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Dettagli – Terracotta 2

Il mondo della terracotta, come già mi è capitato di trattare su questo blog, è molto vasto per cui si rende utile suddividerlo in macro aree al fine di  poterlo comprendere ed indagare al meglio.

Questo secondo articolo sulla terracotta si occuperà di un aspetto apparentemente banale, ma su cui ritengo utile indirizzare l’interesse e l’osservazione  è il decoro modulare dell’architettura, ovviamente in terracotta

Se prestiamo attenzione i dettagli o motivi decorativi modulari nell’architettura in laterizio di terracotta sono veramente molti, possono riguardare porzioni sotto gronda, cornicioni, balconi, portali d’ingresso, pennacchi e comignoli

Tutti elementi decorativi che derivano dalla natura modulare intrinseca al mattone o laterizio in terracotta

È una particolare tecnica decorativa che spesso è la risultante dal semplice posizionamento di una fila di  mattoni in terracotta con un angolazione lievemente ruotata, così da creare un elemento decorativo modulare.

Una tecnica semplice ed economica ma di grande impatto decorativo

Questa tecnica decorativa è molto diffusa nell’edilizia storica e monumentale sino all’archeologia industriale. Copre un arco temporale estremamente vasto, che va dal medioevo alla prima metà del ‘900, ma se indaghiamo con attenzione ne troveremo anche prima e dopo tale periodo

Gli elementi modulari che creano dettagli decorativi, nell’architettura storica tendono ad avere oltre che un allettamento ruotato o angolare dei mattoni, anche degli specifici elementi decorativi, magari semplici e a stampo ma che collocati consequenzialmente assumono un andamento modulare ed un aspetto decorativo imponente. Archetti ciechi, colonne tortili, motivi floreali ed altro ancora

Questa stessa tecnica nell’edilizia ottocentesca o nei capannoni dedicati all’artigianato o all’industria è sfrondata dagli elementi decorativi a stampo, resa essenziale e ancor più economica ma tuttavia molto efficace sotto il profilo estetico

Nell’archeologia industriale si utilizza come base decorativa il semplice mattone da costruzione, variandone l’allettamento

Vediamo alcuni esempi: nell’immagine sotto un balcone i cui motivi decorativi sono disegnati dal posizionamento verticale e orizzontale del mattone e dai vuoti da essi lasciati

Nel seguente decoro sotto gronda abbiamo un posizionamento a 45 gradi longitudinale che crea l’effetto cornicione e 45 gradi orizzontale che crea il decoro della fascia

Chissà quanti ne vedrete ogni giorno di questi decori ed ora ne troverete a bizzeffe , buona ricerca

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SilviaContiRestauroConservativo

 

 

Dettagli – Terracotta 1

La terracotta è il mondo, è un materiale estremamente diffuso, così versatile che vi sono state costruite intere città.

Le tecniche di utilizzo dell’argilla hanno mille e più  diramazioni specifiche ma nell’essenza resta una delle tecniche più antiche ed essenziali  dell’ingegno umano

La terracotta deriva dall’argilla, l’argilla è un conglomerato non sedimentato di minerali argillosi, per lo più derivanti dal dilavamento o stagnazione in acqua, di rocce contenenti  tali minerali (fillosilicati, a loro volta composti da molti altri minerali; alluminosilicati, caolinite, silicati idrati d’alluminio, eccetera ) I manufatti in terracotta sono detti “Fittili”

L’argilla allo stato umido si presenta in blocchi o conglomerati dall’aspetto viscido e compatto . Il colore dell’argilla può variare a seconda degli ossidi in essa contenuti e sostanzialmente dai luoghi di provenienza. Il tipico colore rosso della terra cotta è dettato dall’ossido di ferro che si manifesta a seguito di cottura.  Tale composto umido è malleabile e plasmabile, allo stato essiccato perde elasticità e mediante cottura diviene terracotta 

Con la terracotta si possono fare i mattoni utili per l’edificazione di case e palazzi, oppure si possono plasmare manufatti decorativi e artistici, oppure ceramiche di rivestimento, pavimenti, vasellame o porcellane.

La differenza sostanziale tra laterizio da costruzione e le porcellane sta nel grado di depurazione dell’argilla. Più l’argilla sarà depurata e più compatto e meno poroso sarà il manufatto cotto. Le terre cotte meno porose sono le porcellane o il grès che solitamente sono caratterizzate da un colore chiaro, quasi bianco, dettato dal caolino che compone in maggior parte l’argilla molto depurata

Altro dettaglio differenziale sta nella finitura di superficie della terracotta. L’argilla lavorata, essiccata e colorata con ossidi metallici a seguito di cottura diviene maiolica. Ovvero gli ossidi policromi stesi sull’oggetto in terra cruda, allo stato di polvere, una volta cotti (980 gradi circa) si fondono, variano di colore, si stabilizzano e creano un sottile strato di finitura assolutamente coeso al manufatto fittile, rendendolo policromo lucido ed impermeabile

La lavorazione dell’argilla è assolutamente versatile e può essere realizzata a stampo oppure plasmata a mano. È molto diffuso ed è meraviglioso trovare su di una tegola o un mattone antico le tracce delle dita che l’hanno lavorato

È molto interessante osservare i decori realizzati con la terra cotta, tra le vie delle città, ve ne sono di antichissimi e di recenti, alcune decorazioni soprattutto quelle dell’architettura, sono ottenute semplicemente allettando il mattone con un angolazione lievemente inclinata e ripetuta sino a divenire cordolo modulare.

Altri decori sono figurativi o scultorei e, dall’attenta osservazione, possiamo dedurre se siano realizzati a mano oppure a stampo o ancora a stampo e poi finiti a mano.

È bene rammentare che  i decori in terracotta hanno delle dimensioni limitate in relazione a quelle  del forno di cottura, per cui sono modulari e, se sembrano molto grandi, significa che sono stati assemblati con grande cura

Anche il semplice mattone da costruzione racconta la sua storia a chi la vuole ascoltare. Dalle dimensioni del mattone dal suo colore e dalla porosità si possono dedurre le fornaci di provenienza e le datazioni.

Dalla superficie scabrosa o liscia del mattone possiamo capire se era nato per essere intonacato oppure per essere finito a vista. Tra quelli nati per essere “finitura” possiamo anche scovare tracce di sagramatura. Una meravigliosa antica tecnica che prevedeva il trattamento superficiale dei mattoni con della calce idrata ed altra polvere di cotto, spesso stesi sulla superficie mediante l’azione abrasiva di un mattone strofinato in senso rotatorio sulla superficie. Il risultato della sagramatura è quella lucentezza naturale della superficie, dello stesso colore del mattone ma di tono più scuro in corrispondenza del mattone e lievemente più chiaro in corrispondenza della malta di allettamento.

Le grandi sculture in terracotta policroma sono dei manufatti affascinanti nei quali l’arte e la sapienza tecnica raggiungono altissimi livelli  e che approfondirò in un prossimo articolo

 

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SilviaContiRestauroConservativo

 

Il ferro, tecniche e forme

Il ferro è un minerale estratto dalla profondità della terra, attraverso la creazione di miniere estrattive, che si trovano in quasi tutti i paesi del mondo.

La metallurgia è la disciplina che studia i metalli tra cui il ferro e le sue leghe.

Il ferro è un materiale molto diffuso ed ha trovato infiniti  utilizzi, sin dai tempi antichi, in svariate forme,  come elemento costituente  della meccanica, oppure come elemento di supporto e decorazione dell’architettura infine come espressione artistica e decorativa a se stante

Troviamo manufatti ferrosi utilizzati come elementi strutturali e non visibili all’interno dei pilastri in calcestruzzo, come anima strutturale delle mensole dei balconi decorativi in graniglia o stucco

La sua presenza nelle nostre città e nelle campagne è grandissima. Siamo attorniati di elementi metallici, dagli utensili agricoli alle chiuse di sistemi di irrigazione, alle ringhiere. Ma ciò che trovo di estremo interesse è come si adatti ad ogni  forma decorativa

Elementi decorativi di complemento all’architettura, grate, recinzioni, pinnacoli, borchie e maniglie di portoni ed altro ancora

Il ferro è sempre stato materia povera duttile e malleabile. Lavorabile con pochi semplici utensili.

Si ammorbidisce  al fuoco, si plasma mediante la battitura effettuata con magli o semplici martelli, si taglia, si fonde, si mescola ad altri minerali, si piega fino a prendere le più svariate forme

Le principali tecniche tradizionali di lavorazione del ferro, che possiamo riconoscere guardandoci attorno, osservando gli elementi decorativi di qualsiasi area urbana sono:

  •   La battitura a caldo: Una tecnica antica che prevede l’ammorbidimento del metallo attraverso il calore e la battitura dello stesso sino a plasmarne la materia nella forma desiderata: la battitura a caldo si riconosce dalle preziose imperfezioni della superficie metallica che riporta le tracce dei colpi del martello e i segni delle piegature con le tenaglie
  •  Lo stampo o forgiatura a stampo: forme decorative, foglie e fiori possono essere realizzate a mezzo di immissione del metallo fuso in stampi di ghisa oppure con la più diffusa tecnica della forgiatura a stampo, dove il metallo viene compresso da stampi pre formati che imprimono la forma
  • La forgiatura a mano: prevede, come la battitura a caldo, il riscaldamento del metallo e la battitura continua a mezzo di elementi meccanici, tipo magli o strumenti industriali, sino a dare alla materia la forma desiderata. La forgia da manufatti plasmati, lisci e di forme flessuose ma regolari
  • La trafilatura: una tecnica più recente, dalla rivoluzione industriale in poi. E la tecnica con la quale il metallo viene forzosamente indotto a  passare attraverso condotti sagomati che ne definiscono la forma, per estrusione. Con questa tecnica si formano aste, tubi e barre.
  • La laminazione  si utilizza per formare delle  lamine, può essere effettuata a mano, per battitura, per forgiatura oppure per processo meccanico industriale (a freddo oppure a caldo)

Può sembrare incredibile quante forme e decori si possano creare con queste poche  tecniche metallurgiche

Trovo molto divertente aggirarmi per le vie e cercare di individuare, suddividere e catalogare queste tecniche

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SilviaContiRestauroConservativo

 

Atti vandalici e segnali di vita

In questo articolo vorrei parlare degli atti vandalici e della loro trasformazione nel tempo

Ognuno di noi ha ben chiaro cosa siano quegli atti vandalici sui monumenti, quelle scritte urlanti che feriscono alla sola vista ogni essere umano dotato di senno. La  normativa per l’individuazione dei danni sui beni culturali li definisce atti antropici o vandalici e, non vi sono dubbi interpretativi, vanno rimossi!

Scritte, incisioni, distacchi e lesioni alle  quali il restauratore è chiamato a porre rimedio.

Uno dei lavori più odiosi per il restauratore, che solleva brontolii e predicozzi ad ogni fase di lavorazione e, mentre sfodera tutti i materiali della tavola periodica degli elementi, per provare a rimuovere quelle tracce, regolarmente si chiede ma perché lo fanno e perché proprio su di un manufatto storico

In effetti le medesime scritte realizzate sotto ai ponti dei cavalcavia o nelle periferie ci comunicano stati d’animo diversi, se il graffito è bello esteticamente lo osserviamo con la dignità che si concede ad un opera d’arte contemporanea, ma sui beni storici no, è intollerabile. E forse la risposta alla motivazione di tali gesti  risiede proprio in questo è una provocazione forte, un’insulto, e come tale viene recepito

Va però analizzato che gli atti antropici o vandalici sui manufatti storico artistici sono un fatto costante nel tempo, sono sempre avvenuti, lo dimostrano chiaramente certe scritte tra le rovine di Pompei

La differenza sta nelle tecniche, gli atti vandalici antichi giunti sino a noi sono per lo più delle incisioni, su pietra, intonaco, legno o altro materiale. Altra differenza sta nel diverso garbo con cui sono realizzate scritte firme e date, una forma di pudore che li hanno resi semi invisibili o comunque tollerabili alla vista affinché giungessero sino a noi. Forse diversa era la motivazione dell’atto vandalico non una provocazione o un insulto ma piuttosto una testimonianza di se in un luogo ritenuto importante. Una sorta di “io c’ero”

Di fronte a questi atti vandalici ricoperti dallo strato nobilitante della storia il nostro atteggiamento cambia completamente, li osserviamo con attenzione e trasporto cercando di leggere firme e date, ma non solo l’atteggiamento del comune osservatore cambia, cambia anche la normativa sulla conservazione che contempla la tutela e la conservazione della scritta e dell’incisione storicizzata

Perché mai? Si potrebbe chiedere qualcuno. Molto semplice perché quelle scritte divengono documento, ci danno informazioni quindi assumono un valore documentale per la lettura e la conoscenza della storia di un dato bene, lo stesso su cui sono state realizzate

Gli atti antropici antichi divengono tracce vitali da conservare poiché hanno assunto una valenza storica ed antropologica. La conservazione di incisioni, firme e  date storicizzate sui manufatti storici è uno di quei fattori che possono apparire incomprensibili a chi non è del settore ma che rendono intellettualmente evoluto l’atto della conservazione

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SilviaContiRestauroConservativo

 

 

Il ritocco nel restauro

In questo articolo vorrei spendere qualche pensiero sul ritocco nel restauro conservativo

Il ritocco nel restauro conservativo è una delle molte fasi di lavorazione, una delle ultime di un intero restauro. Dal punto di vista conservativo è tra le più semplici. Una volta garantita la reversibilità del pigmento e dei leganti utilizzati per lo stesso, non vi sono problemi, nel senso che potrà essere agevolmente rimosso in un futuro intervento, senza danni per l’opera.

Eppure il ritocco è una di quelle fasi del restauro che può determinare o compromettere l’intera  riuscita di un restauro. Può determinare la leggibilità di un opera o la può compromettere, proprio perché si occupa del livello estetico di percezione, fruizione e leggibilità . Infatti il tipo di ritocco viene concordato, in via preventiva, con il funzionario competente della Soprintendenza, quasi mai viene lasciato al libero arbitrio del professionista.

Per ritocco si intende l’integrazione pittorica di piccole e medie lacune della superficie pittorica di una data opera d’arte, finalizzato a facilitare la lettura dell’opera stessa.

Il ritocco può riguardare molte delle tipologie di opera soggette a restauro; dai dipinti ad olio su tela e tavola, agli affreschi, ai grandi elementi decorativi dell’architettura, alla scultura policroma e dorata, agli stucchi, e molte altre superfici decorate e policrome.

Vi sono varie tecniche di ritocco che spesso si suddividono a seconda della volontà progettuale del restauro di rendere o meno visibile, distinguibile o riconoscibile (ad occhio esperto) il ritocco dalla superficie originale

Tra le più diffuse tecniche di ritocco vi sono il rigatino, il puntino o le piccole macchie che tendono a creare una sorta di cucitura della trama perduta, la selezione cromatica, la velatura a tono o sotto tono ed il mimetico

Il ritocco costituisce anche una prova di abilità per noi restauratori. Una sorta di esercizio di meditazione, quasi ipnotico, che ti può mettere in contatto profondo con l’essenza dell’opera d’arte e ti consente di sentirne ed interpretarne la voce, come un musicista quando esegue uno spartito. E quando scopri di averlo interpretato nel modo corretto, proprio come l’autore intendeva, puoi toccare il cielo!

 

Quando mi reco nella galleria degli Uffizi a Firenze e mi perdo dinanzi  alla Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, guardo il basamento, quello con le arpie e le iscrizioni, in gran parte  ricostruito con la tecnica a rigatino, arpie comprese. Credo sia stato restaurato agli inizi degli anni ’80 del ‘900.  Ecco quando lo guardo, non voglio più sapere cosa penso sotto il profilo ideologico, di quel tipo di integrazione scelta, ebbene, vorrei solo baciare in fronte quel genio che lo ha ritoccato, colui o colei che ha realizzato quell’opera d’arte nell’opera. Grazie, una vera delizia per una restauratrice!

Il ritocco è anche la fase di lavorazione più soggetta in assoluto alle mode del momento, dal tipo di ritocco che vediamo su di un opera possiamo determinare con una discreta agilità il periodo in cui è stato restaurato ed anche l’area geografica.

Normalmente è la prima parte di un restauro che viene eliminata dal successivo e, con essa se ne vanno il pensiero e il gusto percettivo di un dato periodo storico. Per questo documentare il restauro diviene esercizio di storia dell’arte

 

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SilviaConti  RestauroConservativo

 

Identità, restauro e cavoli a merenda

Nei giorni scorsi ho pubblicato un decalogo, dieci punti per riconoscere un vero restauratore. È stato divertente scriverlo e pare lo sia stato anche per i lettori leggerlo.

In realtà si trattava di una modalità ironica per parlare di un argomento piuttosto serio, per tracciare le linee di un identità forte e reale. Un identità esistente! Quella dei restauratori Italiani

Ma perché questa identità di una classe professionale non si afferma? Possiamo constatare con un analisi semplice ed essenziale  che vi sono delle evidenze che non si impongono come tali e mille altre inezie poco logiche e sfuggenti che però tengono le redini  di un mancato riconoscimento

  1. Il restauro c’è ed esiste è una disciplina ed  il lavoro che svolgiamo tutti noi restauratori, ogni giorno, nonostante tutto
  2. I restauratori esistono, sono gli stessi che restaurano ogni giorno i manufatti
  3. Poi ci sono persone, situazioni anomale e sciocche, che con il restauro c’entrano come i cavoli a merenda ma che assumono e determinano il controllo della situazione. Sono piccole incongruenze, piccoli disturbi burocratici ed altri moscerini, ma che determinano l’andamento dell’intera questione del restauro

Al fine di comprendere questa dinamica forse è il caso di analizzare in via preliminare alcuni fattori.

Pensiamo alla  categoria dei restauratori, si trova in una posizione arretrata per quanto attiene il riconoscimento burocratico, e in una posizione  semi incosciente  in quanto categoria professionale identitaria. 

Penso che uno dei motivi che induca nel restauratore questa identità sfocata, mancante o non riconosciuta, sia proprio quell’eterna situazione di precarietà normativa

Parrebbe strano ma purtroppo i due elementi sono strettamente connessi tra di loro; la burocrazia non riconosce i restauratori ed i restauratori non si riconoscono.

A ciò contribuisce non poco  l’assenza di un percorso formativo comune, che fomenta le differenze e le piccole schermaglie interne. La mancanza di un percorso formativo comune che, guarda caso, continua ad essere favorito e spinto dalle istituzioni con l’autorizzazione di una miriade di percorsi formativi per il restauro,  non può che contribuire al frammentarsi della coscienza identitaria del restauratore

Ma vediamo l’atteggiamento della burocrazia nei nostri confronti

Cos’è la burocrazia oggi. È un ordine tecnico, capillare e dilagante che norma e regola ogni nostra azione quotidiana, dal lavoro alle più banali attività. Pensiamo per un attimo a quante volte in un giorno ci viene richiesto un documento d’identità, un tesserino di riconoscimento, una password, una firma per il trattamento dei dati personali o un codice PIN. Molte vero?

La burocrazia di una società è multiforme. Necessaria per arginare ciò che è illegittimo, opprimente per chi deve dimostrare l’ovvia e dovuta legittimità. Da un lato ci tutela, dall’altro ci controlla. Tutto cataloga, tutto suddivide, tutto ordina e tutto  incasella. Da un lato garantisce e riconosce, dall’altro blocca e disconosce.

Bene ora pensiamo a quale anomala situazione può essere quella in cui una categoria che lavora ogni giorno pare per un fine nobile, sia riconosciuta solo parzialmente. Ovvero il codice ATECO esiste,”90.03.02 Attività di conservazione e restauro di opere d’arte”. Gli studi di settore pure, ci chiedono ogni anno se abbiamo restaurato  dipinti e quanti su tela, quanti su tavola che percentuale di affreschi, di libri e  di sculture abbiamo trattato, quanti manufatti soggetti a vincolo e quanti no, quanti di proprietà privata e quanti pubblica, eccetera, eccetera. Ma, fermi tutti! Un dubbio lancinante coglie il ministero! Ma siamo sicuri che colui o colei che svolge quel lavoro, lo stesso per cui ha avuto autorizzazione della Soprintendenza, lo stesso per cui paga le tasse e per il quale compila quella puntualissima rilevazione statistica…sia in possesso di tutte quelle caratteristiche richieste e previste dalla normativa vigente? 

Si scherza? Forse si ma non fino in fondo! Infatti questo anomalo soggetto che restaura i monumenti fissi e immobili e gli oggetti mobili, non risulta essere appartenente ad alcuna categoria. O meglio per creare la categoria dedicata si è reso necessario mettere a punto una procedura apposita, molto, ma molto, ma molto complessa. Irta di intoppi, impedimenti e prevedibili imprevisti!

L’avete capito vero? Sto parlando dell’ormai mitica Procedura Transitoria per il Conseguimento della Qualifica di Restauratore!

Eppure una via d’uscita per l’eroica commissione valutatrice, che annaspa e annega tra i nostri documenti ormai ammuffiti, ci sarebbe.  Potrebbe, previo consenso informato, inserire il nostro codice fiscale nella pagina dell’agenzia delle entrate e capire in un baleno, chi siamo, su cosa lavoriamo, da quanto tempo ci sfamiamo con il restauro, se ci occupiamo di opere tutelate o no, se lavoriamo per privati o per il pubblico, (e questo sarebbe verificabile anche per i dipendenti delle ditte di restauro).  Con buona pace loro e nostra.

Ma scordiamocelo! Pare proprio che nel nostro caso, connettere le sinapsi della burocrazia sia  di una difficoltà insormontabile. Vedere di cosa ha vissuto un soggetto negli ultimi 10 anni dovrebbe essere il procedimento più banale per un apparato statale! Ma non quando si tratta di noi.

Evidentemente la nostra essenza artistica complica le questioni

Così possiamo ammirare  la purezza di pensiero che induce il legislatore  integerrimo a verificare se il soggetto preposto al restauro di opere d’arte, trattandosi queste ultime di patrimonio di interesse pubblico tutelato, sia o non sia adeguato a ricoprire quell’incarico a svolgere quella professione, che si scioglie come la neve al sole dinnanzi allo specchietto per le allodole del risparmio economico. Così da permettere di agire, su quei beni tanto cari, soggetti che certamente non hanno i requisiti per lavorarci. Talvolta  i volontari, oppure gli studenti ma più spesso i muratori

Ma a me piace sognare 

Per cui torno all’identità professionale dei restauratori; se le istituzioni non aiutano, se un insieme di moscerini minuscoli hanno formato una nube nera, questo non ci deve distrarre dalla percezione di ciò che siamo. Perché dobbiamo essere forti della certezza che il restauro esiste e coloro che li eseguono pure e se cominciassero ad avere una percezione comune di appartenenza anche la burocrazia potrebbe percepire il peso di un mancato quanto ovvio riconoscimento

Lasciamo perdere le differenze o l’ovvia competizione professionale , quando entriamo in un cantiere, in un laboratorio, in un museo, in una biblioteca … siamo molto simili tra di noi e ciò che ci accomuna è ben più di quanto non ci divida . Sono certa che converrebbe a tutti i restauratori, al restauro in quanto disciplina nonché ai poveri beni culturali tutelati

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo

 

Marketing e restauro

Il pensiero di oggi riguarda il marketing del restauro

la nostra epoca contemporanea è fortemente caratterizzata dalle strategie di marketing e dalle conseguenti ricadute economiche sulla società.

Ci si può chiedere cosa mai c’entrerà tutto ciò con il restauro! In realtà il marketing c’entra sempre, ha direttamente a che fare con tutto quel che  concerne bisogni, esigenze, prodotti e valori.

Ed è innegabile che il restauro esista perché esiste il bisogno di conservare manufatti. Connesso e conseguente alla soddisfazione di tale bisogno si crea un mercato, per quanto piccolo, con scambio di valori. Per questo motivo il marketing ha a che fare con il restauro, e forse,  dovrebbe averci a che fare di più!

I pensieri che hanno indotto le seguenti considerazioni sono proprio dettati dalla strana percezione che esiste, sopratutto in Italia, circa la conservazione, il restauro ed i restauratori.

Il mondo del restauro è percepito, in linea generale, con delle distorsioni, con enfasi eccessive da un lato e minimizzazioni o trascuratezze dall’altro.

E’ così triste pensare che se esistesse una percezione più corretta della conservazione tutto sarebbe più semplice, non si lascerebbero cadere nel degrado i manufatti di pregio, sarebbe normale avere una categoria qualificata di restauratori ed altrettanto normale compensarla.

Ma veniamo ora alle distorsioni che io percepisco

In primo luogo qual’è l’immagine del restauro?

 Immagine 1 –   la  ragazza  sorridente, con capello fluente e camice candido che sfiora delicatamente la superficie di un dipinto con un bastoncino cotonato adatto alla pulizia delle orecchie.

 Immagine 2 –  Il grande evento: campagna mediatica da urlo, slogan roboanti per il ritorno “all’antico splendore” o la “all’origine” di un  edificio storico

 Immagine 3 –  la scuola di restauro; gruppi di fanciulli in camice bianco dotati di sguardo sicuro diretto al futuro. La tecnologia invade la scena, microscopi, occhiali videocamera e molta, molta altra meravigliosa e debordante strumentazione.

Le tre immagini sopra elencate, che sono entrate a pieno titolo nell’immaginario collettivo, quando si parla di restauro,  non consentono di vedere oltre. Infatti non è dato comprendere  se la ragazza sorridente sia una restauratrice o una semplice comparsa.

E non ci mostra come il grande restauro pubblicizzato sia stato realizzato in tempi fulminei da una squadra di volontari, due classi  di studenti e  tre ditte edili e per tanto non si possa proprio definire restauro.

E non si evince dall’immagine della scuola  se i fervidi giovanotti abbiano la cognizione che i molti  denari sborsati da loro e dalle loro famiglie, per quella tecnologica istruzione, non gli garantiranno lavori remunerati e la loro figura professionale sia a rischio di mancato riconoscimento ministeriale.

Tutto questo manca nell’immagine collettiva del restauro, in parole povere manca la realtà!

… e dire che quelle sopra elencate sono le distorsioni in positivo, ma veniamo ora alle distorsioni in negativo o preconoscenze

Preconoscenza 1 – I restauri sono cari. “Punto!” I fondi necessari per conservare un bene sono considerati sempre e comunque troppi. Capita infatti che la stessa amministrazione cittadina,  che mette a bilancio centinaia dei migliaia di euro, ogni anno, per tinteggiare le ringhiere e  sistemare i cordoli di marciapiedi, si contorca per mesi prima di mettere a bilancio trentamila euro per un restauro o la manutenzione di un bene per il quale è conosciuta in tutto il mondo.

 Preconoscenza 2 – Il restauro non è indispensabile. Non lo dico io, lo dicono i numeri! Quando si parla di un bene storico, per quanto importante, il restauro conservativo o peggio la manutenzione, costituiscono sempre l’ultima voce sia in senso cronologico che quantitativo. Se prendiamo ad esempio una qualsiasi gara di appalto pubblico per lavori di restauro e conservazione di un immobile vincolato,  troveremo grossomodo la seguente suddivisione delle voci di capitolato: il 50% per lavori  edili , il 20% per la messa a norma dell’impiantistica, il 10% per ponteggi ed opere provvisionali,  il 10% per forniture varie tipo ascensori o finestre e, infine il rimanente 10% per il restauro, del quale poi si celebrerà la gloria per l’intero manufatto.

Preconoscenza 3 – I restauri si devono adeguare a tempi, modi e costi di altri settori ritenuti trainanti. E’ infatti cosa tutt’altro che insolita, che in un cantiere nelle previsione dei tempi e modalità d’intervento vengano inseriti in fase progettuale, costi, tempi e  modi che non appartengono al restauro.  Così può accadere che il restauro di un intonaco venga calcolato al prezzo che più si avvicina a quella tal voce di capitolato edile, ed i tempi previsti per la realizzazione saranno quelli  di un intonaco nuovo. Da li deriveranno una serie interminabile di intricati problemi tra  progettisti,  committenza,  ditte di restauro e  soprintendenze. Situazioni che a loro volta generano la convinzione che: “quando si tratta di restauro è un problema!”

Alla luce dell’analisi dei parametri di percezione  sopra elencati, deduciamo che in parte sono prodotti da un marketing gestito e condotto da chi non conosce il settore del restauro, ma in qualche misura ne trae profitto. Ed è alla luce di ciò che penso che il marketing potrebbe essere di enorme utilità per  dare la giusta immagine del restauro, nella stessa misura in cui ha dato e diffuso quelle tre immagini all’immaginario collettivo.

Quelle tre immagini iniziali sono sbagliate, potrebbe dire qualcuno. No sono funzionali!

Mi spiego meglio, quelle tre immagini, che fanno sorridere noi restauratori, sono sbagliate o parziali rispetto alla complessa e reale dimensione del restauro, ma sono tagliate giuste giuste per il messaggio che vogliono dare, per il fine che vogliono raggiungere e lo hanno raggiunto, eccome!

Mi vogliano perdonare gli specialisti del settore per le inesattezze, ma trovo che il marketing sia un processo sociale che possa considerarsi neutro nella sua fase iniziale, ovvero non si fa problemi se deve sostenere e diffondere   un brand di alta moda, le gomme invernali per i mezzi agricoli o l’operato di una forza politica. L’importante che attorno vi sia un interesse, un business che il marketing andrà a gestire, indirizzare ed ampliare.

E allora perché non utilizzare le tecniche di marketing per una campagna di informazione e diffusione dei valori della conservazione del patrimonio culturale?

Il marketing può contribuire a costruire un settore del restauro, radicato nel territorio con un indotto economico concreto, dedicato e modellato esclusivamente sulla misura della conservazione, restauro e manutenzione. Senza che venga mutuato da settori con i quali ha ben poco a che fare.

Sarebbe così bello se la manutenzione ed il restauro entrassero nel linguaggio comune!

Il restauro e la manutenzione delle opere possiede già un mercato proprio ed esclusivo che per anni è stato distratto ed assorbito  da altri settori. Tocca a chi è del settore guidare  il marketing nella giusta direzione.

Se troviamo fastidioso che i restauratori siano ridotti a comparse  per dare un aura artistica ad un dato intervento.

Se troviamo assurdo si facciano campagne roboanti per celebrare un restauro – evento e si lasci nel degrado il resto del patrimonio

Se troviamo triste che  a fronte del businness della formazione del restauro non corrisponda un business del lavoro del restauratore

… Forse tocca a noi. Si proprio a noi poveri, miseri e bistrattati professionisti del settore culturale FAR COMPRENDERE AI MOLTI QUANTO UNA PROFESSIONE DI POCHI SIA UTILE A TUTTI 

Dobbiamo trovare un modo, capire quali sono i canali e le vie per far acquisire  e diffondere il concetto che il restauro è una professione che può conservare, tutelare e salvare il patrimonio. E lo fa per  tutti.

La gioia più grande sarebbe, fra qualche anno, rileggendo le idee espresse in questo scritto  trovarle ovvie e superate in quanto date per acquisite

 

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo