Gli interventi su palazzi storici o su complessi urbani vedono l’intersecarsi di molte discipline, due in particolare l’edilizia ed il restauro, due discipline che si trovano a lavorare sugli stessi manufatti, “gomito a gomito” ma sono e restano ben distinte tra loro.
Possiamo affermare che il restauro architettonico convive con l’edilizia, che ha delle fasi di lavorazione se non simili confondibili, ma ciò non equipara le due tipologie d’intervento
Spesso i termini di ristrutturazione e restauro vengono utilizzati impropriamente come sinonimi.
Il concetto di restauro delle grandi opere è divenuto liquido e malleabile, per questo spesso viene utilizzato impropriamente, qualche volta con furbizia e dolo, qualche volta per mera insipienza. Tutti sappiamo che per ragioni burocratiche passano per opere di restauro interventi che prevedono percentuali inferiori al 10% di restauro conservativo vero e proprio. Ma la burocrazia non dev’essere una scusa per trasformare in restauro ciò che restauro non è!
Soprattutto tra gli addetti all’edilizia e della parte commerciale immobiliare resta una grande confusione su cosa sia restauro e cosa edilizia. Così per dare un piccolo contributo a chiarire le aree di pertinenza di specifiche fasi di lavorazione che possono essere ascrivibili ad entrambe le categorie. Ne elencherò alcune indicando ciò che è restauro e quindi va realizzato da restauratori e ciò che è edilizia e quindi può essere realizzato da muratori, carpentieri, imbianchini, serramentisti, ecc
Ecco l’elenco
Scoperchiare un edificio e rifare la copertura è EDILIZIA
Rimuovere il manto di copertura di un edificio, conservare i coppi antichi, pulire, conservare, consolidare e trattare il legname , quindi riposizionare il manto di copertura integrando le sole parti mancanti con coppi simili è RESTAURO
Demolire un edificio per poi ricostruirlo uguale, uguale è EDILIZIA
Cambiare destinazione d’uso e trasformare un palazzo nobiliare in un condominio è EDILIZIA
Cambiare destinazione d’uso, suddividere un palazzo nobiliare con setti mobili e distinguibili, dove possibile trasparenti, conservando ogni elemento materiale sia di interesse storico artistico utilizzando per ogni materia la specifica tecnica di restauro (scale, affreschi, porte, pavimenti, soffitti lignei, vetri antichi, ecc) è RESTAURO
Bucare un soffitto a volta o demolirla in parte per farci passare una scala di collegamento è … EDILIZIA
Trovare soluzioni rispettose e compatibili con il palazzo storico è RISTRUTTURAZIONE compatibile con il RESTAURO
Scavare tracce nei muri per il nuovo impianto elettrico è EDILIZIA
Progettare impianti elettrici esterni e corpi illuminanti che riutilizzino vecchi alloggiamenti è RISTRUTTURAZIONE compatibile con il RESTAURO
Rifare i solai in CLS è EDILIZIA
Consolidare i solai è RESTAURO
Uniformare e regolarizzare le aperture di una facciata è EDILIZIA
Conservare tutto quel che c’è, che ci piaccia oppure no è RESTAURO
Demolire gli intonaci è EDILIZIA
Demolire stuccature cementizie avendo cura di salvaguardare i lacerti di intonaco antico, previa esecuzione di opportuni consolidamenti e stuccature salvabordo è RESTAURO
Stendere una “rasatura” di intonaco o intonachino e ricoprire tutto quello che c’è così “diviene più uniforme”, è EDILIZIA
Spianare le pareti, annullare le ondulazioni, raddrizzare gli spigoli e rendere tutto “a piombo” è EDILIZIA
Seguire gli andamenti naturali storici o storicizzati degli intonaci è RESTAURO
Demolire l’intonaco per mettere in mostra la tecnica costruttiva della pietra o del mattone sottostante è EDILIZIA
Ripristinare le porzioni di intonaco mancante, con intonaco di uguale composizione e granulometria di quello originale, avendo cura di non coprire i lacerti originali è RESTAURO
Eseguire stuccature spalmando e sfumando la malta per decine di centimetri oltre la mancanza è EDILIZIA
Eseguire stuccature fermandosi sulla rima della mancanza è RESTAURO
Cambiare il colore ad un palazzo storico (disconoscendo le stratigrafie) solo perché al committente “piace il giallo” oppure perché si intona meglio al contesto è EDILIZIA
Consolidare gli intonaci con acqua di calce o silicato di potassio è RESTAURO
Stendere una “mano” di aggrappante o isolante prima della tinteggiatura finale è EDILIZIA
Tinteggiare con colori acrilici e al quarzo è EDILIZIA
Velare, integrare, ritoccare, armonizzare i colori esistenti con pigmenti e materiali della tradizione è RESTAURO
Queste sono solo alcune delle fasi che più comunemente sono soggette a confusione tra le due categorie, ma ve ne sono certo molte altre. Chi volesse contribuire alla distinzione, aggiunga altre fasi nei commenti
Testi e immagini
SilviaConti RestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2019/12/IMG_5964-e1576404704486.jpeg30322274Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2019-12-16 08:39:592019-12-18 09:08:31Restauro ed edilizia ... trova le differenze
Questo articolo per parlare di ciò che non vorrei trattare e neppure vedere, gli strappi di affresco.
Eppure la materia ha suscitato negli anni, e continua a suscitare, uno smodato interesse. Capita infatti di incontrare interlocutori che non sanno esattamente nulla di arte o di affreschi ma l’unica vaga percezione che hanno in materia d’arte è che gli affreschi si possono strappare, in qualche misura sanno cos’è uno “strappo” e vorrebbero saperne di più. E ti chiedono come si fa!
In molti anni di professione del restauro è forse la domanda più frequente che mi è stata rivolta, dalle persone più diverse con la formazione culturale più disparata.
Mi sono trovata spesso a chiedermi perché, perché in una materia dove nessuno vuole approfondire nulla vi sia questo spiraglio di esigenza, bisogno, richiesta incessante di nozioni tecniche. Che meraviglia potremmo dire! Finalmente un aspetto del lavoro del restauratore che suscita interesse culturale
E invece spaventa, vi è qualcosa di diverso, pruriginoso, di vagamente perverso. Credo sia connesso al possesso di qualcosa di irraggiungibile, qualcosa di simile al concetto di trofeo
Eppure basterebbe guardare con attenzione uno strappo d’affresco per comprendere che tale tecnica si dovrebbe dimenticare. Premesso che spesso la tecnica dello strappo è stata utilizzata come ultima ratio al fine di preservare dei dipinti che altrimenti sarebbero scomparsi così come l’immobile sul quale si trovavano.
Ciò detto la principale problematica legata agli strappi di affresco è connessa al loro mutato contesto. Nati per essere parte integrante di una parete interna o esterna di un palazzo nobiliare o di una chiesa, ne narravano i dettami stilistico e simbolici. Per cui un affresco di un palazzo nobile avrà avuto riferimenti simbolici al casato, alle proprietà oppure alle gesta dei proprietari. Così su di una chiesa si sarà narrato del santo protettore o della confraternita a cui apparteneva l’edificio stesso. Le stesse decorazioni aniconiche avranno avuto in se il gusto ed il pensiero di quel luogo di quel tempo e di quelle genti.
I casi in cui l’affresco strappato è ricollocato in loco, non ha subito quindi decontestualizzazione, ne risulta comunque spesso impoverito
I nostri musei sono ricolmi di strappi di affreschi che hanno perduto il loro contesto e la loro storia e dei quali possiamo leggere etichette del tipo. “.. si presume provenga dall’antica Chiesa di .. oggi distrutta” Testimonianze ormai mute di una storia narrata. Racconti mozzati in lingue sconosciute, troppi elementi mancanti per poter comprendere con precisione il significato.
E li possiamo vedere quegli strappi che, per bene siano stati eseguiti, suscitano sempre la medesima sensazione che si prova osservando degli animali impagliati al museo di scienze naturali. Un manufatto un tempo vivo che oggi manifesta la sua mortifera sussistenza.
Si perché gli affreschi vivono sui muri assorbono la luce, restituiscono forme e colori si illuminano al sole e si rabbuiano di notte. Respirano calce e aria, dalla loro superficie millimetrica traspare una profondità ancor più ampia di quella della muratura su cui insistono, vivono, invecchiano e degradano. Comunque vivono molto più di noi e sono li per raccontarci storie antiche, basta ascoltarli. Strapparli è come ammutolirli e metterli in formalina .
Noi restauratori proviamo a farli vivere più a lungo ma nel rispetto della loro essenza.
Vi state chiedendo cosa sia mai la nevrosi del filo a piombo?
È una diffusa patologia che colpisce gli organi sensoriali di progettisti ed operatori in ambito architettonico ed è ben tollerata, anzi auspicabile, sino a che si estrinseca nei casi di progettazione dei grattacieli o delle villette a schiera con cappotto termico in polistirolo espanso. I problemi, anche gravi, insorgono nei casi in cui la patologia si manifesti in ambiti di restauro architettonico. In quel contesto specifico può avere effetti terribili, ma non per gli operatori che ne sono affetti, bensì per i beni sottoposti alle loro attenzioni!
È quella deviazione per cui ogni superficie dell’architettura, nei suoi rapporti intrinseci di piani e volumi, debba essere perfettamente lineare, ortogonale, parallela o perpendicolare
Linee dritte come saette che uniscono la sommità della copertura sino al piano di calpestio. Fughe prospettiche che paiono lame di coltelli, pareti piatte come lastre di vetro. Ci sono si anche angoli che non siano a novanta gradi, certo che sono ammessi. Quarantacinque, trenta? Ma che siano precisi!
Bene, direte voi, qual’è il problema? L’architettura è fatta da piani e volumi che si intersecano lungo linee parallele e ortogonali tra loro
Vero, ma se guardiamo con attenzione l’architettura storica, anche la più precisa e geometrica come quella di Palladio, ad esempio,
noteremo che le superfici non sono piattissime, gli spigoli non sono vivi, i raccordi tra modanature e sotto squadri non sempre sono a novanta gradi. Tutte le superfici, quelle antiche originali, se le guardate con attenzione, hanno delle minime imperfezioni. Le ampie pareti hanno impercettibili avvallamenti, gli spigoli hanno linee che curvano e si arrotondano anche se minimamente e non era solo per la tecnica o la tecnologia mancante all’epoca, ma era una scelta di gusto e la dobbiamo rispettare.
Ora, se il progettista o l’operatore dell’architettura si trova ad intervenire sulle superfici siano esse di intonaco o stucco di un bene architettonico storico e, per via della sua nevrosi del filo a piombo ci raddrizza ogni imperfezione. Il risultato sarà terribile. La nostra chiesa o il nostro palazzo assumerà l’aspetto di una qualsiasi villetta a schiera dell’hinterland delle nostre città, (fatto salvo la differenza dimensionale)
Ciò che ci fa innamorare dell’architettura storica e che la rende unica rispetto agli edifici contemporanei sono quelle minime imperfezioni delle sue superfici, che nulla tolgono alla grandiosità dell’opera, semmai la rendono unica e irripetibile. Rendere rettilineo tutto quello che si trova, corrisponde a soffocare un bene architettonico, a togliergli respiro, espressione e vita
Oh voi che potete, curate quella mortifera malattia della nevrosi del filo a piombo o nulla della nostra architettura antica si salverà!
Testi e immagini
SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/08/IMG_2324.jpg24483264Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-08-31 08:54:572018-08-31 12:58:43La nevrosi del filo a piombo nel restauro
Il mondo della terracotta, come già mi è capitato di trattare su questo blog, è molto vasto per cui si rende utile suddividerlo in macro aree al fine di poterlo comprendere ed indagare al meglio.
Questo secondo articolo sulla terracotta si occuperà di un aspetto apparentemente banale, ma su cui ritengo utile indirizzare l’interesse e l’osservazione è il decoro modulare dell’architettura, ovviamente in terracotta
Se prestiamo attenzione i dettagli o motivi decorativi modulari nell’architettura in laterizio di terracotta sono veramente molti, possono riguardare porzioni sotto gronda, cornicioni, balconi, portali d’ingresso, pennacchi e comignoli
Tutti elementi decorativi che derivano dalla natura modulare intrinseca al mattone o laterizio in terracotta
È una particolare tecnica decorativa che spesso è la risultante dal semplice posizionamento di una fila di mattoni in terracotta con un angolazione lievemente ruotata, così da creare un elemento decorativo modulare.
Una tecnica semplice ed economica ma di grande impatto decorativo
Questa tecnica decorativa è molto diffusa nell’edilizia storica e monumentale sino all’archeologia industriale. Copre un arco temporale estremamente vasto, che va dal medioevo alla prima metà del ‘900, ma se indaghiamo con attenzione ne troveremo anche prima e dopo tale periodo
Gli elementi modulari che creano dettagli decorativi, nell’architettura storica tendono ad avere oltre che un allettamento ruotato o angolare dei mattoni, anche degli specifici elementi decorativi, magari semplici e a stampo ma che collocati consequenzialmente assumono un andamento modulare ed un aspetto decorativo imponente. Archetti ciechi, colonne tortili, motivi floreali ed altro ancora
Questa stessa tecnica nell’edilizia ottocentesca o nei capannoni dedicati all’artigianato o all’industria è sfrondata dagli elementi decorativi a stampo, resa essenziale e ancor più economica ma tuttavia molto efficace sotto il profilo estetico
Nell’archeologia industriale si utilizza come base decorativa il semplice mattone da costruzione, variandone l’allettamento
Vediamo alcuni esempi: nell’immagine sotto un balcone i cui motivi decorativi sono disegnati dal posizionamento verticale e orizzontale del mattone e dai vuoti da essi lasciati
Nel seguente decoro sotto gronda abbiamo un posizionamento a 45 gradi longitudinale che crea l’effetto cornicione e 45 gradi orizzontale che crea il decoro della fascia
Chissà quanti ne vedrete ogni giorno di questi decori ed ora ne troverete a bizzeffe , buona ricerca
La terracotta è il mondo, è un materiale estremamente diffuso, così versatile che vi sono state costruite intere città.
Le tecniche di utilizzo dell’argilla hanno mille e più diramazioni specifiche ma nell’essenza resta una delle tecniche più antiche ed essenziali dell’ingegno umano
La terracotta deriva dall’argilla, l’argilla è un conglomerato non sedimentato di minerali argillosi, per lo più derivanti dal dilavamento o stagnazione in acqua, di rocce contenenti tali minerali (fillosilicati, a loro volta composti da molti altri minerali; alluminosilicati, caolinite, silicati idrati d’alluminio, eccetera ) I manufatti in terracotta sono detti “Fittili”
L’argilla allo stato umido si presenta in blocchi o conglomerati dall’aspetto viscido e compatto . Il colore dell’argilla può variare a seconda degli ossidi in essa contenuti e sostanzialmente dai luoghi di provenienza. Il tipico colore rosso della terra cotta è dettato dall’ossido di ferro che si manifesta a seguito di cottura. Tale composto umido è malleabile e plasmabile, allo stato essiccato perde elasticità e mediante cottura diviene terracotta
Con la terracotta si possono fare i mattoni utili per l’edificazione di case e palazzi, oppure si possono plasmare manufatti decorativi e artistici, oppure ceramiche di rivestimento, pavimenti, vasellame o porcellane.
La differenza sostanziale tra laterizio da costruzione e le porcellane sta nel grado di depurazione dell’argilla. Più l’argilla sarà depurata e più compatto e meno poroso sarà il manufatto cotto. Le terre cotte meno porose sono le porcellane o il grès chesolitamente sono caratterizzate da un colore chiaro, quasi bianco, dettato dal caolino che compone in maggior parte l’argilla molto depurata
Altro dettaglio differenziale sta nella finitura di superficie della terracotta. L’argilla lavorata, essiccata e colorata con ossidi metallici a seguito di cottura diviene maiolica. Ovvero gli ossidi policromi stesi sull’oggetto in terra cruda, allo stato di polvere, una volta cotti (980 gradi circa) si fondono, variano di colore, si stabilizzano e creano un sottile strato di finitura assolutamente coeso al manufatto fittile, rendendolo policromo lucido ed impermeabile
La lavorazione dell’argilla è assolutamente versatile e può essere realizzata a stampo oppure plasmata a mano. È molto diffuso ed è meraviglioso trovare su di una tegola o un mattone antico le tracce delle dita che l’hanno lavorato
È molto interessante osservare i decori realizzati con la terra cotta, tra le vie delle città, ve ne sono di antichissimi e di recenti, alcune decorazioni soprattutto quelle dell’architettura, sono ottenute semplicemente allettando il mattone con un angolazione lievemente inclinata e ripetuta sino a divenire cordolo modulare.
Altri decori sono figurativi o scultorei e, dall’attenta osservazione, possiamo dedurre se siano realizzati a mano oppure a stampo o ancora a stampo e poi finiti a mano.
È bene rammentare che i decori in terracotta hanno delle dimensioni limitate in relazione a quelle del forno di cottura, per cui sono modulari e, se sembrano molto grandi, significa che sono stati assemblati con grande cura
Anche il semplice mattone da costruzione racconta la sua storia a chi la vuole ascoltare. Dalle dimensioni del mattone dal suo colore e dalla porosità si possono dedurre le fornaci di provenienza e le datazioni.
Dalla superficie scabrosa o liscia del mattone possiamo capire se era nato per essere intonacato oppure per essere finito a vista. Tra quelli nati per essere “finitura” possiamo anche scovare tracce di sagramatura. Una meravigliosa antica tecnica che prevedeva il trattamento superficiale dei mattoni con della calce idrata ed altra polvere di cotto, spesso stesi sulla superficie mediante l’azione abrasiva di un mattone strofinato in senso rotatorio sulla superficie. Il risultato della sagramatura è quella lucentezza naturale della superficie, dello stesso colore del mattone ma di tono più scuro in corrispondenza del mattone e lievemente più chiaro in corrispondenza della malta di allettamento.
Le grandi sculture in terracotta policroma sono dei manufatti affascinanti nei quali l’arte e la sapienza tecnica raggiungono altissimi livelli e che approfondirò in un prossimo articolo
Il ferro è un minerale estratto dalla profondità della terra, attraverso la creazione di miniere estrattive, che si trovano in quasi tutti i paesi del mondo.
La metallurgia è la disciplina che studia i metalli tra cui il ferro e le sue leghe.
Il ferro è un materiale molto diffuso ed ha trovato infiniti utilizzi, sin dai tempi antichi, in svariate forme, come elemento costituente della meccanica, oppure come elemento di supporto e decorazione dell’architettura infine come espressione artistica e decorativa a se stante
Troviamo manufatti ferrosi utilizzati come elementi strutturali e non visibili all’interno dei pilastri in calcestruzzo, come anima strutturale delle mensole dei balconi decorativi in graniglia o stucco
La sua presenza nelle nostre città e nelle campagne è grandissima. Siamo attorniati di elementi metallici, dagli utensili agricoli alle chiuse di sistemi di irrigazione, alle ringhiere. Ma ciò che trovo di estremo interesse è come si adatti ad ogni forma decorativa
Elementi decorativi di complemento all’architettura, grate, recinzioni, pinnacoli, borchie e maniglie di portoni ed altro ancora
Il ferro è sempre stato materia povera duttile e malleabile. Lavorabile con pochi semplici utensili.
Si ammorbidisce al fuoco, si plasma mediante la battitura effettuata con magli o semplici martelli, si taglia, si fonde, si mescola ad altri minerali, si piega fino a prendere le più svariate forme
Le principali tecniche tradizionali di lavorazione del ferro, che possiamo riconoscere guardandoci attorno, osservando gli elementi decorativi di qualsiasi area urbana sono:
La battitura a caldo: Una tecnica antica che prevede l’ammorbidimento del metallo attraverso il calore e la battitura dello stesso sino a plasmarne la materia nella forma desiderata: la battitura a caldo si riconosce dalle preziose imperfezioni della superficie metallica che riporta le tracce dei colpi del martello e i segni delle piegature con le tenaglie
Lo stampo o forgiatura a stampo: forme decorative, foglie e fiori possono essere realizzate a mezzo di immissione del metallo fuso in stampi di ghisa oppure con la più diffusa tecnica della forgiatura a stampo, dove il metallo viene compresso da stampi pre formati che imprimono la forma
La forgiatura a mano: prevede, come la battitura a caldo, il riscaldamento del metallo e la battitura continua a mezzo di elementi meccanici, tipo magli o strumenti industriali, sino a dare alla materia la forma desiderata. La forgia da manufatti plasmati, lisci e di forme flessuose ma regolari
La trafilatura: una tecnica più recente, dalla rivoluzione industriale in poi. E la tecnica con la quale il metallo viene forzosamente indotto a passare attraverso condotti sagomati che ne definiscono la forma, per estrusione. Con questa tecnica si formano aste, tubi e barre.
La laminazione si utilizza per formare delle lamine, può essere effettuata a mano, per battitura, per forgiatura oppure per processo meccanico industriale (a freddo oppure a caldo)
Può sembrare incredibile quante forme e decori si possano creare con queste poche tecniche metallurgiche
Trovo molto divertente aggirarmi per le vie e cercare di individuare, suddividere e catalogare queste tecniche
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/07/IMG_8945-2.jpg20072859Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-07-11 22:41:492018-07-11 22:51:43Il ferro, tecniche e forme
La scultura è una delle arti più complesse per la sua realizzazione e più potente in quanto a capacità comunicativa di un messaggio artistico
Quando osservo una scultura mi faccio coinvolgere dal suo aspetto d’insieme e poi ne indago i particolari, per individuare e ripercorrere le fasi costruttive e di realizzazione.
Un piccolo segreto che aiuta a comprendere come una scultura sia stata realizzata e, spesso a individuarne la datazione, consiste nell’individuare e seguire i punti lasciati dal trapano
È un minuscolo dettaglio nell’immensa complessità dell’arte scultorea ma delinea la tecnica e la storia della scultura stessa.
Il trapano è uno strumento utilizzato sin dalla più remota antichità, i più antichi erano ad arco
e, gli strumenti in genere erano pochi e semplici
Il trapano veniva utilizzato dopo aver sbozzato grossolanamente il blocco di pietra. Il trapano si usava in quella prima fase per definire i punti più profondi, ovvero gli “scuri” della scultura. Spesso venivano praticati una serie di fori che definivano la profondità e da li venivano poi rimosse le porzioni di pietra eccedenti, le pareti che dividevano i fori, sino ad ottenere il punto di vuoto, scuro o sottosquadro desiderato. Osservando le sculture antiche, nei punti di scuro, si possono intravedere spesso i fori accostati del trapano utilizzati per raggiungere tale risultato
Il dettaglio che da sempre mi affascina è come il foro del trapano venga utilizzato come elemento decorativo a se stante e, proprio la modalità in cui viene utilizzato il foro del trapano con valenza decorativa può aiutare a datare un manufatto scultoreo
Vi sono periodi storici nei quali la scultura è fortemente caratterizzata dall’utilizzo decorativo del trapano come ad esempio la scultura longobarda dove il gusto quasi grafico viene mosso ed esaltato da un utilizzo decorativo dei punti scuri e tondi del trapano
ecco due esempi di utilizzo del trapano per fini costruttivi e decorativi
Chissà quanti ne vedrete ogni giorno, se gradite, aggiungeteli nei commenti
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/07/IMG_8969.jpg29303010Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-07-06 09:16:002018-07-07 13:38:37l'uso del trapano nella scultura antica
L’acqua, il mio elemento Liquido amore primordiale e signora indiscussa dei fluidi pensieri tutto scioglie, tutto veicola, tutto avvolge
Fluido come l’acqua, limpido come l’acqua. Salato come acqua di mare, puro come l’acqua di fonte
Nella vita di tutti i giorni, così come nella simbologia, l’acqua è materia essenziale
Forse per chi si occupa di restauro lo è anche di più!
Il tema dell’acqua nel restauro è onnipresente, sotto svariate forme, può essere benefico e malefico. Comunque imprescindibile!
Vediamone una decina di casi
La giusta percentuale di umidità nell’aria consente di determinare il microclima ideale per la conservazione di opere della più diversa natura.
Un’eccessiva percentuale di acqua negli affreschi, intonaci e nelle murature veicola i sali solubili di nitrato, favorisce l’insediamento di colonie batterico fungine e ne provoca il degrado. Nelle opere mobili come dipinti e sculture lignee induce il rigonfiamento delle mestiche preparatorie che provocano i sollevamenti della pellicola pittorica. Nei metalli provoca le ossidazioni. Nella carta favorisce l’insediamento di batteri muffe e insetti vari
Una percentuale esigua di acqua negli intonaci e nelle murature ne provoca la disgregazione polverulenta. Nelle opere mobili provoca distacchi e cadute delle superfici pittoriche. Nelle opere lignee genera delle fenditure
Infiltrazioni impreviste di acque meteoriche dalle coperture degli edifici induce imbibizioni e conseguenti perdite dei rivestimenti murari e la marcescenza degli elementi lignei sino al crollo di porzioni di edificato
L’esposizione continua di opere agli agenti atmosferici provoca il degrado dei marmi dei monumenti sotto forma di dilavamento e percolazione
L’acqua sia essa in via diretta, indiretta o quale agente di soluzione è il principale elemento per la fase di pulitura di affreschi, intonaci, lapidei, stucchi, materiale cartaceo e membranoso
L’acqua demineralizzataè un elemento essenziale per l’estrazione dei sali solubili di nitrato dagli intonaci, dai lapidei, dagli stucchi e dagli affreschi durante un restauro
L’acqua di calce (idrossido di calcio) è un elemento essenziale per il consolidamento per imbibizione degli intonaci e degli affreschi degradati, durante un restauro
L’acqua forte è una tecnica artistica per l’incisione acida di lastre metalliche
L’acqua è il principale elemento di diluizione e veicolazione di tutti i pigmenti da ritocco, (fatta eccezione per oli e colori a vernice). Ogni superficie dipinta sia essa la grande stesura a corpo di una facciata di un palazzo, che il rigatino a margine di un affresco sono determinati dalla percentuale di acqua utilizzata nella fase di preparazione e realizzazione di un ritocco. L’intensità e la trasparenza dei colori può essere determinata solo ed esclusivamente dalla gestione della percentuale dell’acqua in fase di realizzazione. … L’acquerello ha una particolare affinità con il restauratore
L’acqua, come potremmo farne a meno
… e chissà quante ne ho dimenticate, chi vuole può aggiungere nei commenti
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SilviaContiRestauroConservativo
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/02/HD25175-1.jpg742766Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-06-06 11:08:052018-06-06 11:17:25Dettagli - Acqua, il decalogo
In questo articolo intendo parlare della materia del restauro e della materia nel restauro
Può sembrare un gioco di parole ma in fondo non non lo è, non quando si parla di restauro. Poiché ciò di cui mi occupo è una disciplina strettamente connessa alla materia e sono convinta che solo dalla conoscenza e dall’analisi della materia si possa provare a capirne l’essenza.
Le riflessioni derivano da alcuni pensieri che mi ritrovo a percorrere circa il motivo per il quale abbia scelto la professione del restauro … certo prima di tutto c’è l’amore per l’arte e la sua storia, poi vengono la necessità di indagare, toccare, conservare e comprendere. Si ma cosa. Certamente l’essenza dell’opera, il suo messaggio, tutti quegli elementi astratti che l’opera ci comunica, così come la sua intenzione artistica. Ma tutti questi messaggi astratti fatti di emozione e pensiero usano un unico veicolo per giungere a noi, passano tutti attraverso la materia di cui è composta un opera d’arte. Ed ecco che siamo arrivati al punto. Un nuovo punto di partenza per l’analisi. La materia di cui è composta un opera d’arte che è anche la materia di cui si occupa il restauro.
Per essere più precisi, la materia del restauro e la materia fisica di cui è composta un opera d’arte, per ovvia conseguenza si può comprendere quanto la materia abbia un importanza assoluta e rilevante nel restauro anche per la scelta dei materiali per condurre il restauro stesso.
Non a caso il restauro è suddiviso e disciplinato da un punto di vista formale a seconda delle materie, trattate in via specialistica dai vari professionisti. Anche se è cosa diffusa, nonché utile alla sopravvivenza della “specie”, che ogni restauratore abbia più di una specializzazione in materia di restauro. Ovvero si occupi ed abbia esperienza diretta su più materiali
Credo possa essere di aiuto, al fine di comprendere l’intima connessione tra uno specifico settore del restauro e la sua materia di pertinenza, dare un occhiata agli ambiti di competenza, di seguito elencati, seppur sommariamente :
Superfici decorate dell’architettura, questa categoria comprende, affreschi, intonaci antichi, graffiti e stucchi e tutte le superfici immobili di pertinenza architettonica, fatta esclusione per gli elementi lapidei che hanno una categoria a se
Elementi lapidei
Mosaici
Elementi lignei, questa categoria riguarda mobili e sculture
Dipinti mobili su tela e tavola
Metalli
Tessuti
Reperti ceramici ed archeologici
Strumenti musicali
Solo per citare le più note.
Già ad una prima sommaria osservazione delle immagini si può comprendere quanto i materiali oggetto del restauro siano diversi tra loro e in virtù di questa diversità e peculiarità vengono richieste varie competenze nonché abilità nell’uso di metodiche e tecniche diverse . Poi ci sono gli oggetti compositi come la gioielleria o certe opere polimateriche. Per intervenire sui quali si rende utile l’isolamento delle varie materie al fine di intervenire con apposite metodiche su ognuno dei componenti dell’opera.
Così accadrà che materiali e tecniche utili per il restauro di un dato manufatto saranno del tutto inutili se non dannosi nel trattamento di un’altro oggetto.
Facciamo un banale esempio se nel restauro degli affreschi è consolidato l’uso, per la fase di pulitura, di sali del tipo carbonato o bicarbonato di ammonio, questi stessi, utilizzati su dipinti su tela o policromie lignee creerebbero danni irreversibili. Ma lo sanno tutti! L’esempio pare banale per quanto ovvio ma è utile prestare attenzione poiché non sarebbe la prima volta, si vedano i casi dei materiali nati ed utilizzati nel restauro di oggetti lignei finiti dritti dritti nel restauro degli affreschi con pacifico consenso di tutti, penso a certe resine acriliche e sintetiche tuttora molto diffuse.
Ma allora come è possibile agire con presunta certezza nel segno della conservazione del manufatto a fronte di una situazione di cronica e fluida instabilità?
Personalmente credo che la risposta stia proprio nella materia, ovvero nella conoscenza della stessa.
Quando si analizza e si studia una materia, quando la si osserva e la si conosce, quando dal profumo di un mobile si comprende l’essenza lignea o sfiorando un intonaco si arriva a dedurne la composizione o manipolando un metallo si intuisce la lega di cui è fatto. Allora si può comprendere un dato di estrema importanza per il restauro, il concetto di compatibilità tra i materiali. Un faro di riferimento che deve condurre le azioni di restauro, sempre associato della reversibilità!
Certamente ci vengono in aiuto tutti gli studi chimici e fisici ma prima di fidarsi ciecamente di un materiale, che potrebbe vantare studi scientifici di parte, ovvero condotti dalla stessa ditta che ne gestisce la diffusione sul mercato. Pensiamo alla compatibilità con il nostro oggetto, quello specifico del caso che stiamo trattando, pensiamo alla sua composizione, alla sua collocazione, all’esposizione agli agenti atmosferici, alle condizioni climatiche e microclimatiche di quel dato luogo, alla possibilità che venga fatta manutenzione e a tutte le variabili che caratterizzano la vita quotidiana di un’opera d’arte. Allora potremo capire se quel materiale specifico potrà funzionare per il restauro del nostro oggetto e potremo ridurre il rischio di errore nella scelta.
Così nel panorama di costante mobilità delle tematiche del restauro, la conoscenza della materia che compone l’opera d’arte costituisce un solido punto di riferimento per chi opera alla conservazione del patrimonio artistico e storico.
Sopra a tutto l’ottima teorizzazione del restauro, della quale il nostro paese può andare fiero, che detta le linee guida, trasversali utili per ogni oggetto, giardino o città di interesse storico artistico.
http://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/02/7492f458-3b66-4abf-b39a-9fa7a199666e.jpg768555Silviahttp://www.silviaconti.it/silviaconti/wp-content/uploads/2018/05/Logo-SC-120.pngSilvia2018-02-19 12:20:492018-02-23 17:05:40Materia e restauro
È più di un colore, in esso vi sono tutti i colori concentrati, alla loro massima espressione cromatica. Un colore così intenso, potente e luminoso da non poter essere percepito dall’occhio umano. Il bianco è il colore che più si avvicina al concetto fisico di luce! Il bianco è luce.
Il bianco ci circonda, ha un importanza assoluta e non potremmo farne a meno, il nostro mondo senza il bianco sarebbe impensabile.
Quando vi è necessità di luce in un ambiente abitativo, di eleganza in un abito, oppure di volume e corpo in un dipinto; solo il colore bianco assolve questi compiti. Sia esso colore ad olio, tempera, pittura murale, smalto, calce o pastello a cera. In ogni sua forma si lega ad altri colori, può essere mescolato con qualsiasi altro pigmento e lo renderà più chiaro, luminoso e coprente. Attutisce però la brillantezza di certi rossi e blu.
Non a caso nella scala RGB del colore, che ognuno può trovare sul proprio computer, il bianco è collocato al massimo della scala di ogni colore cioè pari a 255 di rosso, 255 di verde e 255 di blu.
Come tutti i colori e forse più di tutti gli altri, anche il bianco pone una serie di problematiche di studio e può essere analizzato sotto diversi aspetti. Ha un alta valenza simbolica, in ogni cultura. Ma se e vogliamo analizzare il colore bianco dal punto di vista fisico, le cose cambiano diametralmente .
Il bianco non è un colore, dal punto di vista scientifico, fisico e ottico non lo è.
Piuttosto è quella materia che ha la capacità di riflettere quasi per intero la luce così da non avere colore, ha tutti i colori in se e non ha tinta, esattamente l’opposto del nero che assorbe tutta la luce sino a non avere colore.
Per quanto lo studio del colore possa portare molto lontano e ramificarsi in ambiti e materie molto diverse tra loro, ritengo utile parlare di quegli aspetti che meglio conosco e, sui quali io possa dire qualcosa di utile e sensato. Come sempre, mi occupo di elementi della materia applicati all’arte, calce e pigmenti, quei microscopici granuli di polvere colorata, tangibili, con proprietà organolettiche e materiali. Colori e polveri che possono essere toccati, mescolati, impastati, stesi con un pennello, con una spatola o spruzzati con un aerografo. Proverò a sondare questa minuscola parte dell’argomento del colore bianco, senza la pretesa di essere esaustiva, ma per dare l’idea di quanto ampio sia l’argomento e magari condividere il desiderio di approfondirlo.
Innanzitutto ritengo di fondamentale importanza provare a fare una sintesi schematica, che certo non assolve la conoscenza sul pigmento bianco, ma può essere utile ad acquisire un metodo per valutare conoscere e riconoscere i diversi tipi di bianco. Bianchi che si vedono nelle opere d’arte antica, bianchi da utilizzare per il restauro, bianchi per dipingere o per stuccare.
Possiamo suddividere i bianchi in tre macro categorie; quelli di origine minerale come la calce idrata e tutte le pietre ricche di calcio come il caolino, quelli frutto dell’ossidazione dei metalli in ambiante acido e quelli di sintesi.
Conoscere l’origine e la composizione chimica può essere di estrema importanza per comprendere quali pigmenti possano essere utilizzati in un determinato caso e in che modo. Dalla loro derivazione ne discende stabilità alla luce, compatibilità o incompatibilità con altri materiali. Tutti dati fondamentali se si vuole utilizzare il bianco nell’ambito del restauro delle opere d’arte, ma anche per la creazione e di opere ex novo.
Vediamo ora degli esempi di colore bianco, molti di essi si trovano in commercio, altri non più ma è comunque utile conoscerli poiché utilizzati nell’arte antica.
Caolino è un bianco minerale molto diffuso, si tratta una roccia morbida di tipo detritico, presenta piccole varianti chimiche a seconda dei luoghi di cavatura, ma si tratta sostanzialmente di un minerale silicato dell’argilla, tipo bisolfato di alluminio. È molto diffuso ed utilizzato per impasti, ceramiche, stucchi e colori. Ha un ottima stabilità alla luce ed un alta compatibilità nella mescolanza con altre materie chimiche organiche e inorganiche. Il bisolfato di alluminio gli conferisce un potere antisettico pertanto, se utilizzato nei colori, questi saranno meno attaccabili da muffe, batteri e microrganismi. Per via di questa particolare proprietà è molto utilizzato in ambito cosmetico, basti dire che ognuno di noi lo incontra ogni giorno nella pasta dentifricia
La Biacca è forse il bianco più poetico e antico deriva dall’ossidazione del piombo esposto ai vapori acidi dell’aceto, è un bianco caldo, un poco giallo, dalla granulometria sottilissima, quasi vellutato. Oggi quasi introvabile per via della sua tossicità e a causa della sua instabilità, infatti la biacca in ambiente basico tende ad annerire rovinando irrimediabilmente le opere in cui è stata utilizzata. Presenta meno problemi se utilizzata come colore ad olio, poiché le molecole oleose avvolgendo completamente i pigmenti, evitano l’esposizione all’ossigeno e il conseguente processo di ossidazione. Mentre gli utilizzi della biacca con la tecnica a fresco, a tempera ed a calce hanno dato dei risultati devastanti.
La calce idrata, idrossido di calcio, o grassello o calce spenta è un colore ed un legante minerale nel contempo. È un materiale di estrema importanza nell’edilizia e nell’arte antica. Si presenta come una pasta umida di colore bianco assoluto, quasi accecante. Deriva dallo “spegnimento” in acqua, della pietra calcarea cotta a 800 gradi circa. Diluita può essere utilizzata come tinta, da stendere a pennello, in pasta, mescolata con due parti di inerte (sabbia di fiume o polvere di marmo) forma delle malte, dei marmorini e degli stucchi di eccezionale resistenza nel tempo. Il suo potere legante si estrinseca attraverso il processo chimico della carbonatazione e la perdita dell’umidità. Non ha un grande potere coprente se non addizionata ad inerti come carbonato di calcio. È il componente fondamentale dell’architettura storica e della tecnica pittorica a fresco. È il materiale per eccellenza del restauro degli affreschi, degli stucchi e degli intonaci sopratutto per il suo potere legante minerale, infatti nella sua forma più diluita, acqua di calce, è il miglior consolidante per imbibizione di intonaci ed affreschi. Di fondamentale importanza verificare la qualità della calce, essa deve derivare dalla cottura di carbonato di calcio o di magnesio e deve avere avuto una sedimentazione o spegnimento, in acqua, di almeno 2 anni. I grasselli a spegnimento forzato, oggi molto diffusi in commercio, sono da evitare nel restauro, poiché hanno un potere legante risibile. Recentemente si è diffusa la commercializzazione di calce idrata in polvere ovvero già essiccata, anche questa forma è da evitare nel restauro, poiché il potere legante della carbonatazione, che evidentemente non può verificarsi, potrebbe essere sostituito da additivi chimici.
Il Bianco di San Giovanni, è un meraviglioso colore dall’aurea quasi mitica, è di origine minerale e deriva dalla calce idrata. Non esiste in commercio, ma chi avesse qualche settimana di tempo può sempre provare prepararlo. Del bianco di San Giovanni ne parlano i trattati antichi come il “libro dell’arte” del Cennino Cennini. Vi si indica come prepararlo partendo dalla calce idrata; in sintesi si debbono formare delle palle di calce, lasciarle essiccare, quindi bagnarle con acqua demineralizzata, rimpastare, formare altre palle e ripetere l’operazione per sette o 10 volte. Alla fine si ottiene una polvere bianca candida che ha perduto il potere legante della calce trasformandosi in un pigmento di calce. È molto utilizzato negli affreschi antichi ed è riconoscibile per il candore della calce unita ad un corpo spesso e compatto, la calce idrata infatti non potrebbe essere usata a corpo poiché polverizzerebbe entro breve.
Il Gesso o solfato di calcio biidrato, è un minerale di cavatura estremamente versatile e, a seconda della sua lavorazione assume forme diverse che offrono una quantità incredibile di utilizzi in ambito artistico e architettonico. Dagli scarti della lavorazione del gesso deriva il caolino, il gesso a seconda del grado di sedimentazione può essere bianco polveroso o cristallino trasparente (quarzo). Nella sua forma più polverosa (solfato di calcio) si ottengono i gessetti da lavagna che mescolati a pigmenti in polvere divengono gessetti colorati. Nella sua forma più cristallina i frammenti di quarzo molto utilizzati nelle paste e tinteggiature da esterno, per lo più legate con materiali sintetici o acrilici. Tra questi due estremi vi stanno una quantità incredibile di varanti del materiale. Uno dei più noti è la scagliola (solfato d calcio emiidrato) è un gesso in polvere che attiva una reazione chimica di tipo termico quando viene mescolato all’acqua e indurisce in breve tempo. La scagliola è molto utilizzata in architettura, per decori plastici e per le finiture lisce delle pareti o per la creazione del carton-gesso. È uno dei componenti principali degli stucchi antichi, spesso mescolata alla calce idrata che ha il potere di rallentare la presa della scagliola e rendere più compatto e resistente il composto finale. La scagliola per via della sua capacità di indurimento veloce è presente in tutti i cementi, caldane e le malte a presa rapida. È bene considerare un dato negativo della scagliola, la sua alta igroscopicità la rende inadatta a luoghi umidi o esposti alle intemperie. Utile ricordare che anche il più tenace dei cementi rapidi sarà sempre collettore di umidità. La scagliola è assai poco raccomandata in caso di restauro.
Il Bianco di Spagna è un carbonato di calcio molto sottile di granulometria, è un minerale naturale, a volte è mescolato ad altri carbonati di calcio, non ha il potere coprente di altri bianchi e spesso viene utilizzato come inerte carbonatico piuttosto che come pigmento nelle pitture murali, per comporre degli stucchi oppure come finissimo abrasivo per levigare le lastre di zinco utilizzate nell’incisione ad acquaforte. A differenza del Bianco di Bologna non si sposa perfettamente con le colle organiche poiché tende ad avere nel tempo deformazioni e tensioni difformi della superficie..
Il Bianco di Bologna detto anche gesso di Bologna è un solfato di calcio biidrato deriva dal gesso ed è completamente inerte e, come il bianco di Spagna è perfetto nella composizione degli stucchi, si sposa perfettamente con le colle organiche e costituisce il tipico stucco per il restauro dei dipinti, la mestica o preparazione delle tele da dipingere e la base perfetta per le cornici dorate a foglia e bolo. Di contro non ha un grande utilizzo come pigmento per uso pittorico e teme l’umidità
Il Litopone è composto da solfuro di zinco e solfato di bario precipitati è un pigmento minerale molto stabile alla luce e compatibile con un gran numero di leganti organici e inorganici diffuso sia come pigmento per idropitture che per tempere
Il Bianco di Zinco è un pigmento di origine minerale ma ottenuto mediante un processo di sintesi dai vapori dello zinco bruciato ad alte temperature. Ha una buona stabilità alla luce ed una certa trasparenza, è infatti meno coprente del bianco di titanio. Si è diffuso sul mercato prima Francese e poi europeo dagli inizi dell’ottocento e il suo utilizzo è eminentemente pittorico.
Il Bianco di Titanio è un colore molto recente, infatti la sua formula è stata messa a punto e commercializzata nel primo ventennio del XX sec. è un pigmento di origine minerale (biossido di titanio) ma ottenuto con un processo di sintesi, per cui è un pigmento minerale di sintesi. E molto coprente e sbiancante, ha un ottima resistenza alla luce ma nel tempo tende a degradarsi per polverizzazione ed essiccazione
Questi sono i bianchi che mi sono venuti in mente, se ne conoscete altri, aggiungeteli nei commenti
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