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Un caso strano

In questo articolo vorrei parlare di un caso atipico sotto il profilo delle tecniche di conservazione.

Premesso che la storia del restauro si è costituita attraverso una moltitudine di prove e tentativi più o meno empirici.

Per una sorta di legge della selezione naturale, i tentativi falliti restano nel dimenticatoio mentre quelli riusciti si trasformano in tecniche di restauro … ecco questo caso è insolito perché ben riuscito ma assai poco diffuso!

Un caso strano di strappo di affresco rivoltato e fissato su di un supporto metallico

Tempo fa scrivevo della mia avversione agli strappi e nel profondo dei miei pensieri resto contraria a tale pratica, capace di  decontestualizzare l’opera, come un colpo di spugna o un’amnesia crudele! Tale da far perdere in un baleno parte della storia di un’opera, memoria della collocazione e delle ragioni, seppur ipotetiche, che possano aver indotto pittore e competenza a realizzarla.

Eppure, come spesso accade, mi ritrovo a causa di forza maggiore  ad approfondire l’argomento detestato, trovandomi dinanzi un caso particolarissimo.

Si tratta di uno strappo di affresco rivoltato su di un supporto in lamina metallica. La tecnica esecutiva è subito apparsa tanto insolita quanto straordinariamente affascinante.

Supporto in lamiera metallica

Lo strappo appare ben fatto ha asportato la superficie pittorica e circa tre millimetri di intonaco. L’adesivo utilizzato per far aderire lo strappo al supporto è un mix di colle animali, sottilissimo, quasi privo di corpo, ma straordinariamente efficace. Non si è persa la morfologia superficiale dell’intonaco e, salvo alcuni distacchi localizzati mantiene un grado di adesione al supporto straordinario

Il dipinto è collocato in esterno e, nonostante le intemperie e le ridipinture si è conservato molto bene. Non vi è certezza sulla provenienza ma io propendo per l’ipotesi di uno strappo effettuato in un vicino convento di clausura. Lo strappo potrebbe risalire alla fine dell’ottocento

Dalle immagini a luce radente si possono notare le imperfezioni dell’intonaco conservate dallo strappo ed una piegatura dello strappo, da ricondursi ad una fase di lavorazione transitoria

   

Dipinto prima e dopo il restauro

      

Avete raccolto altre esperienze di affreschi ricollocati con tecniche insolite? Scrivetelo nei commenti

 

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Silvia ContiRestauroConservativo

 

Storia di un amore primordiale, restauratori e ponteggi

In questo articolo vorrei parlare dei ponteggi, della loro storia e del rapporto, stretto ma non sempre idilliaco, tra i restauratori e le opere provvisionali

Chiunque si occupi di restauro e, non specificamente nelle categorie “da laboratorio”. si troverà prima o poi  coinvolto nel complesso rapporto di odio ed amore con il ponteggio.

Il ponteggio costituisce quella complessa forma provvisoria di elementi modulari che consentono di raggiungere l’opera d’arte ed eseguirne il restauro.

Si suddividono grossomodo in due tipologie quelli che avvolgono e racchiudono l’opera d’arte, come nel caso di facciate esterne o monumenti. E quelli che  ne sono contenuti come nelle volte delle chiese

Il sentimento  di insofferenza che viene maturato dai restauratori nei confronti del ponteggio è presto descritto; Difficilmente il ponteggio, studiato per l’edilizia, risponde alle esigenze del restauro per cui diviene scomodo e faticoso. Nonostante le accurate e cavillose  normative è spesso pericoloso e, delle “zuccate” che ogni operatore del settore ha sentito risuonare nella propria testa … si è da tempo perduto il conto!

Ma parliamo ora dell’aspetto amoroso! La parte affascinante, che fa scattare la scintilla d’amore  sta in quella specifica caratteristica che consente di raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili e nel contempo crea delle nuove, illusorie, temporanee quanto improbabili ambientazioni! Viste mozzafiato e anfratti magici. In buona sostanza diviene ciò che quasi tutti i bambini hanno sognato almeno una volta nella vita, la casa sull’albero! Esclusiva e inaccessibile! E per ogni restauratore il ponteggio costituisce il suo personalissimo insediamento strategico!

Il concetto che noi abbiamo ora acquisito di ponteggio è parecchio dissimile da quello diffuso nei secoli passati, ma in realtà sino a pochi decenni addietro. Il ponteggio esiste da che esiste l’architettura, certo non nell’accezione moderna. Nell’antichità era spesso costituito da un castello ligneo su piccole ruote piene, anch’esse lignee o di pietra.

Semplici quanto incredibili sistemi di leve e corde erano utilizzate per issare i grandi conci che costituiscono i templi

 

Per secoli il ponteggio è stato un’impalcato ligneo costruito e  fissato nelle giunzioni con chiodi e corde e soprattutto infisso nel muro in quelle che in gergo tecnico si chiamano “buche pontaie” che possiamo tranquillamente individuare in molti degli edifici storici che ci circondano

dentro a questi alloggiamenti che poi sono destinati ad essere  ricoperti e mascherati dall’intonaco, venivano infissi i travi orizzontali, mentre quelli verticali poggiavano a terra. Struttura principale sulla quale si reggeva l’intero impalcato di assi e collegamenti

 (si veda questo esempio di ponteggio settecentesco in questa stampa, in vendita dalle casa d’aste Pandolfini )

Tutt’oggi nei paesi nordafricani e africani si eseguono ponteggi con elementi lignei che vengono fissati agli incroci con corde bagnate, che grazie al clima molto caldo e secco si essiccano rapidamente stringendo saldamente il legname

 (Ponteggio Egiziano contemporaneo)

I nostri ponteggi, quelli che pensiamo siano sempre esistiti, nascono da un’idea dell’Ing. Ferdinando Innocenti ,  brevettata nel 1935, che ebbe la grandiosa intuizione di studiare un giunto mobile per fissare i tubi della ditta Dalmine, che detto per inciso, fino a quel momento servivano solo per incanalare e trasportare fluidi. Da questa idea nacque  la più flessibile e geniale modalità di costruzione di impalcati temporanei, versatili e resistenti. Tutt’oggi insuperata

Da lì nasce il nostro ponteggio detto giunto-tubo, il resto sono evoluzioni dell’idea primordiale come il ponteggio fisso prefabbricato a “cavallette” comunque compatibile con il sistema giunto tubo, piccole intuizioni, limature e aggiustamenti, soprattutto normativi.

Anche il versante normativo che … tranquilli, non intendo trattare in questa sede, sotto il profilo storico evolutivo riserva molte sorprese. Il primo vero impulso per la normativa in materia di sicurezza e quindi di ponteggi, arriva con l’applicazione del Trattato di Roma del 25 marzo 1957. che, manco a dirlo, in Italia trova la sua attuazione, con tutta calma, nella prima vera normativa del  12 giugno 1989 nella la famosa legge n. 89/391/CEE, seguita dall’altrettanto nota legge 626 del 1994

Proviamo a pensare  per esemplificare che, sino a quella prima normativa del 1989,   il posizionamento di scale tra un piano e l’altro era del tutto inusuale e non specificamente imposto da nessuna normativa. Per cui sino al 1989 il passaggio da un piano all’altro del ponteggio poteva essere effettuato si mediante scale, ma solo per i cantieri più sofisticati. Per la maggior parte era fatto mediante arrampicata libera, cosa che oggi è del tutto impensabile . 

Anche i piani o impalcati non erano in lamiera regolare come oggi siamo abituati a vedere, bensì di tavole lignee che spesso si differenziavano tra loro per lunghezza e spessore che non era strettamente necessario legare o fissare in alcun modo e, sino all’affermarsi della normativa 626, furono largamente utilizzati i pannelli multistrato da cassaforma

Chi tra i restauratori ha maturato qualche anno di esperienza potrà certo ricordare improbabili e tremebonde strutture chiamate impropriamente ponteggio e diffuse in tutta la seconda metà del ‘900, quelli per cui era necessario accomandarsi a  tutti i Santi del Paradiso nonché  agli Dei dell’Olimpo per mantenere salva la pelle. E coloro i quali sono sopravvissuti ai ponteggi degli anni 70 e 80 del ‘900 è fondato pensare che siano dotati di segreti poteri , dei super poteri!

 

 

Testi e immagini (tranne la stampa di Pandolfini)

 

SilviaContiRestauroConservativo

Dettagli – Terracotta 2

Il mondo della terracotta, come già mi è capitato di trattare su questo blog, è molto vasto per cui si rende utile suddividerlo in macro aree al fine di  poterlo comprendere ed indagare al meglio.

Questo secondo articolo sulla terracotta si occuperà di un aspetto apparentemente banale, ma su cui ritengo utile indirizzare l’interesse e l’osservazione  è il decoro modulare dell’architettura, ovviamente in terracotta

Se prestiamo attenzione i dettagli o motivi decorativi modulari nell’architettura in laterizio di terracotta sono veramente molti, possono riguardare porzioni sotto gronda, cornicioni, balconi, portali d’ingresso, pennacchi e comignoli

Tutti elementi decorativi che derivano dalla natura modulare intrinseca al mattone o laterizio in terracotta

È una particolare tecnica decorativa che spesso è la risultante dal semplice posizionamento di una fila di  mattoni in terracotta con un angolazione lievemente ruotata, così da creare un elemento decorativo modulare.

Una tecnica semplice ed economica ma di grande impatto decorativo

Questa tecnica decorativa è molto diffusa nell’edilizia storica e monumentale sino all’archeologia industriale. Copre un arco temporale estremamente vasto, che va dal medioevo alla prima metà del ‘900, ma se indaghiamo con attenzione ne troveremo anche prima e dopo tale periodo

Gli elementi modulari che creano dettagli decorativi, nell’architettura storica tendono ad avere oltre che un allettamento ruotato o angolare dei mattoni, anche degli specifici elementi decorativi, magari semplici e a stampo ma che collocati consequenzialmente assumono un andamento modulare ed un aspetto decorativo imponente. Archetti ciechi, colonne tortili, motivi floreali ed altro ancora

Questa stessa tecnica nell’edilizia ottocentesca o nei capannoni dedicati all’artigianato o all’industria è sfrondata dagli elementi decorativi a stampo, resa essenziale e ancor più economica ma tuttavia molto efficace sotto il profilo estetico

Nell’archeologia industriale si utilizza come base decorativa il semplice mattone da costruzione, variandone l’allettamento

Vediamo alcuni esempi: nell’immagine sotto un balcone i cui motivi decorativi sono disegnati dal posizionamento verticale e orizzontale del mattone e dai vuoti da essi lasciati

Nel seguente decoro sotto gronda abbiamo un posizionamento a 45 gradi longitudinale che crea l’effetto cornicione e 45 gradi orizzontale che crea il decoro della fascia

Chissà quanti ne vedrete ogni giorno di questi decori ed ora ne troverete a bizzeffe , buona ricerca

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SilviaContiRestauroConservativo

 

 

I segreti della luce radente nel restauro

Chiunque si occupi di restauro conosce perfettamente i segreti della luce radente

Si tratta di un semplicissimo procedimento che si utilizza in fase di analisi dell’opera per valutarne lo stato di conservazione, per sondarne i dettagli e gli eventuali segreti.

Consiste nel porre una luce radente rispetto alla superficie  dell’opera sia essa un dipinto su tela, un affresco, una scagliola policroma, un intonaco o altro ancora

La superficie dell’opera d’arte a luce radente si spoglia di molte delle apparenze tipiche dell’illusione ottica e ci mostra la superficie della materia da un nuovo punto di vista.

Anche per gli addetti ai lavori analizzare una superficie dipinta a luce radente riserva  spesso sorprese inaspettate.

La visione si scompone immediatamente in un volume che era negato dal valore semantico del dipinto e ci svela le tracce della sua storia.

A luce radente possiamo analizzare la trama di una tela ed i punti di giunzione tra le patte

Un affresco visto a luce radente ci può mostrare i distacchi della superficie pittorica e dell’intonaco, le tracce dei ferri utilizzati per lisciare la superficie, tracce di chiodo o spolvero, le parti di intonaco risarcite o integrate e, qualche volta i ritocchi

La superficie di una scultura  in bronzo  o in terracotta ci può mostrare i punti di assemblaggio tra le porzioni scultoree

Per le superfici intonacate ci aiuta a stabilire i livelli, le sovrapposizioni e gli eventuali danni da distaccamento degli intonaci

Insomma la luce radente è un alleato fedelissimo per chi ama analizzare e comprendere  l’arte

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SilviaContiRestauroConservativo

 

Il ferro, tecniche e forme

Il ferro è un minerale estratto dalla profondità della terra, attraverso la creazione di miniere estrattive, che si trovano in quasi tutti i paesi del mondo.

La metallurgia è la disciplina che studia i metalli tra cui il ferro e le sue leghe.

Il ferro è un materiale molto diffuso ed ha trovato infiniti  utilizzi, sin dai tempi antichi, in svariate forme,  come elemento costituente  della meccanica, oppure come elemento di supporto e decorazione dell’architettura infine come espressione artistica e decorativa a se stante

Troviamo manufatti ferrosi utilizzati come elementi strutturali e non visibili all’interno dei pilastri in calcestruzzo, come anima strutturale delle mensole dei balconi decorativi in graniglia o stucco

La sua presenza nelle nostre città e nelle campagne è grandissima. Siamo attorniati di elementi metallici, dagli utensili agricoli alle chiuse di sistemi di irrigazione, alle ringhiere. Ma ciò che trovo di estremo interesse è come si adatti ad ogni  forma decorativa

Elementi decorativi di complemento all’architettura, grate, recinzioni, pinnacoli, borchie e maniglie di portoni ed altro ancora

Il ferro è sempre stato materia povera duttile e malleabile. Lavorabile con pochi semplici utensili.

Si ammorbidisce  al fuoco, si plasma mediante la battitura effettuata con magli o semplici martelli, si taglia, si fonde, si mescola ad altri minerali, si piega fino a prendere le più svariate forme

Le principali tecniche tradizionali di lavorazione del ferro, che possiamo riconoscere guardandoci attorno, osservando gli elementi decorativi di qualsiasi area urbana sono:

  •   La battitura a caldo: Una tecnica antica che prevede l’ammorbidimento del metallo attraverso il calore e la battitura dello stesso sino a plasmarne la materia nella forma desiderata: la battitura a caldo si riconosce dalle preziose imperfezioni della superficie metallica che riporta le tracce dei colpi del martello e i segni delle piegature con le tenaglie
  •  Lo stampo o forgiatura a stampo: forme decorative, foglie e fiori possono essere realizzate a mezzo di immissione del metallo fuso in stampi di ghisa oppure con la più diffusa tecnica della forgiatura a stampo, dove il metallo viene compresso da stampi pre formati che imprimono la forma
  • La forgiatura a mano: prevede, come la battitura a caldo, il riscaldamento del metallo e la battitura continua a mezzo di elementi meccanici, tipo magli o strumenti industriali, sino a dare alla materia la forma desiderata. La forgia da manufatti plasmati, lisci e di forme flessuose ma regolari
  • La trafilatura: una tecnica più recente, dalla rivoluzione industriale in poi. E la tecnica con la quale il metallo viene forzosamente indotto a  passare attraverso condotti sagomati che ne definiscono la forma, per estrusione. Con questa tecnica si formano aste, tubi e barre.
  • La laminazione  si utilizza per formare delle  lamine, può essere effettuata a mano, per battitura, per forgiatura oppure per processo meccanico industriale (a freddo oppure a caldo)

Può sembrare incredibile quante forme e decori si possano creare con queste poche  tecniche metallurgiche

Trovo molto divertente aggirarmi per le vie e cercare di individuare, suddividere e catalogare queste tecniche

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SilviaContiRestauroConservativo

 

La poetica del muro scrostato 2, l’analisi

“la poetica del muro scrostato 2, l’analisi”

Il muro scrostato è poesia per il restauratore, racchiude tutta la storia e le stratificazioni di un edificio storico e la sua lettura è un esercizio professionale, una lezione di storia, tecnica dei materiali ed antropologia culturale

  • Storia perché gli strati di intonaco sono stati eseguiti periodi diversi e di quei periodi storici ci raccontano i dettagli
  • Tecnica perché gli intonaci stratificati in epoche diverse seguono composizioni e tecniche diverse, seppur affini tra loro
  • Antropologia culturale perché ogni strato d’intonaco riflette il pensiero ed il comportamento dell’uomo in un dato periodo storico

Ecco ad esempio una lettura di una stratificazione di un intonaco sulla parete di un’antica torre. Il luogo è impervio eppure di uomini dotati di malta e cazzuole ve ne sono stati… parecchi

Ove vi sono cadute di tale entità è possibile leggere in senso stratigrafico un intonaco, esattamente come fosse un libro di storia

Un dato interessante è notare il comportamento diverso di due intonaci apparentemente identici, quello ottocentesco e quello della seconda metà del ‘900

queste le stratificazioni e mentre penso, mi godo il panorama

  

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SilviaContiRestauroConservativo

 

Descialbo

Parliamo di Descialbo

Per comprendere cosa sia il descialbo bisogna prima indagare la parola scialbo. Scialbo, oltre a significare smorto pallido e insignificante indica uno strato di colore a corpo steso sull’intonaco, deriva dal toscano. Spesso si riferisce ad uno strato di calce idrata lievemente pigmentata che ricopriva ampie porzioni dell’intonaco di un edificio.

Il descialbo alla lettera significa la rimozione dello scialbo, in realtà la parola “descialbo” non è Italiano corretto. In sostanza un neologismo che nel settore del restauro è entrato con prepotenza, come temine tecnico in sostituzione del più corretto e complicato “rimozione degli strati superficiali soprammessi”

La fase di lavorazione del descialbo, fa parte del vocabolario del restauro conservativo e costituisce quell’insieme di atti volti alla rimozione degli strati soprammessi da una superficie policroma, e più specificamente  un intonaco o un affresco

Nella maggior parte dei casi si effettua con bisturi e piccole spatole ma vi sono casi in cui lo scialbo ha uno spessore maggiore  e si può rimuovere con piccoli martelletti

 clicca per il video

In buona sostanza maggiore è lo spessore e più facile sarà la rimozione. La maggiore o minore difficoltà nella rimozione di uno scialbo soprammesso ad un affresco è dettata da una serie di fattori variabili che vanno dalla materia costituente lo scialbo, il grado di coesione della materia, il grado di adesione al supporto, eccetera.

Il più delle volte lo scialbo è costituito da uno strato di calce idrata stesa molto liquida nei periodi di pestilenza, con la funzione di disinfettare palazzi e chiese, ecco per quello scialbo non vi è altro mezzo che la rimozione a bisturi

Il descialbo è una delle fasi più complicate, lunghe, imprevedibili, tediose e che richiedono infinita pazienza, eppure per noi restauratori è una parola dal suono meraviglioso

Nella maggior parte dei casi descialbo è il sinonimo di ritrovamento di affreschi. La gioia più grande per un restauratore. Che altro desiderare!

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SilviaContiRestauroConservativo

Restauro – Nuovi materiali, come agire

Nel panorama del restauro i materiali da utilizzarsi nelle varie fasi di lavorazione hanno varie derivazioni.

Si sa, il restauro è una disciplina relativamente recente e, nella sua fase iniziale, come un saprofita si è avvalso degli studi e dei materiali nati per altri settori. Sperimentando di volta in volta, applicando  piccoli aggiustamenti procedurali il dato materiale al singolo intervento di restauro.  Sino a che non ha preso forma una categoria, più o meno eterogenea e variabile, di materiali specifici per il restauro.

Acque, solventi, agenti e reagenti, consolidanti, malte, stucchi, mestiche, batteri , cere, boli,  bitumi, adesivi, fissativi, pigmenti, resine e vernici.

Materie prime e composti complessi,  per comprendere i quali è necessaria una certa qual predisposizione all’alchimia. Penso alle ricette della colla – pasta per la foderatura dei dipinti, ogni area geografica, ogni scuola, ogni studio di restauro ha una propria ricetta. Ricette complesse onnicomprensive con mille e più accorgimenti metodologici, più o meno segreti, per raggiungere il risultato voluto.

    

In sostanza, vuoi per formazione vuoi per consuetudine i restauratori sono abituati ad avere a che fare con i materiali più diversi al fine di  svolgere il proprio mestiere.

Negli ultimi anni, seppur con un’intensità minore a quella riservata per altri settori, sono comparsi sul mercato nuovi materiali per il restauro. Stucchi e malte già pronti, prodotti per la pulitura, tutti ben confezionati e promettenti.

Ora, non si può che essere felici che l’industria si stia in qualche misura occupando di creare prodotti appositi per il restauro

    

Tuttavia vi è il rischio dell’immissione sul mercato di materiali per il restauro, detti tali solo al fine di accaparrarsi una fetta di mercato in più, ma nella sostanza del tutto identici a quelli già diffusi per altri settori, tipo quello dell’edilizia.

E’ nella natura del restauro e nell’attitudine dei restauratori cercare e sperimentare sempre nuovi materiali e nuove metodiche di restauro. Quindi ben vengano i nuovi materiali. Ma proprio per questo motivo è bene assumere un atteggiamento di analisi critica costruttiva nei confronti dei nuovi materiali, al fine di testarne la reale efficacia nel nostro settore.

Che ne caso del restauro significa sopratutto; compatibilità con il materiale da restaurare, durata nel tempo e reversibilità.

Innanzitutto avremo la necessità di verificare i contenuti reali di un dato prodotto, quindi inizieremo con reperire notizie chiedendo la scheda tecnica al produttore. Non dobbiamo ne possiamo fidarci delle informazioni commerciali che, il più delle volte, per rispondere a parametri di comprensibilità sono povere  di dettagli. Per deformazione professionale i prodotti definiti  “a base di…” mi suscitano una certa diffidenza, sopratutto quando accade di scoprire che l’elemento tanto decantato sull’etichetta quale “base” compare nella composizione reale  in un valore risibile.

I nuovi materiali vanno poi testati, esattamente come accade nell’industria farmaceutica, dopo la messa a punto in laboratorio  si giunge alla fase di sperimentazione. Così i nostri nuovi materiali andranno testati, da noi stessi, anche se le ditte produttrici lo hanno già fatto, affinché ognuno possa verificare se possano trovare utilizzo nei propri casi specifici di restauro.

Possibilmente utilizzeremo quale  test l’intonaco della nostra cantina, o la crosta dipinta del soggiorno della zia, oppure i gradini del giardino vicino  casa. In nessun caso va utilizzato un nuovo materiale non testato su di un manufatto di pregio. Daremo anche del tempo utile alle nostre prove  affinché gli eventuali elementi problematici possano emergere e palesarsi.

Poi ci confronteremo con i colleghi e verificheremo se qualcuno abbia già raccolto una casistica degna di nota dell’utilizzo del dato materiale … Infine, se proprio ne saremo convinti, potremo utilizzarlo.

… a questo punto della considerazione, chi non aveva la vocazione del restauratore si sarà già tramutato in una statua di sale.

Gli pseudo restauratori saranno alle prese con i danni prodotti dall’utilizzo di un materiale non testato.

Mentre i committenti e le direzioni lavori  si staranno chiedendo in quale girone infernale siano caduti, per  dover sopportare le nostre stranezze!

 

Testi e immagini SilviaConti©RestauroConservativo 

 

 

 

Colore

Colore

Tutti sappiamo cos’è il colore, riempie la vita di ognuno di noi, ogni giorno, tutto quanto ci attornia ha un colore; il cielo, il paesaggio, la nostra auto, le scarpe che indossiamo ed anche la nostra pelle, i nostri occhi e i nostri capelli. Potremmo ben dire che il colore è parte di noi.

Da un punto di vista fisico il colore è la capacità di una data  materia di rifrangere la luce o meglio il colore è ciò che il nostro cervello recepisce sotto forma di  radiazioni elettromagnetiche o frequenze di ciò che emana quella data materia in presenza di luce.

Se proviamo a pensare al significato profondo della percezione cromatica ci rendiamo conto di quanto il colore,  così amichevole e familiare ad ognuno di noi, nasconda un tema  vasto e complesso, direi ciclopico e come se non bastasse, in continua evoluzione. Basti dire che di colore si occupano la fisica, la chimica, la fisiologia, l’ottica, la psicologia e chissà quante altre scienze. Inoltre è materia della storia dell’arte, della simbologia, della filosofia e di chissà quante altre materie umanistiche.

Ogni patria, ogni religione, ogni congregazione, ogni associazione, ogni squadra sportiva, ogni società per azioni ha i propri colori resi simbolo in loghi, vessilli o bandiere.

I colori che meglio conosco e di cui posso occuparmi in questo mio blog sono quelli materiali, dalle caratteristiche chimico fisiche tangibili e misurabili, peso specifico, granulometria, acidità, basicità, potere colorante, stabilità alla luce, etc.

Sto parlando dei pigmenti

Nel restauro si usano i pigmenti puri, o quantomeno si dovrebbero usare, conoscerne le caratteristiche è fondamentale per la buona riuscita di un intervento di restauro. I pigmenti infatti hanno caratteristiche chimico fisiche peculiari che li rendono più o meno adatti all’utilizzo in una data situazione. Più o meno resistenti  alla calce quale medium o alla luce per esposizione.

             

I pigmenti si suddividono in categorie, classi e sotto classi

Innanzitutto possono essere organici o inorganici, naturali o di sintesi, la gamma è vastissima e in continua evoluzione. Restringerò quindi il campo ai pigmenti utilizzabili nel restauro che, guarda caso, corrispondono alla gamma dei pigmenti utilizzati nella maggior parte delle opere d’arte antiche (dipinti, affreschi ed opere policrome in genere).

I pigmenti della tradizione storica si possono raggruppare nelle seguenti categorie

  1. Pigmenti di terra o di cavatura
  2. Pigmenti minerali
  3. Pigmenti vegetali
  4. Pigmenti animali

Per dare un idea concreta di questa suddivisione farò alcuni esempi che certo non possono esaurire l’intera gamma:

I pigmenti di terra sono i più diffusi e variano dai gialli ocra alle terre d’ombra naturali o bruciate, ai bruni

 

I pigmenti minerali sono per lo più azzurri, alcuni verdi, blu, violetti ma anche il grigio grafite

    

I pigmenti vegetali sono alcuni verdi, alcuni gialli, il nero di vite

   

I pigmenti animali sono i rossi, tipo di cocciniglia o la porpora e il nero avorio

   

Nei prossimi articoli approfondirò il dettaglio alcuni singoli pigmenti

Una nota doverosa per gli ossidi , sono i colori in polvere più diffusi e meno costosi, nascono per l’industria della ceramica. Spesso vengono confusi con i pigmenti di cui sopra ma vanno utilizzati con cognizione di causa nell’arte in genere, mentre nel restauro non vanno utilizzati affatto, per via della loro instabilità, infatti questi colori trovano la loro stabilità solo a seguito di cottura.

Testi SilviaConti©RestauroConservativo

Color

We all know what color is, fills the lives of each of us, every day, everything that surrounds us has a color; the sky, the landscape, our car, the shoes we wear and even our skin, our eyes and our hair. We could say that color is part of us.

From a physical point of view, color is the ability of a given matter to refract light or rather color is what our brain transpires in the form of electromagnetic radiation or frequencies of what emits that given matter in the presence of light.

If we try to think about the deep meaning of color perception, we realize how color, so friendly and familiar to each of us, conceals a broad and complex theme, I would say cyclops and as if it were not enough, constantly evolving. Suffice to say that color is concerned with physics, chemistry, physiology, optics, psychology and many other sciences. It is also a matter of the history of art, of symbolism, of philosophy and of many other humanities.

Every homeland, every religion, every congregation, every association, every sports team, every corporation has their own colors rendered as symbols in logos, banners or flags.

The colors that I know best and which I can deal with in this blog are material materials, tangible and measurable physical chemical characteristics, specific weight, granulometry, acidity, basicity, coloring power, light stability, etc.

I’m talking about pigments

In the restoration pure pigments are used, or at least they should be used, to know the characteristics is essential for the successful restoration work. In fact, pigments have peculiar physical chemical characteristics that make them more or less suitable for use in a given situation. More or less resistant to lime as medium or light for exposure.

The pigments are divided into categories, classes and subclasses

First of all, they can be organic or inorganic, natural or synthesized, the range is vast and constantly evolving. I will then restrain the field to the pigments that can be used in the restoration which, by chance, correspond to the range of pigments used in most antique works (paintings, frescoes and polychrome works in general).

Elementi di portfolio