bianco dotati di sguardo sicuro diretto al futuro. La tecnologia invade la scena, microscopi, occhiali videocamera e molta, molta altra meravigliosa e debordante strumentazione.
Le tre immagini sopra elencate, che sono entrate a pieno titolo nell’immaginario collettivo, quando si parla di restauro, non consentono di vedere oltre. Infatti non è dato comprendere se la ragazza sorridente sia una restauratrice o una semplice comparsa.
E non ci mostra come il grande restauro pubblicizzato sia stato realizzato in tempi fulminei da una squadra di volontari, due classi di studenti e tre ditte edili e per tanto non si possa proprio definire restauro.
E non si evince dall’immagine della scuola se i fervidi giovanotti abbiano la cognizione che i molti denari sborsati da loro e dalle loro famiglie, per quella tecnologica istruzione, non gli garantiranno lavori remunerati e la loro figura professionale sia a rischio di mancato riconoscimento ministeriale.
Tutto questo manca nell’immagine collettiva del restauro, in parole povere manca la realtà!
… e dire che quelle sopra elencate sono le distorsioni in positivo, ma veniamo ora alle distorsioni in negativo o preconoscenze
Preconoscenza 1 – I restauri sono cari. “Punto!” I fondi necessari per conservare un bene sono considerati sempre e comunque troppi. Capita infatti che la stessa amministrazione cittadina, che mette a bilancio centinaia dei migliaia di euro, ogni anno, per tinteggiare le ringhiere e sistemare i cordoli di marciapiedi, si contorca per mesi prima di mettere a bilancio trentamila euro per un restauro o la manutenzione di un bene per il quale è conosciuta in tutto il mondo.
Preconoscenza 2 – Il restauro non è indispensabile.Non lo dico io, lo dicono i numeri! Quando si parla di un bene storico, per quanto importante, il restauro conservativo o peggio la manutenzione, costituiscono sempre l’ultima voce sia in senso cronologico che quantitativo. Se prendiamo ad esempio una qualsiasi gara di appalto pubblico per lavori di restauro e conservazione di un immobile vincolato, troveremo grossomodo la seguente suddivisione delle voci di capitolato: il 50% per lavori edili , il 20% per la messa a norma dell’impiantistica, il 10% per ponteggi ed opere provvisionali, il 10% per forniture varie tipo ascensori o finestre e, infine il rimanente 10% per il restauro, del quale poi si celebrerà la gloria per l’intero manufatto.
Preconoscenza 3 – I restauri si devono adeguare a tempi, modi e costi di altri settori ritenuti trainanti. E’ infatti cosa tutt’altro che insolita, che in un cantiere nelle previsione dei tempi e modalità d’intervento vengano inseriti in fase progettuale, costi, tempi e modi che non appartengono al restauro. Così può accadere che il restauro di un intonaco venga calcolato al prezzo che più si avvicina a quella tal voce di capitolato edile, ed i tempi previsti per la realizzazione saranno quelli di un intonaco nuovo. Da li deriveranno una serie interminabile di intricati problemi tra progettisti, committenza, ditte di restauro e soprintendenze. Situazioni che a loro volta generano la convinzione che: “quando si tratta di restauro è un problema!”
Alla luce dell’analisi dei parametri di percezione sopra elencati, deduciamo che in parte sono prodotti da un marketing gestito e condotto da chi non conosce il settore del restauro, ma in qualche misura ne trae profitto. Ed è alla luce di ciò che penso che il marketing potrebbe essere di enorme utilità per dare la giusta immagine del restauro, nella stessa misura in cui ha dato e diffuso quelle tre immagini all’immaginario collettivo.
Quelle tre immagini iniziali sono sbagliate, potrebbe dire qualcuno. No sono funzionali!
Mi spiego meglio, quelle tre immagini, che fanno sorridere noi restauratori, sono sbagliate o parziali rispetto alla complessa e reale dimensione del restauro, ma sono tagliate giuste giuste per il messaggio che vogliono dare, per il fine che vogliono raggiungere e lo hanno raggiunto, eccome!
Mi vogliano perdonare gli specialisti del settore per le inesattezze, ma trovo che il marketing sia un processo sociale che possa considerarsi neutro nella sua fase iniziale, ovvero non si fa problemi se deve sostenere e diffondere un brand di alta moda, le gomme invernali per i mezzi agricoli o l’operato di una forza politica. L’importante che attorno vi sia un interesse, un business che il marketing andrà a gestire, indirizzare ed ampliare.
E allora perché non utilizzare le tecniche di marketing per una campagna di informazione e diffusione dei valori della conservazione del patrimonio culturale?
Il marketing può contribuire a costruire un settore del restauro, radicato nel territorio con un indotto economico concreto, dedicato e modellato esclusivamente sulla misura della conservazione, restauro e manutenzione. Senza che venga mutuato da settori con i quali ha ben poco a che fare.
Sarebbe così bello se la manutenzione ed il restauro entrassero nel linguaggio comune!
Il restauro e la manutenzione delle opere possiede già un mercato proprio ed esclusivo che per anni è stato distratto ed assorbito da altri settori. Tocca a chi è del settore guidare il marketing nella giusta direzione.
Se troviamo fastidioso che i restauratori siano ridotti a comparse per dare un aura artistica ad un dato intervento.
Se troviamo assurdo si facciano campagne roboanti per celebrare un restauro – evento e si lasci nel degrado il resto del patrimonio
Se troviamo triste che a fronte del businness della formazione del restauro non corrisponda un business del lavoro del restauratore
… Forse tocca a noi. Si proprio a noi poveri, miseri e bistrattati professionisti del settore culturale FAR COMPRENDERE AI MOLTI QUANTO UNA PROFESSIONE DI POCHI SIA UTILE A TUTTI
Dobbiamo trovare un modo, capire quali sono i canali e le vie per far acquisire e diffondere il concetto che il restauro è una professione che può conservare, tutelare e salvare il patrimonio. E lo fa per tutti.
La gioia più grande sarebbe, fra qualche anno, rileggendo le idee espresse in questo scritto trovarle ovvie e superate in quanto date per acquisite
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/04/IMG_8231.jpg30243694Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-04-08 09:14:242018-04-08 09:27:29Marketing e restauro
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