ed è una sensazione strana sentire quel soggetto parlare, così strano e così vicino a noi, quelle parole che ci appartengono ma non riconosciamo fino in fondo. Si poteva fare di più si poteva fare meglio!
Siete restauratori e non siete certi che quel collaboratore che avete assunto abbia la stoffa giusta del restauratore?
Ecco un metodo infallibile per riconoscere un restauratore e chi ne ha l’intrinseca attitudine; verificare il suo rapporto con i pennelli!
(il decalogo è scritto al femminile perché mentre scrivo, tra un risata e l’altra, mi vedo personalmente in tutte le situazioni descritte, ma si intende che si riferisce ai restauratori in genere)
Il decalogo:
La restauratrice consapevole o inespressa passa interminabili minuti dinanzi alla vetrina del colorificio e analizza ogni oggetto esposto con la stessa concentrazione che si potrebbe dedicare alla lettura di un testo sacro, le più esperte riescono a valutare la densità del pelo del pennello anche attraverso la vetrina
La restauratrice quando compra i pennelli li tocca, li accarezza, tasta delicatamente l’elasticità delle setole, ne controlla il corpo e, già che c’è, vede se la ghiera metallica è ben fatta e verifica che non sia troppo lenta e non sia soggetta a ruggine. Spesso è dubbiosa verso quelle ditte che incollano troppo le setole dei pennelli nuovi, potrebbero nascondere delle sorprese!
I pennelli sono una categoria dello spirito quindi evitate accuratamente di intavolare disquisizioni in merito. Ogni restauratore ha le proprie preferenze in quanto a pennelli e non sente ragioni … è una questione di fede: Piattine, tondi, ovalini, muccini, tiralinee, lingue di gatto, pennellesse. E poi i tipi di pelo: martora, vaio, bue, puzzola sintetici, setola. E poi la tipologia: rigidi, morbidi, che tengono i liquidi, che non assorbono, adatti alle sfumature, adatti al tratteggio. E poi i manici: corti, lunghi, tondi, piatti, stondati e chi più ne ha più ne metta
La restauratrice adora i pennelli nuovi ma, fatto salvo per alcuni impieghi nel ritocco minuto, sa benissimo che sono meno efficaci di quelli già usati ma non troppo. I pennelli hanno una stato di grazia quando le setole cominciano a consumarsi e lo conservano da un terzo della loro consunzione sino a metà circa. … e questo è un segreto da tramandare di generazione in generazione!
I pennelli vanno lavati. Sempre! Con acqua calda e sapone, meglio se di Marsiglia. Se si sono utilizzati materiali sintetici, prima il solvente e, a seguire il lavaggio ad acqua. La fase di lavaggio è l’unica dove è consentito, anzi propedeutico, aprire bene le setole del pennello per pulirlo alla base, per poi richiuderle accuratamente. Segreto fondamentale affinché il pennello duri più a lungo e non si apra all’apice durante l’uso. Chiunque spatagnerà il pennello aprendone le setole durante l’utilizzo potrebbe provocare un arresto cardiaco alla restauratrice … e comunque non è un restauratore!
La restauratrice si trasforma in un mostro a sette teste quando vede qualcuno nel cantiere che lascia i pennelli dentro a contenitori, con le setole appoggiate sul fondo del barattolo anziché rivolti all’insù. Non importa se si tratti di altri artigiani che non lavorano con lei, inorridisce e basta! Fatto salvo per i muratori, per i quali si è perduta ogni speranza, da tempo.
Qualora il soggetto di cui sopra, colui o colei che ha lasciato il pennello a prendere strane forme sul fondo del barattolo, fosse per caso un collaboratore della restauratrice stessa, si scordi di avere un rinnovo del suo contratto. Ha fatto l’errore fatale!
Se lo stesso soggetto lo avesse lasciato pure sporco … non è un restauratore!
I pennelli hanno una sorta di gerarchia sociale intrinseca. Vengono suddivisi a seconda della qualità iniziale e del grado di consunzione. Una vera e propria meritocrazia. I pennelli nuovi si usano poco perché, fotto salvo la gioia alla vista, spesso non sono perfetti all’utilizzo, quelli mediamente utilizzati sono come vecchi amici che ci accompagnano durante il lavoro e pare ne sappiano più di noi. Quelli molto consunti vengono passati dal reparto ritocco a quello delle puliture e lavoreranno ancora a lungo. Quelli molto, molto consunti passano alla categoria spazzolino, dove saranno apprezzatissimi. Quelli distrutti … non si buttano, sono utilissimi per mescolare i liquidi! Così ci si ritrova a lavorare con pennelli risalenti ad ere geologiche lontanissime!
La restauratrice compra pennelli anche quando non le servono, se li concede come fossero una maglia nuova o un paio di scarpe, insomma … una componente del proprio bagaglio personale. Inutile dire che la bontà del negozio preferito dalla restauratrice viene stabilita a seconda dei tipi di pennelli che commercializza!
E voi che mi dite dei pennelli? Avete altri aneddoti, altri dogmi? inseriteli nei commenti!
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/12/IMG_1816.jpg29143801Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-04-14 08:48:542019-04-14 08:48:54Pennelli e restauratori Il Decalogo
Questo articolo per parlare di ciò che non vorrei trattare e neppure vedere, gli strappi di affresco.
Eppure la materia ha suscitato negli anni, e continua a suscitare, uno smodato interesse. Capita infatti di incontrare interlocutori che non sanno esattamente nulla di arte o di affreschi ma l’unica vaga percezione che hanno in materia d’arte è che gli affreschi si possono strappare, in qualche misura sanno cos’è uno “strappo” e vorrebbero saperne di più. E ti chiedono come si fa!
In molti anni di professione del restauro è forse la domanda più frequente che mi è stata rivolta, dalle persone più diverse con la formazione culturale più disparata.
Mi sono trovata spesso a chiedermi perché, perché in una materia dove nessuno vuole approfondire nulla vi sia questo spiraglio di esigenza, bisogno, richiesta incessante di nozioni tecniche. Che meraviglia potremmo dire! Finalmente un aspetto del lavoro del restauratore che suscita interesse culturale
E invece spaventa, vi è qualcosa di diverso, pruriginoso, di vagamente perverso. Credo sia connesso al possesso di qualcosa di irraggiungibile, qualcosa di simile al concetto di trofeo
Eppure basterebbe guardare con attenzione uno strappo d’affresco per comprendere che tale tecnica si dovrebbe dimenticare. Premesso che spesso la tecnica dello strappo è stata utilizzata come ultima ratio al fine di preservare dei dipinti che altrimenti sarebbero scomparsi così come l’immobile sul quale si trovavano.
Ciò detto la principale problematica legata agli strappi di affresco è connessa al loro mutato contesto. Nati per essere parte integrante di una parete interna o esterna di un palazzo nobiliare o di una chiesa, ne narravano i dettami stilistico e simbolici. Per cui un affresco di un palazzo nobile avrà avuto riferimenti simbolici al casato, alle proprietà oppure alle gesta dei proprietari. Così su di una chiesa si sarà narrato del santo protettore o della confraternita a cui apparteneva l’edificio stesso. Le stesse decorazioni aniconiche avranno avuto in se il gusto ed il pensiero di quel luogo di quel tempo e di quelle genti.
I casi in cui l’affresco strappato è ricollocato in loco, non ha subito quindi decontestualizzazione, ne risulta comunque spesso impoverito
I nostri musei sono ricolmi di strappi di affreschi che hanno perduto il loro contesto e la loro storia e dei quali possiamo leggere etichette del tipo. “.. si presume provenga dall’antica Chiesa di .. oggi distrutta” Testimonianze ormai mute di una storia narrata. Racconti mozzati in lingue sconosciute, troppi elementi mancanti per poter comprendere con precisione il significato.
E li possiamo vedere quegli strappi che, per bene siano stati eseguiti, suscitano sempre la medesima sensazione che si prova osservando degli animali impagliati al museo di scienze naturali. Un manufatto un tempo vivo che oggi manifesta la sua mortifera sussistenza.
Si perché gli affreschi vivono sui muri assorbono la luce, restituiscono forme e colori si illuminano al sole e si rabbuiano di notte. Respirano calce e aria, dalla loro superficie millimetrica traspare una profondità ancor più ampia di quella della muratura su cui insistono, vivono, invecchiano e degradano. Comunque vivono molto più di noi e sono li per raccontarci storie antiche, basta ascoltarli. Strapparli è come ammutolirli e metterli in formalina .
Noi restauratori proviamo a farli vivere più a lungo ma nel rispetto della loro essenza.
In questo articolo vorrei approfondire il tema del restauro, ovvero della conservazione di quegli apparati effimeri nati per essere temporanei.
Accade spesso nel campo del restauro di trovarsi a conservare ciò che era nato con la vocazione istantanea della transitorietà
Eppure noi restauratori e con noi i conservatori, non possiamo resistere. Contro ogni rigore ideologico andiamo i direzione opposta ai dettami dell’arte, contro la volontà dell’artista, a volte contro le leggi della fisica e ci intestardiamo a conservare tutto, ma proprio tutto
I casi sono molti; Stendardi processionali, scenografie, apparati effimeri per celebrazioni religiose o civili, opere d’arte contemporanea nate per essere transitorie o dichiaratamente distrutte, pensiamo ad esempio alla “eat Art”… Arte da inghiottire? Non ve la lasceremo mangiare ma correremo come pazzi per metterla sottovuoto o in chissà quale liquido mortifero e antibatterico . Per non parlare delle opere cartacee; piccole pubblicazioni, libelli, appunti tutto rigorosamente da conservare!
Da un punto di vista ideologico, in questi casi specifici, l’atto del restauro è in dichiarata antitesi con l’essenza dell’opera ma è del tutto funzionale al tramandare il pensiero di un’epoca nel tempo
Spesso l’analisi ravvicinata di un opera stessa consente di intravedere la sua intrinseca prospettiva di vita e, se è del tutto chiara l’intenzione di un affresco, di un dipinto su tavola o di una scultura di voler durare il più possibile nel tempo. Questo è meno palese in opere effimere come gli apparati decorativi su carta i grandi dipinti a tempera ed altre svariate opere.
Eppure in quelle opere transitorie vi è l’essenza della vita quotidiana, del pensiero comune, vi è il respiro di un epoca. Vi sono gli affanni per i problemi economici, le banalità quotidiane ed i sogni.
Pensiamo a quello che ci comunicano le scritte vandaliche accuratamente conservate a Pompei, ci hanno consentito di comprendere lo spirito della vita di quel periodo, molto più efficacemente di quanto avrebbe potuto fare una grande e fiera scultura equestre
Quindi non c’è nulla da fare, nessuna teoria e nessun pensiero artistico o filosofico ci convincerà mai a lasciare che queste fragili opere possano durare un giorno in meno di quanto potremmo garantire con il nostro lavoro
Questo articolo mi è stato ispirato da un intervento che sto attuando in questo momento, un soffitto in carta dipinta su supporto in tela dell’Accademia di Belle Arti Tadini, al quale presto dedicherò un articolo
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/11/IMG_1245.jpg30244032Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-11-14 07:40:412020-04-21 09:27:58Il dilemma della transitorietà
Non ce ne siamo accorti, eppure in qualche momento della nostra storia si è perduto un connubio prezioso che rendeva unica la nostra arte
Parlo del legame tra arte ed architettura
Nel restauro sono classificate come superfici decorate dell’architettura, molti restauratori vi dedicano la vita professionale, molti storici dell’arte i loro studi
Vorrei focalizzare l’attenzione sullo stretto connubio, che le più antiche e belle città del mondo mostrano tra arte ed architettura. Per meglio comprendere il valore di questo legame perduto proviamo a pensare a cosa rende grande la nostra arte e rende uniche le nostre città storiche.
Potremmo dire l’urbanistica, i sontuosi palazzi, i dipinti nei musei e nelle chiese. Certamente! Ma la caratteristica peculiare di di quei palazzi e quelle cattedrali che ci fanno stare estasiati a testa in sù, sono le espressioni artistiche strettamente connesse al manufatto architettonico, nate per esservi indissolubilmente legate.
Mi riferisco ai dipinti a fresco, mezzi freschi, pitture a calce, decori a secco, graffiti, stucchi, soffitti lignei scolpiti e policromi e poi le opere lapidee come portali, portoni, sculture, colonne, mensole scolpite ed istoriate, capitelli istoriati, i mosaici e gli encausti
Tutte queste tecniche artistiche sono nate per decorare palazzi e chiese, e contribuiscono a rendere indissolubile il legame tra superficie dell’architettura ed espressione artistica
Non ce ne siamo accorti, ma in qualche momento della nostra storia ci siamo perduti questo anello, questo legame. L’evoluzione storica certo, la nascita di nuovi materiali e di un nuovo gusto. Una nuova economia che ha necessità di ritmo, produttività e velocità che aborrisce la lentezza. Forse lo abbiamo creduto ovvio e naturale
Così gli architetti, ad un certo momento della loro evoluzione professionale, anziché ricercare un accordo con il Michelangelo del futuro per trovare un equilibrio tra il genio espressivo e la finalità progettuale. Si sono trovati a sperimentare nuovi materiali dal gusto antico e a scegliere le piastrelle e le finiture da una catasta di cataloghi.
Allo stesso tempo gli artisti più apprezzati e quotati oggi progettano e realizzano le loro opere per ambientazioni spesso astratte, nella migliore delle ipotesi possono finire al centro di uno svincolo cittadino o in una teca nell’androne di un palazzo, ma sempre a se stanti, belle e sole, il più delle volte avulse dal contesto.
Abbiamo perduto qualcosa di prezioso la capacità di collaborare nel reciproco rispetto per creare qualcosa di più grande della somma delle singole professionalità. Confido nei corsi e ricorsi storici e attendo paziente che torni questo grande amore
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/09/IMG_9666.jpg40323024Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-09-07 08:34:562018-09-07 10:06:27Il legame perduto tra arte ed architettura
Vi state chiedendo cosa sia mai la nevrosi del filo a piombo?
È una diffusa patologia che colpisce gli organi sensoriali di progettisti ed operatori in ambito architettonico ed è ben tollerata, anzi auspicabile, sino a che si estrinseca nei casi di progettazione dei grattacieli o delle villette a schiera con cappotto termico in polistirolo espanso. I problemi, anche gravi, insorgono nei casi in cui la patologia si manifesti in ambiti di restauro architettonico. In quel contesto specifico può avere effetti terribili, ma non per gli operatori che ne sono affetti, bensì per i beni sottoposti alle loro attenzioni!
È quella deviazione per cui ogni superficie dell’architettura, nei suoi rapporti intrinseci di piani e volumi, debba essere perfettamente lineare, ortogonale, parallela o perpendicolare
Linee dritte come saette che uniscono la sommità della copertura sino al piano di calpestio. Fughe prospettiche che paiono lame di coltelli, pareti piatte come lastre di vetro. Ci sono si anche angoli che non siano a novanta gradi, certo che sono ammessi. Quarantacinque, trenta? Ma che siano precisi!
Bene, direte voi, qual’è il problema? L’architettura è fatta da piani e volumi che si intersecano lungo linee parallele e ortogonali tra loro
Vero, ma se guardiamo con attenzione l’architettura storica, anche la più precisa e geometrica come quella di Palladio, ad esempio,
noteremo che le superfici non sono piattissime, gli spigoli non sono vivi, i raccordi tra modanature e sotto squadri non sempre sono a novanta gradi. Tutte le superfici, quelle antiche originali, se le guardate con attenzione, hanno delle minime imperfezioni. Le ampie pareti hanno impercettibili avvallamenti, gli spigoli hanno linee che curvano e si arrotondano anche se minimamente e non era solo per la tecnica o la tecnologia mancante all’epoca, ma era una scelta di gusto e la dobbiamo rispettare.
Ora, se il progettista o l’operatore dell’architettura si trova ad intervenire sulle superfici siano esse di intonaco o stucco di un bene architettonico storico e, per via della sua nevrosi del filo a piombo ci raddrizza ogni imperfezione. Il risultato sarà terribile. La nostra chiesa o il nostro palazzo assumerà l’aspetto di una qualsiasi villetta a schiera dell’hinterland delle nostre città, (fatto salvo la differenza dimensionale)
Ciò che ci fa innamorare dell’architettura storica e che la rende unica rispetto agli edifici contemporanei sono quelle minime imperfezioni delle sue superfici, che nulla tolgono alla grandiosità dell’opera, semmai la rendono unica e irripetibile. Rendere rettilineo tutto quello che si trova, corrisponde a soffocare un bene architettonico, a togliergli respiro, espressione e vita
Oh voi che potete, curate quella mortifera malattia della nevrosi del filo a piombo o nulla della nostra architettura antica si salverà!
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/08/IMG_2324.jpg24483264Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-08-31 08:54:572018-08-31 12:58:43La nevrosi del filo a piombo nel restauro
Il mondo della terracotta, come già mi è capitato di trattare su questo blog, è molto vasto per cui si rende utile suddividerlo in macro aree al fine di poterlo comprendere ed indagare al meglio.
Questo secondo articolo sulla terracotta si occuperà di un aspetto apparentemente banale, ma su cui ritengo utile indirizzare l’interesse e l’osservazione è il decoro modulare dell’architettura, ovviamente in terracotta
Se prestiamo attenzione i dettagli o motivi decorativi modulari nell’architettura in laterizio di terracotta sono veramente molti, possono riguardare porzioni sotto gronda, cornicioni, balconi, portali d’ingresso, pennacchi e comignoli
Tutti elementi decorativi che derivano dalla natura modulare intrinseca al mattone o laterizio in terracotta
È una particolare tecnica decorativa che spesso è la risultante dal semplice posizionamento di una fila di mattoni in terracotta con un angolazione lievemente ruotata, così da creare un elemento decorativo modulare.
Una tecnica semplice ed economica ma di grande impatto decorativo
Questa tecnica decorativa è molto diffusa nell’edilizia storica e monumentale sino all’archeologia industriale. Copre un arco temporale estremamente vasto, che va dal medioevo alla prima metà del ‘900, ma se indaghiamo con attenzione ne troveremo anche prima e dopo tale periodo
Gli elementi modulari che creano dettagli decorativi, nell’architettura storica tendono ad avere oltre che un allettamento ruotato o angolare dei mattoni, anche degli specifici elementi decorativi, magari semplici e a stampo ma che collocati consequenzialmente assumono un andamento modulare ed un aspetto decorativo imponente. Archetti ciechi, colonne tortili, motivi floreali ed altro ancora
Questa stessa tecnica nell’edilizia ottocentesca o nei capannoni dedicati all’artigianato o all’industria è sfrondata dagli elementi decorativi a stampo, resa essenziale e ancor più economica ma tuttavia molto efficace sotto il profilo estetico
Nell’archeologia industriale si utilizza come base decorativa il semplice mattone da costruzione, variandone l’allettamento
Vediamo alcuni esempi: nell’immagine sotto un balcone i cui motivi decorativi sono disegnati dal posizionamento verticale e orizzontale del mattone e dai vuoti da essi lasciati
Nel seguente decoro sotto gronda abbiamo un posizionamento a 45 gradi longitudinale che crea l’effetto cornicione e 45 gradi orizzontale che crea il decoro della fascia
Chissà quanti ne vedrete ogni giorno di questi decori ed ora ne troverete a bizzeffe , buona ricerca
Con questo titolo da manualistica frivola vorrei in realtà indagare una problematica molto diffusa, potremmo definirlo un tranello che ogni addetto ai lavori, ogni esperto d’arte ed ogni appassionato, prima o poi incontra. Parlo della probabile confusione tra due stili e la possibilità di errore nella datazione di un oggetto apparentemente medievale che in realtà è ottocentesco
Tutti sappiamo che il neo gotico, tendenza stilistica affermatasi nel XIX secolo che amava e ambiva imitare il gotico. Lo imitava così accuratamente, nello stile e nella forma che oggi, complice la patina che ormai ricopre anche le opere neogotiche, diviene di difficile distinzione
La questione può sembrare banale all’apparenza. I due stili, in cui il secondo imita il primo in un ritorno di fortuna critica, sono distanziati da 5 ai 7 secoli, a seconda dei casi e delle aree geografiche. Eppure i falsi medievali sono all’ordine del giorno, tenendo presente che molti edifici medievali sono stati “restaurati” con gusto neogotico nell’ottocento. In quei casi specifici vi saranno parti originali e porzioni neogotiche che convivono sulla medesima facciata
Vediamo come la disciplina del restauro può contribuire a distinguere questi due stili in questo decalogo
In linea generale il neogotico tende a idealizzare e perfezionare il gotico originale perciò, tende a renderlo più lucido, preciso, speculare e rigido. Questo si manifesta in tutte le espressioni artistiche dall’architettura alla pittura, alla gioielleria, alle vetrate, ecc
Gli intonaci ci offrono uno spunto molto utile. Nello stile neo gotico gli intonaci sono generalmente di granulometria sottile, lisci e compatti. Composti dal legante minerale ( calce idrata) e, per lo più da un inerte unico, spesso sabbia di fiume ben vagliata.
La scultura neo gotica utilizza spesso materiali che non erano in uso nel medio evo; sia per quanto riguarda la materia prima da scolpire (predilige pietre dure e compatte che tengano il taglio), sia per quanto attiene gli attrezzi da scultura. Se si osserva con attenzione si troveranno tracce di attrezzi più avanzati che consentono la definizione di forme più precise e una lucidatura superficiale. Tuttavia la scultura è l’espressione artistica che riesce meglio ad ingannare, soprattutto quando è realizzata sulla pietra arenaria, che degradandosi e perdendo gli strati superficiali, rende difficile il riconoscimento
I colori, il periodo neo gotico corrisponde alla rivoluzione industriale ed alla nascita dei colori in tubetto, oltre che alla messa a punto di nuovi pigmenti, pertanto un analisi chimica potrebbe aiutare molto a distinguere pigmenti antichi da quelli nati nel XIX sec.
Il blu merita una nota a parte, nella pittura in genere, nel periodo neo gotico si tende a sostituire il blu cobalto ed il lapislazzuli con il blu oltremare. Saper distinguere a occhio questi pigmenti aiuta molto nell’individuazione della giusta collocazione storica
Le dorature, il neo gotico adora le dorature e spesso ne abusa, dal punto di vista tecnico sono realizzate come quelle medievali ma il bolo e la mestica preparatoria possono differire parecchio e svelarci dei segreti
I bianchi, così come i blu sono un distinguo fondamentale nel periodo neo gotico si utilizzano i bianchi più bianchi, si abbandona la calce e la biacca per indirizzarsi verso i nuovi prodotto come il bianco di zinco
Le tecniche sono spesso simili a quelle antiche ma vi si trovano piccoli distinguo, ad esempio i dipinti murali sono sempre meno a fresco e più a secco, questi ultimi utilizzano spesso un colore bianco uniforme di fondo e supporto per il dipinto e prediligono le superfici lisce e compatte.
I mosaici sono generalmente distinguibili per un enfasi del dettaglio e della narrazione dell’iconografia, ma anche dal colore delle tessere di pasta vitrea nonché dalla modalità di allettamento delle tessere stesse.
I documenti, infine non si possono che citare i documenti, per il periodo neogotico sono molto più presenti che per il medioevo pertanto vi consiglio di cercare, scavare, scartabellare e, alla fine qualche documento della vostra opera neogotica emergerà
Buona ricerca a tutti
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/08/IMG_0979.jpg24483264Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-08-14 08:43:282018-08-16 11:24:46Gotico o Neogotico? Il decalogo del restauratore
È convinzione comune che i muri non possano ascoltare, sarà forse vero, ma quel che è certo e che i muri sanno parlare, raccontano delle storie affascinanti a tratti avvincenti. Non possiamo non ascoltarle perché la loro è anche la nostra storia
Adoro guardare i muri, sfiorare le superfici ed ascoltare la loro voce, certo potrei essere considerata “strana” ma non so resistere … vediamo se riesco a traviare anche voi!
Ecco un esempio
Questo è un muro di recinzione annesso ad un palazzo storico della città di Brescia. Questo muro circonda l’area di pertinenza, il cortile, che forse prima è stato giardino. È costruito in laterizi e conci di pietra calcarea bianca o marmo di Botticino, probabilmente conci di riuso, derivanti da qualche edificazione più antica o addirittura frammenti di muratura antica utilizzati come piede della muratura
Per cominciare vediamo una lettura stratigrafica
Poi individuiamo i tamponamenti
I tamponamenti delle antiche aperture per via della tecnica con la quale sono eseguiti, sono comunque piuttosto antichi, potrebbero essere seicenteschi
Infine analizziamo i dettagli
È molto interessante notare che, all’interno dello spessore dei tamponamenti vi è un intonaco di finitura di grande qualità, realizzato con tecnica a fresco , li possiamo intravedere dalle fessure lasciate dai conci di tamponamento
Questo ed altri dettagli ci dicono che il nostro muro era una porzione di edificio piuttosto importante
Troviamo un bellissimo lacerto di affresco quattrocentesco, lasciato intravedere da una caduta dell’intonaco, si trova al di sopra di una delle aperture tamponate, ed ha uno stato di conservazione molto preoccupante. Una testimonianza storica di estremo interesse che ci racconta molto di quel muro e di ciò che poterebbe essere stato in precedenza
In estrema sintesi il muro analizzato potrebbe essere stato un edificio quattrocentesco, con affreschi di finitura che a sua volta aveva utilizzato i frammenti di edificazione preesistenti. Una costruzione complessa con stratificazioni successive, che nel ‘600 è stato inglobato quale muro di cinta di un sontuoso palazzo. In quel periodo è stato tutto ricoperto da intonaco, che in tempi recenti ha subito rinzaffi cementizi e le cadute che ci hanno consentito la lettura
Questa un ipotesi di lettura, fatemi sapere le vostre interpretazioni
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/07/IMG_8986.jpg30244032Assistenzahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngAssistenza2018-07-24 08:23:092018-07-24 08:58:37Storia di un muro qualunque
Chiunque si occupi di restauro conosce perfettamente i segreti della luce radente
Si tratta di un semplicissimo procedimento che si utilizza in fase di analisi dell’opera per valutarne lo stato di conservazione, per sondarne i dettagli e gli eventuali segreti.
Consiste nel porre una luce radente rispetto alla superficie dell’opera sia essa un dipinto su tela, un affresco, una scagliola policroma, un intonaco o altro ancora
La superficie dell’opera d’arte a luce radente si spoglia di molte delle apparenze tipiche dell’illusione ottica e ci mostra la superficie della materia da un nuovo punto di vista.
Anche per gli addetti ai lavori analizzare una superficie dipinta a luce radente riserva spesso sorprese inaspettate.
La visione si scompone immediatamente in un volume che era negato dal valore semantico del dipinto e ci svela le tracce della sua storia.
A luce radente possiamo analizzare la trama di una tela ed i punti di giunzione tra le patte
Un affresco visto a luce radente ci può mostrare i distacchi della superficie pittorica e dell’intonaco, le tracce dei ferri utilizzati per lisciare la superficie, tracce di chiodo o spolvero, le parti di intonaco risarcite o integrate e, qualche volta i ritocchi
La superficie di una scultura in bronzo o in terracotta ci può mostrare i punti di assemblaggio tra le porzioni scultoree
Per le superfici intonacate ci aiuta a stabilire i livelli, le sovrapposizioni e gli eventuali danni da distaccamento degli intonaci
Insomma la luce radente è un alleato fedelissimo per chi ama analizzare e comprendere l’arte
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/07/S.Maria_ioa1187.jpg11311696Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-07-19 08:17:562018-07-20 07:46:44I segreti della luce radente nel restauro
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